Il male e il diavolo sono due cose differenti. Il diavolo è come agli esseri umani piace immaginare il male, con le corna e la coda. Il male invece fa parte della nostra personalità.
Probabilmente non è un caso se al male, e ai diavoli che abitano gli esseri umani (con un'emblematica assonanza nella lingua inglese fra evil e devil), è dedicata gran parte della produzione di Roman Polanski. Fin dal suo debutto il regista polacco, nato a Parigi il 18 agosto 1933 e per quasi sei decenni un infaticabile "animale da set", si è sempre spinto in profondità nell'analisi dei nostri lati oscuri, facendo materializzare sullo schermo le paranoie e le paure che dominano molti dei suoi personaggi: che si tratti di ricordi dolorosi, di pure ossessioni o di minacce spaventosamente concrete, declinati talvolta in senso drammatico, talvolta in chiave grottesca e in alcuni casi perfino mediante i codici dell'horror.
Autore eclettico e coraggioso, capace di spaziare da un genere all'altro pur mantenendosi fedele alla propria poetica, dopo gli apprezzatissimi esordi in patria Roman Polanski non ha tardato ad affermarsi, già negli anni Sessanta, come uno dei cineasti più influenti della propria generazione: da un'opera seminale quale Rosemary's Baby al capolavoro noir Chinatown, dalla sofferta rievocazione de Il pianista fino al recente L'ufficiale e la spia, nella sua produzione trovano posto i fantasmi della storia e gli spettri individuali, rappresentati attraverso uno sguardo mai banale né consolatorio. Come dimostra questa rassegna di dodici tra i migliori film del regista, analizzati in ordine cronologico al fine di proporre un ideale itinerario nel cinema di Roman Polanski, al contempo splendido e tenebroso.
Il coltello nell'acqua (1962)
Risente probabilmente delle suggestioni del teatro dell'assurdo, e di drammaturghi come Samuel Beckett e Harold Pinter, la primissima produzione di Roman Polanski, che nel 1962, a neppure trent'anni, stupisce il Festival di Venezia con la sua opera d'esordio, Il coltello nell'acqua, sceneggiato insieme a Jerzy Skolimowski. Candidato all'Oscar come miglior film straniero, Il coltello nell'acqua costituisce l'archetipo dei thriller psicologici polanskiani, in cui la suspense viene sprigionata dal meccanismo di attrazioni e di conflitti incrociati fra i personaggi, in questo caso appena tre in tutto: l'arrogante giornalista Andrzej e sua moglie Krystyna, in procinto di trascorrere un solitario weekend di vacanza su una barca a vela, e un giovane autostoppista senza nome al quale la coppia decide di concedere un passaggio. La presenza di questo "terzo incomodo", tuttavia, incrinerà gli equilibri fra Andrzej e Krystyna, innescando una latente rivalità maschile pronta a sfociare in tragedia.
Repulsion (1965)
Il secondo, magnifico lungometraggio di Roman Polanski, Repulsion, è un film seminale per l'originalità e la forza con cui il regista si avventura lungo sentieri dai connotati quasi horror, facendo addentrare lo spettatore nei meandri di una psiche disturbata. La psiche in questione è quella di Carol Ledoux, una ragazza oppressa da ansie e fobie, alla quale presta il volto una Catherine Deneuve poco più che ventenne, qui in una delle sue performance più memorabili. Dopo essersi recata nell'appartamento londinese che condivide con la sorella Hélène per rinchiudersi in un'inviolabile solitudine, Carol vedrà manifestarsi le angosce che attanagliano la propria mente, in un delirio via via più allucinato e opprimente.
Catherine Deneuve: 7 ruoli di culto della regina del cinema francese
Cul-de-sac (1966)
Dalle atmosfere pinteriane de Il coltello nell'acqua, quattro anni dopo, con Cul-de-sac, Polanski si spinge invece nei territori del surreale e dell'assurdo, in una commedia nerissima in cui ritroviamo alcune caratteristiche del suo film di debutto: un'ambientazione circoscritta e separata dal resto del mondo, in questo caso il castello che sorge su un'isoletta della Gran Bretagna, e la convivenza forzata - e sempre più difficile - fra un piccolo gruppo di comprimari. Premiato con l'Orso d'Oro al Festival di Berlino 1966, Cul-de-sac sfrutta un impianto narrativo spiccatamente teatrale per mettere in scena un perverso "gioco delle parti" fra un'altra coppia di coniugi, George e Teresa, e due gangster, Dickie ed Albie, giunti per caso al castello.
Rosemary's Baby (1968)
L'incubo visionario del cult Repulsion anticipa per molti aspetti il capolavoro polanskiano del 1968, Rosemary's Baby, altro straordinario esempio di horror costruito attorno a una protagonista femminile in preda a un vortice di paranoie sempre più devastanti. La Carol di Catherine Deneuve, del resto, è un'ideale 'gemella' della Rosemary Woodhouse interpretata da un'indimenticabile Mia Farrow. Il teatro delle sue tenebrose inquietudini è ancora una volta un appartamento, quello newyorkese in cui Rosemary si è appena trasferita insieme al marito Guy (John Cassavetes); ed è anche l'appartamento in cui Rosemary inizia a sperimentare sogni mostruosi, a subire le fastidiose premure degli invadenti vicini di casa e, soprattutto, a sospettare che la creatura nel proprio grembo possa essere figlia del Maligno. Polanski, insomma, gioca con le attese dello spettatore, constringendoci ad adottare la prospettiva dei suoi personaggi e a confrontarci con l'incertezza su quanto sia reale e quanto immaginario.
Rosemary's Baby, brividi e paranoia: i 50 anni del figlio di Satana
Chinatown (1974)
Nel 1974 Roman Polanski decide di affrontarne un genere contraddistinto da precise convenzioni e già allora cristallizzato nella mitologia della Hollywood classica: il noir. Ma pur rendendo omaggio agli stilemi del noir classico, Chinatown, uno dei massimi capolavori del cinema americano di ogni tempo, rielabora le regole del genere di appartenenza innervando il racconto di una sensibilità modernissima e di un ineluttabile senso di disperazione. L'indagine di Jake Gittes, cinico detective privato incarnato da un iconico Jack Nicholson, che nell'assolata Los Angeles del 1937 cerca di far luce sull'omicidio dell'ingegnere idrico Hollis Mulwray, si sviluppa dunque come un tortuoso viaggio attraverso la rete di inganni, di false identità e di oscure perversioni di cui è composto l'intreccio della pellicola, frutto della sceneggiatura da Oscar di Robert Towne.
Dalla tormentata passione per Evelyn Mulwray, tragica femme fatale interpretata da una magnetica Faye Dunaway, al testa a testa con il luciferino Noah Cross di John Huston, la pericolosa inchiesta di Gittes assume i contorni di una singolar tenzone contro un male sinuoso e invincibile, che culminerà in uno dei finali più raggelanti mai visti sul grande schermo.
Chinatown: 40 anni di un capolavoro
L'inquilino del terzo piano (1976)
Il labile confine fra realtà e immaginazione dei primi film di Polanski è un elemento che il regista recupererà nel 1976 ne L'inquilino del terzo piano, in cui assume egli stesso il ruolo di protagonista. Da Repulsion e Rosemary's Baby, il film riprende l'ambientazione angusta e claustrofobica di un appartamento che sembra essere funestato da influssi sinistri: influssi che non tarderanno a sconvolgere l'esistenza del nuovo affittuario, l'impiegato polacco Terkowski, perseguitato da una serie di sgraditi condomini che lo trascineranno in un abisso di follia, fino a smarrire la propria identità. Smaccatamente onirico e surreale, laddove Rosemary's Baby manteneva una più fitta ambiguità sulla salute mentale della giovane madre, L'inquilino del terzo piano fa scaturire la suspense proprio dalle nefaste intuizioni di Terkowski: intuizioni destinate a trasformarsi in ossessioni incontrollabili e distruttive.
Tess (1979)
La compianta Sharon Tate, moglie di Polanski e vittima della famigerata strage di Cielo Drive, nutriva una grande passione per il romanzo Tess dei d'Urberville di Thomas Hardy; pertanto nel 1979, a dieci anni dall'omicidio della giovane attrice, Roman Polanski le avrebbe dedicato Tess, trasposizione del capolavoro letterario di Hardy. Girato in Francia poco dopo l'accusa di abusi sessuali rivolta al regista e la sua fuga dagli Stati Uniti, Tess è costruito attorno al personaggio eponimo, incarnato dalla diciottenne Nastassja Kinski: una fallen woman costretta suo malgrado a scontrarsi con le convenzioni sociali e il feroce perbenismo dell'Inghilterra vittoriana. Il film, insolita incursione di Polanski nei territori del melodramma, è stato ricompensato con tre premi Oscar per miglior fotografia, scenografia e costumi.
Frantic (1988)
Fra tutti i film di Roman Polanski, quello più accostabile al magistero di Alfred Hitchcock resta probabilmente Frantic, datato 1988. Harrison Ford veste i panni di Richard Walker, un rinomato chirurgo americano in viaggio a Parigi; un banale equivoco all'aeroporto sarà però il MacGuffin che porterà questo "uomo comune" a ritrovarsi al centro di un bizzarro intrigo, nel tentativo di far luce sull'improvvisa sparizione della moglie Sondra. Formidabile rivisitazione dei temi hitchcockiani, Frantic è un thriller in cui la tensione deriva direttamente dal senso di spaesamento di Richard, costretto a destreggiarsi con una realtà incomprensibile.
Harrison Ford: da Han Solo a Indiana Jones, attore per caso, eroe per vocazione
La morte e la fanciulla (1994)
Diamentralmente opposto è il meccanismo di suspense adoperato invece nel 1994 ne La morte e la fanciulla, adattamento della pièce di Ariel Dorfman: all'alienante Parigi di Frantic si sostituisce infatti l'atmosfera angusta e claustrofobica della casa di Paulina Escobar, interpretata da una sensazionale Sigourney Weaver. In un imprecisato paese del Sud America da poco liberatosi da una feroce dittatura, Paulina crede di riconoscere nel dottor Roberto Miranda (Ben Kingsley) l'uomo che aveva abusato di lei per lungo tempo durante il regime, e non esita a sequestrarlo per sottoporlo a minacce e violenze pur di fargli ammettere la verità. L'impianto teatrale del racconto viene messo al servizio di un logorante gioco di potere fra vittima e carnefice: uno schema narrativo già utilizzato da Polanski in passato e ripreso successivamente per film come Carnage (2011) e soprattutto Venere in pelliccia (2013).
Sigourney Weaver, i 5 migliori film della star di Alien: quando la grinta è donna
Il pianista (2002)
Per quanto sia basato sull'omonimo libro autobiografico di Wladyslaw Szpilman, adattato per lo schermo da Ronald Harwood, Il pianista costituisce comunque uno dei progetti più personali di Roman Polanski: sia per l'ambientazione in Polonia, sia per la sua lucidissima cronaca delle persecuzioni antisemite durante l'Olocausto (da bambino Polanski aveva dovuto nascondersi dai tedeschi nel ghetto di Varsavia, mentre sua madre era stata uccisa ad Auschwitz). La parabola di Szpilman, impersonato da Adrien Brody, e la sua lotta per sopravvivere in una Varsavia martoriata dalla guerra, sono raccontate in un film di rara potenza, incentrato sull'orrore, la solitudine e la pietà umana. Accolto da un consenso unanime, Il pianista è stato ricompensato con la Palma d'Oro al Festival di Cannes 2002 e con tre premi Oscar: miglior regia, miglior attore e miglior sceneggiatura.
Roman Polanski: le 10 migliori performance nei suoi film
L'uomo nell'ombra (2010)
Il ritorno di Roman Polanski al cinema di genere è avvenuto nel 2010 con un'altra perla all'interno di una carriera ricchissima e variegata: L'uomo nell'ombra, trasposizione del romanzo Il ghostwriter di Robert Harris. Vincitore dell'Orso d'Argento al Festival di Berlino 2010, il film vede Ewan McGregor nella parte del protagonista eponimo: un ghostwriter senza nome ingaggiato per completare l'autobiografia di Adam Lang (Pierce Brosnan), ex Primo Ministro britannico caduto in disgrazia in seguito a uno scandalo sulle sue presunte collusioni con la CIA e alla relativa imputazione per crimini di guerra. Ospite della lussuosa residenza di Lang in un'isoletta nei pressi di Martha's Vineyard (altro esempio di glaciale ambientazione circoscritta), il ghostwriter comincerà a interrogarsi sulla misteriosa morte del suo predecessore e sugli scheletri nell'armadio di Lang e della sua famiglia.
Coinvolgendo progressivamente il pubblico nel labirinto di intrighi e di taciti conflitti fra i personaggi in gioco, questo thriller magistrale ci offre l'ennesima, fascinosa variante sul sempiterno tema polanskiano della paranoia attraverso l'improvvisato detective di McGregor, il cui sguardo sul mondo è inesorabilmente gravato da dubbi, ansie e sospetti. Uno sguardo impegnato, così come quello dello spettatore, nell'impossibile impresa di districare la realtà dalle apparenze e di individuare un male che assume sembianze indecifrabili, e che in sostanza non potrà mai essere estirpato.
L'ufficiale e la spia: giochi di potere nel cinema di Roman Polanski
L'ufficiale e la spia (2019)
Come L'uomo nell'ombra anche L'ufficiale e la spia, ultima fatica del regista polacco, è nato dal sodalizio con lo scrittore Thomas Harris, autore del romanzo ispirato alla vicenda che Polanski ha tentato a lungo di portare sullo schermo: quella di Alfred Dreyfus (Louis Garrel), ufficiale dell'esercito francese che nel 1894 venne accusato di spionaggio e messo sotto processo. A indagare sul celebre Affaire Dreyfus è Georges Picquart (Jean Dujardin), il cui inflessibile rigore lo porterà a scontrarsi con il "muro di gomma" dei pregiudizi antisemiti e delle smaccate ipocrisie della Francia dell'epoca. Gran Premio della Giuria al Festival di Venezia 2019, L'ufficiale e la spia adopera la ricostruzione storica come strumento di riflessione sul rapporto fra società ed etica, ma anche su quei perversi meccanismi di potere contro i quali si battono inesorabilmente numerosi protagonisti del cinema di Polanski.
L'ufficiale e la spia, la recensione: Roman Polanski racconta l'affare Dreyfus