Per capire la proverbiale solidarietà della rete basta dare un'occhiata ai più grandi organizzatori al mondo di festival di categoria. Il panorama tracciato nella giornata conclusiva del primo Roma web fest (Teatro Golden, 27-29 settembre) è piuttosto eloquente e disegna una linea immaginaria che unisce le realtà made in Italy a quelle del resto del pianeta. Al dibattito, moderato da Janet De Nardis (direttore artistico) e Maximiliano Gigliucci (direttore generale), hanno partecipato il presidente della giuria della kermesse capitolina, Michael Ajakwe Jr (direttore artistico e fondatore del Los Angeles Web Fest, che si svolgerà dal 26 al 30 marzo 2014), Jean-Michel Albert (direttore del Marseille Web Fest, impegnato nella prossima edizione il 4 e 5 ottobre) e Suzette Laqua (direttore del Vancouver Web Fest, in programma dal 2 al 4 maggio 2014).
I tre produttori hanno raccontato la loro esperienza subito dopo la proiezione dei video stranieri in concorso, piuttosto variegati nel genere e nel linguaggio. La satira formato cartoon di Galaman, ad esempio, fa centro non solo per lo stile diretto e irriverente ma anche per il ritmo dei dialoghi e la leggerezza dei personaggi. Al contrario Out with Dad non ha bisogno di parole: la protagonista chatta via Facebook senza sapere che direzione dare alla propria vita. Sono le pause, le sillabe cancellate, le incertezze e le attese a trasformare un approccio virtuale in un dialogo reale.
Nessuno dei passi fatti al Roma Web Fest è piccolo, soprattutto se analizzato dalla prospettiva delle iniziative affini sparse da un angolo all'altro della terra. "Questo - promette Maximiliano Gigliucci - è solo l'inizio di un nuovo percorso". "Ci auguriamo - gli fa eco Janet De Nardis - visto il grande successo suscitato, di poter seguire le orme di questi festival. Il più longevo, Los Angeles, esiste da 4 anni e sembra relativamente giovane ma nel web questo equivale a tantissimo tempo".
Cosa ha spinto i direttori di queste prestigiose manifestazioni straniere a presenziare la prima edizione del festival del web in Italia?
Michael Ajakwe Jr: Sono venuto a Roma perchè ho trovato interessanti e ben fatte le webseries italiane. Siamo i primi festival del genere (ce ne sono circa 15 in tutto il mondo) e ci supportiamo sempre molto a vicenda, attingendo da quest'atmosfera così carica di energia che ha avuto uno splendido inizio e promette un ridente futuro. Stiamo facendo la storia grazie ad un mezzo democratico, il web, che è alla portata di tutti e non ha bisogno di sponsor per esprimersi.
Jean-Michel Albert: Abbiamo creato una bella sinergia e siamo felici di conoscere la creatività italiana.
Suzette Laqua: Qui ho trovato una fonte di grande ispirazione, un modo per farsi sentire e divulgare il nostro messaggio: cooperare per far sopravvivere le webseries.
Suzette Laqua: Il 42% dei canadesi guarda la tv su internet perché può decidere cosa e quando guardare un prodotto. Il governo lo ha notato e ha stanziato diversi finanziamenti. Fra poco se ne accorgerà anche il resto del mondo.
Cosa fa la differenza?
Michael Ajakwe Jr: Non devi aspettare di avere i soldi per fare delle webseries. Contano di più la passione, la grinta e la forza di volontà.
Jean-Michel Albert: La domanda da farsi è: Chi guarda le webseries? Solo rispondendo con esattezza si riesce ad attirare i brand per ottenere investimenti. Forse alla difficoltà di trovare un finanziamento si può supplire pensando ad una piattaforma come Youtube o Netflix che moltiplichi la visibilità. Si può partire anche da un semplice blog per poi arrivare ad unire le forze. In Francia, ad esempio, BNP ha finanziato 5-6 webseries con investimenti di un milione di euro, ma negli episodi non passa alcuna pubblicità della banca.
Vale lo stesso negli USA?
Michael Ajakwe Jr: Let's Big Happy cita la catena di fast food, Taco Bell, che la sponsorizza ma anche se va su una piattaforma Fox si deve ricordare che il cittadino medio ignora cosa voglia dire webseries, quindi bisogna avere pazienza e partecipare al cambiamento.
Jean-Michel Albert: Bisogna superare i pregiudizi di alcuni brand che pensano che una serie via web sia sinonimo di basso costo e di poco valore. Per fortuna con Netflix è in atto una rivoluzione, ma a volte bisogna ricorrere a piccoli espedienti. Io vedo che il nome stesso fa la differenza e se invece di chiamarle "webseries" le presento a potenziali investitori come "serie sul web" l'effetto suscitato cambia notevolmente.
Una parola può cambiare la sorte di un prodotto?
Michael Ajakwe Jr: Se ci pensiamo, anche i film in origine si chiamavano "moving pictures" o "nickel odeon". L'industria deve crescere e maturare, ma ricordiamo che per ora solo alcuni hanno guadagnato dalle webseries. Pensiamo ad Undercover Brother: l'ha comprata Universal ma pochi sanno che il cartone nasce come webseries. Lo stesso vale per Web Therapy di Lisa Kudrow (Friends). La verità è che le webseries non hanno una casa: un film va al cinema, una piece va a teatro, un telefilm va in tv, ma la rete deve trovare la collocazione adeguata. Ecco perché servono i festival: puoi non fare soldi con l'idea originale ma puoi sempre spostarla su un altro mezzo. Hollywood fa così: prende i libri di Harry Potter e li trasforma in film rendendoli un franchise.
Jean-Michel Albert: I festival sono fucina di nuovi talenti e lo dico da produttore: ho già comprato una ventina di webseries promettenti. E se sono buone non m'importa la nazionalità di provenienza.
]Janet De Nardis: Stiamo pensando ad un'associazione internazionale che tuteli proprio questi prodotti, considerando il fatto che ad oggi non esiste un modello di business valido, visto che il mercato si sta evolvendo.
Jean-Michel Albert: Basti pensare che YouTube ha aperto uno studio a Londra che permette ai filmmaker di talent di girare gratis le loro idee, se buone.
Michael Ajakwe Jr: Si sa però che entrare nello showbusiness è un azzardo: non ci sono garanzie di poter vivere di questo lavoro nè di guadagnarci. Questo vale per il cinema, la tv e anche il web. Io ho iniziato a scrivere a 17 anni e molte sceneggiature erano gratis, ma ho perseverato. 15 anni fa ho comprato 500 azioni di Apple per 7 dollari quando stava per chiudere e guardate ora cos'è successo. Se una cosa non sembra di grande valore oggi non è detto che non acquisti domani!