Il concorso di Venezia 75 ci regala un viaggio nella memoria del Messico degli anni '70, che è poi un viaggio nell'infanzia di Alfonso Cuarón. Dopo aver esplorato gli spazi siderali, con Roma Cuarón torna a muoversi in luoghi più intimi raccontando il quotidiano di una famiglia borghese di Città del Messico e delle sue due domestiche indigene.
Un'incursione in un quotidiano dominato da una fortissima presenza femminile, in cui gli uomini sono assenti, inconcludenti o sfuggevoli. "Il mio film sono le donne che lo abitano" esordisce Alfonso Cuarón. "Nella mia famiglia erano le donne a tirare avanti la baracca, non c'erano uomini e mi sono reso subito conto della loro importanza". Parlando del metodo il regista specifica: "Il processo di lavoro non è stato convenzionale, ho chiamato due attrici non professioniste, due educatrici indigene, affiancando loro vere attrici. Il cast non aveva la sceneggiatura, la scopriva giorno dopo giorno; sul set gli davo delle indicazioni, ma non volevo che ci fossero interruzioni, volevo che fosse tutto naturale, come le cose della vita".
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Viaggio nella memoria familiare di Cuarón
A tratti, in Roma, la storia traspare prepotente, dal divario tra ricchi e poveri, tra bianchi e indios, tra messicani e gringos, alle contestazioni studentesche dei primi anni '70 represse nel sangue dal governo, ma gli eventi globali restano sullo sfondo di una vicenda familiare fatta di piccole cose, di gesti quotidiani, di relazioni sentimentali. A spiccare è soprattutto una delle due tate, l'introversa Cleo, mostrata sul lavoro e nel privato. Cuarón puntualizza: "Cleo è basata su un personaggio reale, Lio. Lei è stata la mia tata quando ero piccolo, faceva parte della famiglia. Per me l'aspetto essenziale di questo film è che il punto di partenza è il processo legato alla memoria. Ho costruito il personaggio di Cleo grazie alle conversazioni avute con Lio. Quando cresci con qualcuno che ami, non metti in discussione la sua identità. Mi sono forzato cercando di vedere Cleo come una donna, per me era come mia mamma".
Sono tanti gli elementi che distinguono Roma dalla produzione più mainstream di Alfonso Cuarón. L'uso del bianco e nero, il ritmo lento, il mix linguistico di spagnolo e mixteco, lingua che le due governanti parlano tra di loro. Su questi aspetti Cuarón è perentorio: "C'erano tre elementi che fin dall'inizio erano alla base di questo progetto, il personaggio di Cleo, l'uso del bianco e nero e la memoria. La memoria è soggettiva, ma io volevo costruire una memoria oggettiva basata sull'immagine. Mi interessava osservare quei momenti con una certa distanza, senza giudicare, lasciando che la telecamera non si intromettesse nel momento. Ho rispettato il tempo reale, come nella scena iniziale, quando l'acqua scivola sul pavimento".
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Donne forti, la risposta a uomini invisibili
Oltre a scrivere e dirigere e produrre, come suo consueto, in Roma Alfonso Cuarón si è occupato anche della fotografia e del montaggio. Vista la centralità dell'aspetto visivo, è interessante capire questa sua scelta nata, di fatto, come un ripiego: "Ho cominciato a preparare il film con Emmanuel Lubezki. L'idea era che lo girasse lui, ne abbiamo parlato a lungo. Nel budget era prevista una post-produzione di un certo tipo, poi la produzione è andata avanti, ma Emmanuel era impegnato. Ho pensato ad altri direttori della fotografia, ma erano tutti stranieri e non volevo imporre l'inglese in un film come questo. Allora Emmanuel mi ha detto ' Falla tu', così mi sono fatto aiutare da un team di talento". Parlando della scelta del bianco e nero, il regista aggiunge: "Ho ricostruito l'ambientazione anni '70, ma usando un bianco e nero digitale. Ho scelto di parlare del passato con un formato digitale molto avanzato".
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Netflix? Non giudicatemi
Il risultato è un incredibile viaggio nella memoria, personale e storica, della durata di 135 minuti che non ha lasciato indifferente per primo il suo autore. "È inevitabile, se stai ricostruendo il passato in una casa che è simile alla tua, con un cast identico alle persone reali della tua vita di 50 anni fa, nella tua testa succedono un sacco di cose. Ma questo faceva parte del processo. Il presente e il passato collidono. Ti avvicini ai ricordi, ma lo devi fare senza giudicare". E a proposito di giudizi, Alfonso Cuarón chiede di non giudicare la sua scelta di distribuire Roma su Netflix. Il motivo è molto chiaro, come sottolinea lui stesso: "Conosciamo la complessità della situazione produttiva e distributiva. Un film in spagnolo e in lingua indigena, in bianco e nero, un dramma e non un film di genere, ha difficoltà a trovare spazi. Le condizioni ideali sarebbero vederlo sul grande schermo, ma è importante che il film abbia un certo impatto in modo da sopravvivere al tempo. Quando è l'ultima volta che avete visto un film di Antonioni al cinema? E in tv? Alla fine i film vivono nel formato home video, ma questo non vuol dire che le due forme di distribuzione debbano contrapporsi".