Wim Wenders non ha certo bisogno di presentazioni particolari. Per lui parla una lunga carriera caratterizzata dalla sperimentazione visiva e narrativa. Nonché film come Il cielo sopra Berlino,Paris, Texas e The Million Dollar Hotel. Oggi, però, dopo aver conquistato i favori del Festival di Cannes, porta il suo Il Sale della Terra anche alla manifestazione romana, dedicando al suo pubblico una masterclass incentrata interamente sul percorso del fotografo brasiliano Salgado. Due sono gli aspetti che caratterizzano questo insolito viaggio emotivo. Il primo è il desiderio di spostare sempre i limiti del suo lavoro, mentre il secondo considera la "folle" intenzione di trasformare delle fotografie in un film.
Il controcampo del fotografo
Nel libro Una volta, lo stesso Wenders ha dichiarato che uno scatto non parla solo di cosa è stato visto, ma anche di chi lo ha realizzato. Il che vuol dire che la fotografia, in qualche modo, racchiude l'anima del suo realizzatore. Ma attualmente, com'è il rapporto del regista con questo primo grande amore che lo ha traghettato verso il cinema? "Più invecchio e meno capisco il significato della fotografia - ammette con una certa ironia Wenders - Il tutto è reso più complesso dalle innovazioni del digitale. C'è un fenomeno, però, che mi intriga. Ossia, in ogni foto è come se ci fosse un controcampo incorporato. È invisibile ma riusciamo a percepirlo. Da questo punto di vista ho guardato il lavoro di Salgado e nel suo personale controcampo ho trovato il senso dell'avventura e un' infinita conoscenza. Nonostante questo, però, non riuscivo ad immaginarmi bene la persona responsabile di tali immagini, così ho deciso di incontrarlo. Per una volta ho deciso di solleverà il velo che separa l'invisibile dall'immagine."
Il tempo del viaggiatore
Il Sale della Terra, che uscirà in sala il 23 ottobre, mette in relazione l'azione del viaggiare e del fotografare come due realtà complementari ed essenziali per l'arte del narrare. Allo stesso tempo, però, mette in evidenza anche l'importanza di perdersi in luoghi sconosciuti adottando un tempo personale e dilatando. "L'aspetto del tempo è diventato veramente cruciale in questa avventura. Inizialmente avevo ipotizzato di realizzare il film in un paio di settimane, in cui sarei riuscito a sapere tutto su Salgado. Così, abbiamo iniziato attraverso delle interviste. Poi, però, ho scoperto che il suo lavoro e basato su un senso completamente diverso del tempo. E in quel momento ho capito che non avevo nessun diritto di terminare tutto velocemente, ma dovevo prendermi ogni istante di cui avevo bisogno. Proprio come lui fa per il suo lavoro, dedicando ai diversi soggetti tutto il tempo necessario, rimandando in alcuni luoghi anche per mesi pur di arrivare ad un incredibile grado di verità."
L'immagine cinematografica
Guardando alcune foto di Sebastião Salgado, in modo particolare quelle realizzate in una profonda cava in cui il lavoro dell'uomo è ancora esclusivamente manuale, si ha la sensazione di trovarsi di fronte ad una scena del cinema muto. La stessa sensazione ha accompagnato Wenders per molto tempo che, quasi stupito, si è soffermato ad osservare l'immobilità di una realtà cinematografica. "La prima volta che ho visto le sue foto ho avuto l'impressione di avere di fronte un enorme set - ammette il regista - Poi mi sono reso conto che era la verità in cui s'intravede una grossa complicità tra il fotografo e questi uomini. Vi racconto un episodio. Inizialmente quando Salgado è sceso con la sua macchina fotografica ha percepito una forte ostilità da parte degli uomini. Non lo volevano e non volevano essere visti. Ad un certo punto, però, è arrivata la polizia e lo ha arrestato davanti a tutti. Quando è tornato poco dopo, tutti hanno cominciato a battere i piedi in terra in segno di gioia e approvazione. Da quel momento è stato accolto nella loro comunità, ha potuto scattare le foto ed ha vissuto al loro fianco in perfetta complicità. In questo modo Salgado racconta delle storie proprio come farebbe un regista, con inquadrature diverse. È come se si trattasse di un film, un vero e proprio documentario in cui ogni foto rappresenta un frammento di tempo. Tutte insieme, invece, creano una serie che si avvicina in modo impressionante ad un film."
Come inserire Salgado
Senza alcun dubbio il film avrebbe avuto un impatto meno emotivo senza la stessa voce di Salgado che, di volta in volta, prova a raccontare l'emozione provata di fronte al singolo scatto. Ricreare questa empatia, però, non è stato assolutamente facile per Wenders, che si è trovato a girare il film per ben due volte. "All'inizio avevo scelto un approccio tradizionale. Ossia quello dell'intervista con una telecamera che lo riprendeva ed un'altra dedicata a mostrare tutte le sue opere. Ben presto, però, mi sono reso conto che non funzionava. Avevo notato quanta emozione e partecipazione mostrava ogni volta che il suo sguardo si posava su una foto. Era come se rivivesse il momento e l'intenzione che lo aveva portato a quel risultato. Tutto, però, svaniva, quando tornava a parlare con me. Ma io volevo continuare a vedere quel coinvolgimento. Così ho deciso di rigirare immergendolo in una vera e propria dark room. Qui, praticamente solo con uno schermo sul quale scorreva il suo lavoro, è tornato ad essere in connessione emotiva. Era il tipo di intimità che desideravo ricreare arricchita da un grande potenziale di comunicazione."
Una famiglia particolare
Ad affiancare Wenders in questo lavoro, però, c'è anche un documentarista speciale. Si tratta di Juliano Ribeiro Salgado, il figlio del protagonista che, attraverso questo lavoro, prova a dare il suo punto di vista su di un padre quasi sconosciuto. "Ogni famiglia è speciale - chiarisce Wenders - ma al suo interno ancora più particolare è il rapporto tra padre e figlio. Quando Salgado prese la decisione di lasciare il suo lavoro da economista e dedicarsi alla fotografia, ha coinvolto in questo cambiamento tutta la famiglia. La moglie è stata la sua grande alleata non solamente perché editor del suo lavoro, ma perché si è presa da sola la responsabilità di crescere un figlio. Lontano da casa per mesi interi, quando tornava si buttava a capofitto nel lavoro e nello sviluppo delle sue immagini. In questo modo Juliano non ha avuto la possibilità di conoscere suo padre. Diventato documentarista, però, ha deciso di colmare questa distanza e di partire per un viaggio avventuroso con lui e con me. In questo modo mi ha offerto un punto di vista completamente diverso che ha completato è arricchito il mio. Oggi sono sicuro che non avrei potuto fare questo film senza di lui."