"Volevo creare la suspense partendo dagli elementi quotidiani della vita come ascensori, corridoi, nebbia, silenzi e fotografie. L'atmosfera attinge dal noir e dal gotico per descrivere l'ambiguità e il peso del non detto. In questo senso l'opera è il frutto del mio incessante desiderio di turbare, commuovere e sconcertare gli spettatori". Con questa intensa descrizione Isabel Coixet introduce il suo Another me, in Concorso al Festival di Roma. Basato sul romanzo omonimo di Cathy MacPhail, il film propone una nuova variazione sul tema del doppio e uno sguardo sull'universo adolescenziale in lotta con la ricerca di un'unica e definitiva personalità. A dare forma alle ossessioni della regista sono la giovane Sophie Turner, meglio conosciuta per la sua interpretazione di Sansa Stark ne Il trono di spade, Gregg Sulkin e Jonathan Rhys Meyers, tornato al cinema dopo una lunga assenza.
Come è nato il suo interesse per questa vicenda divisa tra thriller e sovrannaturale? Isabel Coixet: Molti anni fa, più o meno ventiquattro, Rebekah Gilbertson ed io abbiamo iniziato a sviluppare un progetto che poi venne accantonato. Nonostante tutto, però, ci era rimasta la voglia di lavorare insieme. Così, quattro anni fa mi ha dato il romanzo della MacPhail per accompagnarmi nel viaggio da Londra a Barcellona. Una volta arrivata a casa, ero decisa a volerne fare un film. C'era qualche cosa che mi toccava nel profondo, visto che sono madre di una adolescente. Inoltre mi ha riportato alla mente molte cose, soprattutto come mi sentivo io a quell'età.
Il noir è tradizionalmente un genere maschile. Qui, invece, ci troviamo in un universo in maggioranza femminile. Questa particolarità cosa ha aggiunto al film?Nel fare il mio lavoro metto tutta la forza che mi viene dall'essere una donna, la mia storia perdonale, l'esperienza dell'età e la conoscenza raggiunta. Inoltre adoro lavorare con le donne ma trovo stimolanti anche gli attori dotati d'intelligenza e senso dell'umorismo.
Solitamente il thriller psicologico gioca le sue carte sulla disseminazione d'indizi e sul colpo di scena finale. In questo caso, invece, lei rende tutto molto più chiaro fin dall'inizio. Perché questa scelta?
Per me la sfida non era costruire un mistero ma comprendere come riusciamo a convivere con i nostri fantasmi. Centrale è la quotidianità famigliare, piuttosto chiusa, e il peso del passato che si fa sentire sui diversi componenti. Questo è stato lo scopo principale del mio lavoro.
Guardando alcune immagini del suo film, si avverte una certa influenza del cinema giapponese di fantasmi. E' d'accordo con questa lettura? Isabel Coixet: Amo molto il Giappone ed in modo particolare sono appassionata di quella cinematografia che acquisisce in modo naturale la presenza dei fantasmi. Però, più che dal cinema, mi sento influenzata dalla loro letteratura, soprattutto da quella più attuale. D'altronde, tutti noi conviviamo con i nostri fantasmi, più o meno amati.
Il film è tratto dal romanzo omonimo di Cathy MacPhail. Qual'è stato il rapporto con il testo originale?Il libro è stato un punto di partenza, ma quando abbiamo sviluppato la sceneggiatura ho cambiato alcuni elementi, soprattutto quelli più complessi da rendere sullo schermo. Comunque l'autrice è molto soddisfatta del lavoro svolto sul suo materiale.
Sophie, come si gestisce lo stress di essere parte di un progetto come quello de Il trono di Spade? Sophie Turner: Non è mai stato particolarmente stressante, nemmeno quando ero più giovane. Probabilmente lo sarebbe di più se dovessi pagare un mutuo con il mio lavoro. Recitare in un universo fantasy come quello de Il trono di spade è molto stimolante. Certo, ci sono degli elementi che mettono a dura prova la tua stabilità come ciò che viene scritto su di te, ad esempio. Tutto questo, però, fa parte pacchetto generale e non possiamo fare altro che accettarlo.