Giuseppe Tornatore è diventato una delle voci più conosciute del panorama internazionale, pur rimanendo sempre fedele alle sue origini siciliane. Sarà per questo motivo che, nonostante abbia conquistato l'America e il premio Oscar con Nuovo Cinema Paradiso, il regista non ha mai ceduto alla tentazione di mutare il suo stile, rimanendo affettivamente legato ad un mondo circoscritto dove, ancora oggi, s'incontra un'umanità allo stesso tempo drammatica ed esilarante. Il suo percorso creativo, iniziato alla metà degli anni Ottanta con il documentario Le minoranze etniche in Sicilia, nasce dunque da una sintesi tra la poetica delle emozioni e l'impegno civile ereditato dal padre Peppino, per molti anni sindacalista della CGIL. A dimostrarlo è la collaborazione con Giuseppe Ferrara per Cento giorni a Palermo e il debutto ufficiale alla regia con il film Il camorrista, ambientato nel mondo della malavita napoletana. Ma è il clamoroso successo di Nuovo Cinema Paradiso ad aprirgli le porte dell'autorialità. Grazie a questo realizza Stanno tutti bene, aggiudicandosi una delle ultime interpretazioni di Marcello Mastroianni, Una pura formalità con la coppia insolita Roman Polanski/Gerard Depardieu, L'uomo delle stelle, grazie al quale torna a rubare sogni nella sua terra, e l'impegnativo La leggenda del pianista sull'oceano con Tim Roth accompagnato dalla colonna sonora di Ennio Morricone. Oggi, dopo aver collezionato altri successi (Malena, La Sconosciuta) ed essersi preso un una breve pausa, il regista torna al Festival di Roma come oggetto cinematografico all'interno del documentario Giuseppe Tornatore - Ogni film un'opera prima realizzato da Luciano Barcaroli e Gerardo Panichi, per un viaggio attraverso la nostalgia dei ricordi e l'energia dei progetti futuri che vedono in cantiere due film importanti; The Best Offer, con un cast internazionale formato da Jim Sturgess, Donald Sutherland e Geoffrey Rush, e Leningrad, tratto da una sceneggiatura di Sergio Leone.
Signor Tornatore, non è certo la prima volta che il lavoro svolto da lei in questi anni si trova al centro di un'opera documentaristica, ma è sicuramente inedita la concessione di aprire e usufruire dell'archivio personale. In che modo ha collaborato con Barcaroli e Panichi nella gestione di questo materiale? Giuseppe Tornatore: Devo essere onesto, dopo aver accettato la loro proposta e aver concesso l'accesso all'archivio, non ho interferito minimamente con il lavoro. Anzi, non ho mai voluto sapere troppo su cosa stessero facendo e su come avessero deciso di organizzare il progetto. In fondo, trattandosi di un documentario su di me, mi sarei sentito incredibilmente in imbarazzo a comportarmi in modo diverso. Posso dire, invece, di aver apprezzato il modo in cui hanno frantumato il concetto stesso d'intervista. I nostri incontri non sono mai stati continuativi. Spesso mi chiamavano per sapere la mia disponibilità per l'intervista, poi organizzavamo un altro incontro a sei mesi di distanza. In questo modo hanno creato una tridimensionalità anche nel mio modo di relazionarmi alle domande. Inoltre, ho apprezzato la serietà con cui l'hanno prodotto. Oggi giorno puoi realizzare un documentario in pochissimo tempo. Basta avere una telecamera digitale ed i programmi giusti per montare le immagini di repertorio. Luciano e Gerardo, invece, hanno tenuto in piedi questo progetto per due anni, scandagliando ogni fotogramma presente nell'archivio. Vi assicuro che questa è un'attività che costa molta fatica.
Qual è il materiale che avete visionato e poi utilizzato? Gerardo Panichi: Siamo partiti dai Super 8. In questi filmati abbiamo scoperto una grande forza evocativa che ci ha permesso di raccontare immediatamente un aspetto inedito di Giuseppe prima che diventasse Tornatore. Aprendo con le sue sperimentazioni giovanili abbiamo eliminato tutte le sovrastrutture che successivamente hanno caratterizzato l'autore, per andare al cuore dell'uomo e della sua attenzione per l'immagine e l'emozione.Luciano Barcaroli: Tutto il materiale a nostra disposizione ha mostrato una vitalità eccezionale, svelandoci il mondo di un regista incuriosito da ciò che lo circonda. Il paradigma del suo cinema è la qualità umana. Per questo possiamo dire che in Tornatore gli occhi e il cuore lavorano in simbiosi completa.
Molti dicono che Tornatore sia una persona tendenzialmente schiva. Come siete riusciti ad espugnare questa fortezza?
Gerardo Panichi: In realtà non è stato difficile, probabilmente perché ci siamo confrontati su un terreno di interesse comune come il cinema. Anzi, devo dire che Giuseppe si è aperto con grande generosità, diventando un pozzo senza fine di storie e intuizioni.
Luciano Barcaroli: Non credo che sia giusto parlare di fortezza espugnata, visto che ci siamo trovati a confronto con una persona disponibile sia per quanto riguarda le risposte che per il tempo messo a nostra disposizione. Inoltre, non dobbiamo sottovalutare il fatto che Giuseppe si è messo seriamente in gioco con noi, offrendo a due registi poco conosciuti la sua fiducia.
Lei, però, nel film ci apre anche uno spiraglio sul futuro attraverso l'intervento di Geoffrey Rush, uno dei protagonisti del suo prossimo film The Best Offer. Cosa può dirci riguardo alla sua realizzazione e a quella del tanto atteso Leningrad? Giuseppe Tornatore: Per quanto riguarda The Best Offer abbiamo finito le riprese e l'uscita è prevista per i primi di gennaio. In questo momento sto lavorando al missaggio della versione originale e al doppiaggio italiano. Leningrad, invece, è un progetto che ho in cantiere da molto tempo e che ha suscitato l'interesse di un produttore americano. Questi, ha avuto l'infelice o felice idea di parlare del suo coinvolgimento durante una conferenza al festival di Cannes e, da quel momento, è stata considerata da tutti come la mia prossima pellicola quando in realtà ne stavo girando un'altra. Tornando ad un discorso pratico, invece, posso solamente dire che per ora stiamo cercando di risolvere i vari problemi produttivi, che non sono certo pochi, quindi il condizionale sulla sua realizzazione è d'obbligo. Anche se mi sono ripromesso di annunciare l'inizio delle riprese solo quando le avrò terminate.