E' durata due anni l'assenza di Richard Gere dal Festival Internazionale del Film di Roma che lo accoglie di nuovo a braccia aperte dopo l'exploit di Hachiko - Il tuo migliore amico, la pellicola di Lasse Hallstrom presentata fuori concorso nel 2009. Gli organizzatori della rassegna cinematografica capitolina hanno deciso di assegnare al brizzolato più famoso di Hollywood il Marc'Aurelio all'attore, che gli verrà consegnato domani alle 18.30; questa sera, invece, dopo aver ricevuto la Lupa Capitolina dalle mani del sindaco di Roma, Gianni Alemanno, Gere presenzierà in Sala Sinopoli alla proiezione della versione restaurata di I giorni del cielo, il film di Terrence Malick in cui recitava al fianco di Brooke Adams e Sam Shepard. Un'esperienza importante quella avvenuta oltre 30 anni fa al fianco del regista Palma d'Oro per The Tree of Life, ma che a giudicare dalle parole dette da Gere in conferenza stampa sembra non averlo segnato più di tanto.
Signor Gere, che effetto le fa rivedersi giovanissimo nel film di Malick?Io non mi ricordo quasi niente di quei momenti, ero così giovane, avevo solo 26 anni. Oltretutto non mi sono mai rivisto in quel film. Io e mia moglie non vediamo l'ora di assistere alla proiezione di questa sera. So che la copia che verrà presentata è davvero molto bella, quasi perfetta. Lo so che questo discorso può sembrare strano, ma per me fare l'attore è solo un mestiere, non ho aspettative eccessive nei confronti di questo lavoro. Prendo sul serio la vita, quello sì. Certo, quando recito cerco di dare il meglio di me, ma sono umile perché so che quello che faccio non è granché. Non voglio dare l'impressione che non dare importanza a ciò che faccio, ma cerco solo di non esagerare. Ancora rimango sorpreso quando mi vengono presentate delle sceneggiature, in particolare mi piacciono quelle che sollevano interrogativi, che mi portano alla scoperta di un pezzo di me. Ecco, recitare è un viaggio di vita ed è ancora un piacere per me fare questo lavoro, altrimenti mi fermerei. E credetemi non sarebbe un problema.
E allora che significato ha il premio che riceverà domani per lei?
Ha un significato enorme. Io amo Roma e l'Italia e se non sbaglio il mio primo riconoscimento internazionale è stato il David di Donatello proprio per l'interpretazione di I giorni del cielo. L'importante è che il premio non significhi che la mia carriera sia ormai arrivata al capolinea, vero? (ride)
Com'è cambiato il cinema dai suoi esordi?
Tantissimo, ovviamente. Ho avuto la fortuna di lavorare nell'era d'oro del cinema. Negli anni Sessanta, Settanta e Ottanta, gli studios erano ancora pronti a correre dei rischi. Si facevano dei film senza spendere una fortuna e noi, armati di machete, andavamo nella giungla e facevamo quello che ci piaceva. Oggi è davvero difficile fare i piccoli film. Purtroppo soldi ed energia non bastano più. Avevo una piccola casa di produzione ma alla fine mi sono reso contro che era solo uno spreco di tempo e di denaro, nonostante abbia prodotto dei film che mi piacevano. Mi dispiace soprattutto per i registi che iniziano a lavorare oggi, perché devono seguire regole che non sempre incoraggiano alla creatività.
Beh, tutti provano un certo disagio nei confronti del mondo in cui viviamo. Io ho cercato di capire meglio il perché di questa cosa e ho iniziato a fare degli studi, delle ricerche. Avevo poco più che vent'anni e Il buddismo mi colpì per diversi motivi e a diversi livelli. Grazie al buddismo noi riusciamo a entrare nella profondità della realtà, cogliendone la verità e dissipando quel velo di scetticismo che ci fuorvia. Quando arrivi alla verità, si diventa più generosi, si provano maggiore amore e condivisione. Non posso dire di essere giunto alla fine del mio percorso, ma sono sulla strada giusta per andare oltre le menzogne. Tenendo conto che il buddismo non è un fine, il fine è la libertà.
E' un messaggio improntato all'ottimismo il suo...
Parlo così perché ho una certa età ormai, ma è vero. Dobbiamo semplicemente risvegliarci dall'incubo, anche se siamo abituati a conviverci.
A proposito di nuovi incubi, proprio ieri qui a Roma è stato presentato Too Big to Fail - il crollo dei giganti, il film di Curtis Hanson dedicato al crash della Lehman Brothers. Come sta vivendo questi giorni di grandi proteste per la crisi economica?
Mi dispiace di non aver visto il film, ma posso dire di aver amato alla follia Inside Job, un'opera perfetta perché ha mostrato in maniera chiara l'avidità senza confini di certe persone. Gente che oltretutto non è stata punita per i suoi crimini, ma che anzi ha avuto anche incarichi governativi. Capisco la rabbia dei manifestanti, è come essere stuprati. Ma l'avidità può essere sconfitta e anche i cattivi potranno essere redenti. A patto che ognuno di prenda le proprie responsabilità.
Lei è da sempre molto vicino alle questioni legate al Tibet, le piacerebbe fare un film su questo argomento? O magari sul Dalai Lama...
Ho letto una grande quantità di sceneggiature sul Tibet e francamente non ne ho ancora trovata una di reale valore. Il punto è che io sono molto legato a questo argomento, per questo divento molto più critico. E allora mi limito a prestare la mia voce per i documentari, l'unico mezzo in grado di raccontare la verità. E' un piccolo contributo, ma farei di tutto per i miei fratelli e le sorelle tibetani. Quanto al Dalai Lama, la sua è una vita talmente straordinaria che dovremmo essere tutti grati di vivere nella sua stessa epoca.
Quali sono per lei i valori importanti nella vita?
Mia moglie e mio figlio sono al primo posto, così come i miei maestri. Sono appena tornato dal Nepal dove ho partecipato al rito per la morte di uno dei miei maestri, una figura che ha avuto una grossa influenza nella mia vita. Ecco, è tutto qui.
Ryan Gosling. Mia moglie lo adora!
Quanto la tecnologia ha cambiato il mondo del cinema?
Ricordo che durante le riprese di Cotton Club Francis Ford Coppola sosteneva che lui era in grado di girare un film con il computer e noi gli abbiamo dato del pazzo. Quindi per rispondere alla domanda dico che la tecnologia ha fatto enormi passi in avanti, ma è relativa perché cambia in continuazione. La magia dell'interpretazione non può essere generata al computer. L'attore può essere utilizzato come base per un'elaborazione digitale, però alla fine si tratta sempre di raccontare una storia.
E qual è la sua storia? Ricorda il momento preciso in cui ha deciso di diventare un attore?
Ma io non ho ancora deciso! (Ride) Quando crescerò forse...Torniamo seri. immagino volessi diventare un attore, altrimenti non sarebbe successo. Io amavo il teatro ed esibirmi sul palcoscenico davanti al pubblico. Era una cura contro la timidezza. Ricordo che quando ho ottenuto il primo ruolo della mia carriera ero all'università. Mi telefonarono per dirmi che avevo vinto il provino e provai un calore incredibile che saliva dai piedi fino alla testa. Lì ho capito che la mia vita sarebbe stata questa, mi sono detto, 'Ecco quello che devo fare e sta succedendo adesso'. Ero così pieno di energia che ho cominciato a correre per diverse miglia. E' stato un momento bellissimo.
E adesso cosa vorrebbe dalla sua carriera? Ha mai pensato di lavorare in televisione?
Certo! Magari in un film della HBO. E poi, beh forse potrei provare con la regia. Anche se la prospettiva mi spaventa un po'. Soprattutto mi dispiacerebbe dedicare un anno e mezzo della mia vita ad un progetto che rischierebbe di distogliermi dalle cose importanti della vita. Vorrei anche andare sulla Luna un giorno.