Mai sottovalutare il potere catartico del cinema. Fin dai tempi del muto, il disaster movie ha preso piede sul grande schermo terrorizzando e al tempo stesso incantando il grande pubblico. Lontano dalla realtà, al sicuro nel ventre della sala buia, gli spettatori si sono nutriti di catastrofi naturali, uragani, terremoti e tsunami, hanno gustato spettacolari incidenti aerei, piogge di meteoriti, mostruose bestie feroci in azione, invasioni aliene, crolli di grattacieli, esplosioni e morbi incontrollabili che si diffondono generando apocalissi di varia specie. È datato 1916 il danese The End of the World che mostra i danni causati dal passaggio di una cometa vicino alla Terra, ma già tre anni prima Eleuterio Ridolfi e Mario Caserini raccontavano l'eruzione del Vesuvio ne Gli ultimi giorni di Pompei.
Con la Guerra Fredda si moltiplicano le pellicole allegoriche in cui catastrofi e invasioni aliene sublimano il timore per il rischio di una guerra nucleare, ma è negli anni '70 che il disaster movie dà il meglio di sé producendo classici come L'inferno di cristallo, L'avventura del Poseidon, Airport, Cassandra Crossing e Sindrome cinese. Dopo i fuochi d'artificio, per vedere le prime innovazioni nel genere catastrofico dovremo attendere gli anni '90 con la comparsa sulla scena di Hollywood di un regista europeo.
Classe 1955, Roland Emmerich nasce a Stoccarda, ma abbandona ben presto il rigore della Germania Est per dirigersi verso la più farfallona Hollywood. D'altronde a spingerlo a fare il regista era stata la visione di Guerre stellari, come lui stesso dichiarerà: "Sono andato a scuola di cinema nel 1977 quando Fassbinder e Wenders erano gli eroi di tutti; ma era anche l'epoca di Star Wars e Incontri ravvicinati del terzo tipo e queste, per me, sono state opere seminali. Sono un grande amico di Wim Wenders, ma questo non significa che mi debbano piacere i suoi film. Molti mi piacciono. Molti li trovo noiosi. E glielo direi in faccia". Con premesse come queste non è difficile capire la scelta di Emmerich di muovere i primi passi nel cinema producendosi da solo pellicole non in linea col gusto tedesco come i fantascientifici Joey - Making Contact e Moon 44 - Attacco alla fortezza, ma è suo il merito di aver esordito con il film fatto da studenti più costoso della storia, 1997 - Il principio dell'arca di Noè, ancora science fiction, ma talmente convincente da guadagnarsi il concorso alla Berlinale del 1994. Costato 1.000.000 di marchi tedeschi, il film segna la prima esperienza di Roland Emmerich con i budget stratosferici.
Leggi anche: Roland Emmerich: "I supereroi Marvel sono stupidi"
Independence Day: gli alieni sono tra noi
Nel 1992 Roland Emmerich si trasferisce definitivamente negli USA stringendo una solida partnership con lo sceneggiatore e produttore Dean Devlin. Insieme i due realizzano l'hit Stargate, due anni dopo è invece la volta di Independence Day. Come determinare gli ingredienti esatti del successo stratosferico del disaster movie fantascientifico? A un'attenta disamina scopriamo che la ricetta Emmerich prevede un patriottismo da manuale (lui, europeo, si dimostra capace di parlare dell'America meglio di un americano), di una certa ingenuità di fondo (ricordate la sospensione dell'incredulità?), del recupero della tradizione sci-fi anni '50-'60 e della spettacolarità estrema favorita dal budget elevato che, nello specifico, si aggirava sui 75 milioni di dollari. Per la cronaca Independence Day ha incassato oltre 300 milioni di dollari solo in patria, a cui vanno aggiunti altri 500 milioni raccolti nel resto del mondo. Cifre da capogiro, non c'è che dire.
Leggi anche: Bill Pullman: "Ho salvato il mondo dagli alieni. Ora tocca a Hillary Clinton"
Il disaster movie è un genere rigidamente codificato e, pur catturando l'interesse del grande pubblico, sono poche le pellicole realmente degne di nota a livello qualitativo. Cosa possiede Independence Day di così speciale da elevarsi dalla massa dei blockbuster fracassoni? Quando il film approda nelle sale, l'America non sta vivendo un'epoca tranquilla. Negli anni precedenti all'uscita del disaster movie gli USA avevano mostrato ancora una volta l'anima imperialista scatenando le due Guerre del Golfo e partecipando alla guerra dei Balcani con continui raid. In più alcuni stati americani erano lacerati dalle rivolte dei neri dei ghetti, tra le quali la più celebre e violenta fu quella dei Los Angeles Riots del 1992. Appena giunto negli USA, Emmerich si sintonizza immediatamente sulla lunghezza d'onda di questo malcontento sublimando timori e irrequietezze della popolazione. Sua è la scelta di affidare all'afroamericano Will Smith il ruolo dell'eroe di turno, un eroe black, mentre il rassicurante Bill Pullman interpreta un Presidente umano, imperfetto, ma coraggioso e patriottico, capace di sporcarsi le mani e scendere in campo in prima persona per la difesa della propria nazione. Una figura con cui gli spettatori possano empatizzare. Scelta furba? Senza dubbio, ma le frecciatine ironiche ai danni del comportamento di certi politici non mancano nella rappresentazione dell'ottuso Segretario alla Difesa Nimzicky e nel coup de theatre piazzato da Emmerich a metà film.
Leggi anche: Independence Day: 10 cose che (forse) non sapete sul film di Roland Emmerich
Quando Bill Pullman liquida le notizie su Roswell e sul ritrovamento degli alieni come dicerie popolari, con ironia tutta europea Emmerich fa svelare al Segretario della Difesa che in realtà un fondo di verità c'è e conduce tutti nel bunker sotterraneo dell'Area 51 in cui da anni, nel massimo riserbo, si analizzano e vivisezionano veri alieni. Il regista ha il merito di dar vita a un antagonista epico la cui minacciosa ombra è in grado di paralizzare gli spettatori ben prima dell'arrivo delle creature aliene vere e proprie, la cui visione viene abilmente ritardata il più a lungo possibile. Mago della suspence, Emmerich si concentra sulle vivaci vicende dei personaggi terrestri, tutti più o meno eccentrici, in un grande intreccio in cui vengono portate avanti alternativamente le varie storie. Questa forma narrativa diverrà una costante del suo cinema. E che dire della scelta di distruggere i simboli del potere, americano e mondiale - dal London Bridge all'Empire State Building, dal Big Ben alla Tour Eiffel - in una spettacolare e catartica orgia di distruzione?
Leggi anche:
Godzilla: l'avventura del remake
Nel 1998 Roland Emmerich attinge al mito giapponese di Godzilla rielaborandolo alla sua maniera. Il film, il 23° con il celebre mostro, è anche la prima pellicola hollywoodiana che ospita il lucertolone da incubo. L'origine del mostro viene modificata, infatti non si tratta più di un dinosauro sopravvissuto all'estinzione e risvegliato dai test nucleari, ma di un'iguana geneticamente modificata dalle radiazioni degli esperimenti nucleari francesi in Polinesia che sputa fuoco e si nutre di pesci. La sospettosa somiglianza con alcune creature di Jurassic Park lascia pensare a un tentativo di occidentalizzazione dei temi e delle forme rispetto all'originale. La scelta di rendere più animalesca e meno fantasiosa la creatura mostra la volontà di Emmerich di radicarla in un contesto più realistico, ma in questo modo Godzilla viene anche indebolito e privato in parte della sua eccezionale forza distruttiva.
Se il Godzilla originale dirigeva la sua rabbia verso il Giappone, stavolta la creatura punta verso gli USA, per l'esattezza New York, e sceglie l'isola di Manhattan per deporre le sue uova. In un afflato politico-ambientalista il colpevole dei crimini contro la natura incarnati da Godzilla è l'Occidente, Francia capitalista in testa. Il nemico che Roland Emmerich ha in testa è probabilmente Jacques Chiraq, colpevole di aver ripreso gli esperimenti a Mururoa nel 1995, solamente tre anni prima dell'uscita di Godzilla. Il lucertolone, neanche a dirlo, è un prodigio delle tecnica e le sue gesta rabbiose danno la possibilità al regista di sfoderare il suo campionario catastrofico prendendo di mira la città di New York e i suoi grattacieli, il Madison Square Garden, Central Park e perfino la metropolitana.
L'elemento umano del film è rappresentato in primis dai due protagonisti, lo scienziato specializzato sugli effetti delle radiazioni sul DNA animale interpretato da Matthew Broderick e il Comandante dei servizi segreti francesi incarnato da Jean Reno. Se Emmerich dà a Reno l'occasione di redimersi nel corso del film, l'inettitudine dell'esercito che si mette sulle tracce di Godzilla è massima: si pensi all'incapacità delle forze armate non solo di catturare il mostro, ma anche di seguirne le tracce. Per quanto la scelta di rendere più animalesca, e quindi più fragile, la creatura mitologica ne determinerà la fine, è l'inettitudine dell'esercito l'elemento che interessa mettere in luce a Roland Emmerich, determinato a usare il disaster movie come mezzo per denunciare i mali della società, anche quando la denuncia è sepolta sotto un cumulo di macerie e CGI.
The Day After Tomorrow: il blockbuter ecologico
Dopo una lunga pausa, Roland Emmerich torna alla regia nel 2004 con un blockbuster "impegnato" (si fa per dire). Dopo aver attinto alla tradizione filmica, stavolta il regista volge lo sguardo all'attualità. Spunto per The Day After Tomorrow - L'alba del giorno dopo è il libro di Art Bell e Whitley Strieber The Coming Global Superstorm, il quale ipotizza una nuova glaciazione dell'emisfero boreale dovuta a un'accelerazione improvvisa degli effetti del global warming. Prima e durante l'uscita del film i membri di alcune associazioni ambientaliste colsero l'occasione per distribuire volantini illustrativi che descrivevano i possibili effetti del surriscaldamento del pianeta. Se un fondo di verità sulle teorie enunciate dal paleoclimatologo Jack Hall, interpretato da Dennis Quaid, c'è, naturalmente l'estremizzazione volta alla spettacolarizzazione degli effetti dell'inquinamento e del surriscaldamento hanno ben poco di scientifico. Le teorie scientifiche legate alle conseguenze del global warming e dell'alterazione della circolazione della corrente nord-atlantica sono tanto abborracciate da far entrare The Day After Tomorrow nella top ten dei film più inaccurati di sempre dal punto di vista scientifico. Ma poco importa, si sa che per Roland Emmerich lo spettacolo viene prima di tutto.
Come in tutti i suoi disaster movie, anche stavolta il regista tedesco pone l'accento sul rapporto padre/figlio mettendo in scena la relazione conflittuale tra Jack Hall, padre assente risucchiato dal lavoro, e il figlio Sam Hall/Jake Gyllenhaal, studente modello rassegnato alle manchevolezze paterne. Questo legame è il vero motore del film visto che, tra le varie vicende narrate, stavolta è focale la decisione di Jack Hall di attraversare parte degli Stati Uniti sotto glaciazione per raggiungere il figlio bloccato nella Biblioteca Pubblica di New York. Che poi l'approfondimento psicologico dei personaggi sia appena accennato per via della necessità di lasciare il necessario spazio allo spettacolo, è solo conseguenza delle dure leggi del blockbuster. La storia della famiglia Hall è una microstoria inclusa nella macronarrazione delle vicende degli abitanti della parte nord del pianeta che devono trovare il modo di spostarsi a sud in massa prima di morire assiderati. Anche stavolta la decisione spetta agli Stati Uniti, all'aggressiva politica decisionale del Vice Presidente Becker (Kenneth Welsh) cui fa da contraltare un presidente debole e incerto che ha il volto di Perry King. Questa scelta narrativa è un richiamo neppur troppo sottile alla figura di Dick Cheney, in un'aperta critica di Emmerich al disinteresse per le tematiche ambientali mostrata dell'amministrazione Bush.
Anche stavolta non manca il graffio alla Emmerich. Se in Independence Day il regista si faceva beffe di certe scelte politiche americane attraverso la messa in scena di Roswell e dell'Area 51, stavolta la stoccata va al rigido controllo dell'immigrazione e delle politiche violente per respingere gli immigrati messe in atto al confine col Messico. Stavolta a incolonnarsi verso Sud sono i ricchi americani, costretti ad abbandonare i loro beni e le loro auto per entrare come "clandestini" in Messico guadando il Rio Grande di fronte ai confini chiusi. Il Messico accetterà gli americani solo dopo la promessa della cancellazione del debito per tutti le nazioni del Sud America.
Il piano pubblico e il piano privato si intersecano negli sforzi di Jack Hall volti al contenimento dei danni per la nazione e al tentativo di salvare il figlio. A differenza dei precedenti disaster movie l'eroe può fare poco altro, visto che in questo caso la causa che ha determinato la catastrofe (l'inquinamento) non è controllabile e non si può combattere nel breve tempo. Anche stavolta l'energia iconoclasta di Emmerich si libera sbizzarrendosi nella distruzione dei simboli della cultura e società americana, dall'Hollywood Sign e dalla Torre della Capitol Records, smembrati dai tornado che si abbattono su Los Angeles, alla Statua della libertà sommersa dalla neve. Il deus ex machina questa volta non viene esplicitato e nel pre-finale del film gli astronauti che monitorizzano la situazione meteo della Terra dallo spazio assistono al il dissolversi improvviso della perturbazione che abbandona i cieli dell'Europa Occidentale, finalmente sereni, con l'Italia in bella mostra al centro dell'inquadratura. Sarà un caso?
2012: l'Apocalisse secondo Roland
Il modello The Day After Tomorrow si rivela vincente, così Roland Emmerich lo ripropone con le dovute variazioni cinque anni dopo in 2012. Il regista ammette di aver sempre desiderato realizzare un disaster movie apocalittico che rievochi il biblico diluvio universale. L'occasione nasce dal libro di Graham Hancock Impronte degli dei, dove si ipotizza una catastrofe di grandi proporzioni avvenuta nell'antichità che ha cancellato le impronte di una civiltà dotata di conoscenze superiori. Fondendo il tutto con previsioni catastrofiche in stile Nostradamus e profezie Maya, il regista immagina che a essere spazzati via nell'infausto 2012 siano proprio gli esseri umani. Come nel precedente The Day After Tomorrow, la distruzione del Pianeta Terra è inarrestabile perché dovuta a imperscrutabili cause naturali. Una serie di tempeste solari riscaldano il nucleo dislocando la crosta terrestre e generando terremoti, eruzioni vulcaniche e tsunami. È dunque impossibile per gli eroi di turno fare qualcosa per bloccare la catastrofe, se non cercare di salvare il maggior numero di persone possibili.
Assodato anche lo schema narrativo dei racconti incrociati che viene riproposto e amplificato grazie alla presenza di un manipolo di carismatiche star. Da una parte abbiamo John Cusack nei panni di Jackson Curtis, scrittore visionario divorziato che sbarca il lunario facendo l'autista a un ricco uomo d'affari russo, Chiwetel Ejiofor è un giovane scienziato che sta studiando l'intensificarsi dei strani fenomeni che colpiscono sempre più frequentemente varie regioni della Terra, mentre Woody Harrelson dà vita allo svitato Charlie Frost, deejay hippie esperto di complotti che annuncia la fine del mondo denunciando un piano governativo per salvare una piccola parte della popolazione. Il piano esiste davvero. Nel nord del Tibet i governi del mondo stanno costruendo alcune ipertecnologiche arche di Noè su cui far salire a coppie tutte le specie animali, oltre a una ristretta fetta della popolazione. Al di là di politici, medici e scienziati, sulle Arche c'è posto per industriali e magnati che posseggono il denaro necessario per comprarsi il biglietto e con esso la salvezza. Poteva mancare il Presidente americano di turno? Certo che no! Stavolta a interpretarlo è l'afroamericano Danny Glover, in mood propiziatorio per l'elezione di Obama. Ecco un altro Presidente coraggioso e pronto al sacrificio che va ad unirsi alla galleria dei capi di stato esemplari tratteggiata da Emmerich.
2012 ha un andamento centripeto. Man mano che la catastrofe avanza, tutti i personaggi vanno a concentrarsi nel luogo chiave del film, quel Tibel vessato dal governo cinese (Emmerich ce lo suggerisce con pochi significativi tratti) in cui si stanno costruendo le arche. Con l'ennesimo tocco di ironia, mentre la distruzione si abbatte sui luoghi più rappresentativi della Terra, il Presidente americano sceglie di morire insieme alla sua gente e rifiuta il posto nelle arche. Curiosamente fa lo stesso il Capo di Stato italiano che si ritira in preghiera (!) in Piazza San Pietro insieme al Papa. In concomitanza con l'aumento dei budget e delle risorse tecnologiche a disposizione, aumenta anche l'uso di effetti speciali. 2012 è un giocattolone immenso e spettacolare in cui vengono mostrate vertiginosi immagini di terremoti e uragani che distruggono la California, spazzano via i parchi naturali, polverizzano monumenti e sbriciolano il Corcovado. Di fronte a questa pletora di immagini roboanti si dipana il cuore del disaster movie. Le sceneggiature non saranno curate, le teorie scientifiche non saranno credibili, ma il cinema di Roland Emmerich vive di accumulo, spettacolo, vertigine e caos creativo. Il tutto senza rinunciare a uno sguardo caustico sull'attualità in puro stile teutonico.