Non ho mai fatto il film che volevo fare. Qualsiasi cosa faccia, non va mai esattamente come speravo. - Roger Corman
Ci sono delle figure che hanno attraversato la Storia del Cinema, riuscendo a ritagliarsi uno spazio al suo interno, lasciando un nome, un'impronta o un residuo e considerandolo, a ragione, un onore immenso. Altre sono riuscite addirittura ad indirizzarlo, generando delle increspature, creando novità, divenendo parte di una nuova corrente. Roger Corman, scomparso il 9 maggio 2024 all'età di 98 anni nella sua casa a Santa Monica, è stato uno dei pochissimi che si è spinto oltre.
Fin dall'inizio della sua eclettica carriera (è passato dall'essere corriere a produttore, passando per lettore, sceneggiatore, attore e, soprattutto, regista), Corman è sempre riuscito a lavorare guardando avanti. Lo dimostrano il suo pressoché totale dominio nel mondo del cinema indipendente per circa mezzo secolo, la sua poetica artistica, in grado di catturare lo spirito della sua epoca attraverso una prospettiva dissacrante e avanguardista, le sue logiche produttive e commerciali e la sua capacità di individuare e accompagnare le nuove generazioni, sia tra registi che tra attori divenuti poi importantissimi. Non solo, fu anche un nome fondamentale per la distribuzione su suolo statunitense di immensi cineasti come Fellini, Truffaut, Bergman e Kurosawa.
Produttore di più di 300 film e regista di circa 50 pellicole, dal western all'horror passano per la fantascienza fino al cinema di formazione, al war e gangster movie, creando saga e lasciando in eredità titoli che poi sarebbero stati affrontati in futuro (pensate a La piccola bottega degli orrori). Una mente brillante, profondamente radicata all'interno delle logiche industriali della Settima Arte (per questo in grado di alterarle, accorciando i tempi, pianificando e insegnando) e allo stesso tempo un amante profondo del suo lato artistico e collettivo. Un pioniere in grado di viaggiare costantemente a cavallo delle varie anime del cinema. Per tutto questo e anche di più Corman è stata una delle figure essenziali del cinema moderno e il suo lascito, probabilmente, rimarrà per sempre, perché quando riesci ad anticipare il futuro allora il tuo peso nella Storia non si esaurirà mai.
"Ho fatto un terribile errore"
Durò quattro giorni la carriera di Roger Corman nel mondo dell'ingegneria, tanto gli bastò per capire che non sarebbe mai stata la sua strada. La sua mente già era rivolta verso il cinema, soprattutto grazie al fratello minore, Gene, che negli anni '50 già lavorava alla 20th Century Fox.
Il primo interesse di Corman, come quello di tanti altri grandi nomi, è stato verso la parola scritta, verso la sceneggiatura, all'epoca più di oggi la sintesi perfetta, il punto di snodo e di raccordo tra l'anima creativa e quella industriale di una pellicola. Lui, come lettore, si posizionò subito in un ruolo a metà tra queste due forze. Contribuì a il Romantico avventuriero con Gregory Peck, ma non venne accreditato e dunque decise di ricominciare da capo e mettersi in proprio. Così, nel giro di poco tempo scrisse una sua sceneggiatura, FBI operazione Las Vegas, che vendette talmente bene da poter usare i ricavi per produrre il suo primo film, Monster from the Ocean Floor.
A testimonianza della sua capacità di leggere il futuro, il suo secondo film fu The Fast and the Furious, un thriller con le auto da corsa a metà degli anni '50. Un'idea così moderna da essere rivelata, decenni dopo, dalla Universal Pictures, che l'ha trasformata in una delle saghe più importanti del cinema commerciale contemporaneo. All'alba del sodalizio con ARC (poi American International Pictures), diresse il suo primo film, un western intitolato Cinque colpi di pistola. La centralità che acquisì nello studios e il successo crescente dei suoi film, culminato ne L'assalto dei granchi giganti, lo portano ad essere una realtà consolidata nel circuito indipendente. Nel 1958, tra girati e prodotti, aveva posto la sua firma su più di 40 film e già lanciato le carriere di attori leggendari come Jack Nicholson e Charles Bronson. E pensare che neanche 8 anni prima era un ingegnere che aveva commesso un terribile errore.
"I grandi studios non fanno per me"
Nel 1959 Roger e il fratello Gene fondano The Filmgroup, una società di produzione e distribuzione di film a basso costo, spesso destinati alle doppie proiezioni che si facevano all'epoca, soprattutto dopo l'avvento dei Drive-In. Un mercato che conobbe ascesa rapido e rapido declino, motivo per cui Corman decise di dare una sferzata, alzando il budget e puntano molto sul genere. Questo lo portò a inaugurare il suo ciclo di lavori ispirati alle opere di Edgar Allan Poe con La caduta della casa degli Usher del 1960, un successo incredibile di botteghino e di critica. Questa serie di film sullo scrittore britannico portò Corman ad ampliare i suoi orizzonti, lavorando in Europa anche come distributore (numerosi furono i film che prese dal cinema russo), all'epoca gli capitò anche di mettere dietro la macchina da presa uno dei suoi assistenti, un tale Francis Ford Coppola.
Dopo 15 anni nel mondo dei B Movie, Corman approda alla Columbia, ma non sboccia mai l'amore. Per la major tutte le sue idee erano "troppo strane" e, quindi ci fu un subitaneo ritorno con AIP con un capolavoro come I selvaggi, un altro successo enorme. Il suo collaboratore era Peter Bogdanovich. Nonostante un altro film importante per la 20th Century Fox come Il massacro di San Valentino, Corman decide di tornare nel suo mondo definitivamente e da lì a poco fondò la New World Pictures. Arrivati alla fine degli anni '60 egli fu uno degli esponenti della corrente lisergica hollywoodiana insieme a Nicholson e Peter Fonda e tra le sue collaborazioni figuravano nomi eccelsi come quelli di Boris Karloff, Vincent Price, Peter Lorre, Robert De Niro, Bruce Dern, Dennis Hooper, Ellen Burstyn e Pam Grier.
Un lascito eterno
Ero un regista, solo questo. - Roger Corman
La New Hollywood era in procinto di nascere e la generazione dei Movie Brats stava per fare il suo ingresso nella Storia, ma ciò avvenne perché ci fu qualcuno che aprì loro la porta principale, qualcuno che fosse per loro una "Padre Spirituale". Qualcuno che non poteva che essere Cormac, il quale fu produttore di Jack Hill, Jonathan Demme, Martin Scorsese, Francis Ford Coppola, Ron Howard e poi, ancora, Joe Dante e James Cameron. Negli stessi anni divenne il più grande distributore in America dei grandi nomi del cinema europeo al punto che nel decennio successivo il suo studio vinse più Oscar per il miglior film straniero di tutti gli altri messi insieme. Ironia vuole che egli si ritirò dalla regia proprio all'inizio di quella decade meravigliosa, nel 1971, dopo il tanto problematico Il Barone Rosso.
In seguito il suo lavoro si divise tra collaborazioni con la Universal e l'apertura di una vera e propria factory che garantiva a registi underground di trovare una ottima distribuzione a buon mercato, nata in seguito ai problemi con l'altra casa di distribuzione, la Millenium. Ormai Corman era divenuto il re del cinema pop della seconda metà del '900, creatore di un universo produttivo senza precedenti e probabilmente la personalità più importante per il cinema americano. È giusto e significativo sottolineare come più della metà della sua prolificissima attività fu prodotta fuori dall'America.
Ritornò alle regia nel 1990 per Frankenstein oltre le frontiere del tempo e recitò, invitato dai suoi figliocci, in film come Il padrino - Parte II, Swing Shift - Tempo di swing, Il silenzio degli innocenti, Philadelphia, Apollo 13, La seconda guerra civile americana, Scream 3 e Looney Tunes: Back in action. La sua influenza fu così totalizzante e il suo spirito così instancabile che insieme a Dante confezionò anche un lavoro per Netflix nel 2009, quasi 60 anni dopo il suo primo lavoro. La sua scomparsa ci ricorda come certe epoche non si chiudono mai sul serio, anche quando i suoi esponenti non ci sono più, dato che esse sono così connaturate all'essenza stessa del cinema da non finire mai, a meno che il cinema finisca con loro. Una cosa che Roger Corman non ha mai pensato possa succedere, anche se il suo sguardo verso il futuro lo portò a parlare di intelligenza artificiale e della necessità di tornare a fare arte, ristabilendo l'anima dell'industria cinematografica. La stessa che ha rappresentato così bene.