Il rombo del motore squarcia il silenzio di una periferia cittadina. Le strade si fanno arterie dove sfrecciare come sangue pompato da un cuore di marmitta. Le spalle coprono un volto che non ama mostrarsi, rimanendo nascosto dentro un casco integrale. Come sottolineeremo in questa recensione di Rodeo (distribuito da I Wonder Pictures), la protagonista del film diretto da Lola Quivoron non ha bisogno di slanci erotici, o di essere ingravidata da una macchina come nel connazionale Titane; la sua Julia, così enigmatica, così primordiale, assorbe la potenza dei cavalli, diventa un tutt'uno con la propria moto solo salendoci in sella.
Senza tante parole, ma semplicemente girando il manubrio dell'acceleratore, ecco che la Sconosciuta senza famiglia della Quivoron si fa centauro e musa di chi si nasconde o viene nascosto da autorità e sistemi giudicanti. La povertà viene sfidata a colpi di gas, mentre il senso di appartenenza a un milieu umano si sviluppa in base ai chilometri percorsi, alle acrobazie compiute in sella alla propria moto da cross.
Non plus ultra di questa riscoperta dell'unione metaforica tra uomo e macchina filtrata dallo sguardo femminile, il film presentato prima a Cannes nella sezione Un Certain Regard, e poi al Torino Film Festival, trova nella passione della sua protagonista per la velocità un sostituto per parlare di questioni sociali nascosti dietro al fumo degli scarichi di bolidi in corsa.
Rodeo: la trama
Julia non ha passato, non ha famiglia. Di lei non si sa niente (non a caso viene chiamata "la sconosciuta") ma ciò che è certo è la ragazza non ha paura del pericolo e va veloce su moto che ruba a sprovveduti venditori. La sua passione divorante è il cross su asfalto, il suo sogno fare acrobazie sollevando la ruota anteriore. Lontana dalle sue origini trova una nuova famiglia in un gruppo clandestino di uomini odoranti di testosterone, adrenalina e benzina. A colpi di 'funambulismo', Julia ha la meglio sul cameratismo dei compagni e guadagna la loro fiducia. Ma non tutti sono d'accordo e per qualcuno la libertà della ragazza rappresenta una minaccia da combattere.
Olio e sangue, motore e ingiustizie
È un inizio veloce, improvviso, che ti prende sul sedile posteriore e ti scombussola, come una moto lanciata in piena corsa, quello di Rodeo. Privo di uno sguardo a cui ancorarsi, seguiamo la sua protagonista seduti come passeggeri astanti mentre tutto scorre veloce. Ma è proprio in quello slancio di adrenalina che si raccoglie tutta la potenza del film di Lola Quivoron. Senza alcun giro di ricognizione, la storia di Julia ingrana la quinta e parte a tutto gas, lasciando dietro di sé una scia rivelatrice delle fragilità e degli stenti che attanagliano gli abitanti delle banlieue francesi. Sorella gemella di Athena, la storia di Julia depone le armi e accende i motori; quella narrata dalla Quivoron nel suo esordio alla regia è una storia che preferisce lavorare in sottrazione, concentrando il dolore sul viso sporco di sangue e olio dei propri protagonisti, relegando la loro sete di vendetta ai margini della cornice cinematografica. Sarà anche un film su un gruppo di piccoli ladri in moto, ma Rodeo preferisce vestirsi con una carrozzeria pregna di dialoghi e sequenze verbose; ciononostante, è negli inframezzi dei silenzi che si tocca quasi con mano un senso di famiglia rinchiuso in una realtà spesso ignorata, fatto di moto che sgommano e bocche che urlano. Nessun attacco diretto alle autorità; quello della Quivoron è uno sprazzo di vita colta nel suo attimo: un attimo vissuto a più 100 chilometri orari.
Icone a motore sulle strade del grande schermo
Passeggeri di una scia di vita
È un film che ruggisce, Rodeo. Sa essere selvatico e toccante, mordace e adrenalinico, serioso ed estremamente umano. Vige in questo multistrato di emozioni un equilibrio mai invadente, mai fuori luogo, perché abile a giostrare ogni cambio di umore con la stessa velocità con cui la regista cambia la focale del proprio obiettivo. Preferendo le riprese a seguire, Lola Quivoron non solo conferma il nostro ruolo di spettatori, ma ci eleva anche a quelli di passeggeri privilegiati: la sua macchina da presa è pressoché statica, poco avvezza a grandi virtuosismi, o movimenti dinamici e rischiosi. Essa si limita infatti a seguire le scie delle moto, lasciando che siano i piloti a eseguire le proprie acrobazie.
Ma nel momento in cui si abbandonano le strade o le piste, per entrare nel cuore della sfera privata dei propri protagonisti, che tutto cambia e la magia si compie: forte di una ripresa dal gusto neorealista, e di una fotografia fatta di luce naturale, lo spettatore percepisce come reale una quotidianità registrata da una macchina da presa scioltasi da canovacci inutili, e ora libera di muoversi con disinvoltura tra garage e camere da letto. Le riprese si fanno sempre più strette, per poi allargarsi in un abbraccio completo, raggruppando con uno solo sguardo uomini abituati al pericolo e una donna pronta a sabotare il sistema.
Da Kill Bill a Revenge: quando la sopravvivenza è donna
L'adrenalina è donna
Quella di Rodeo è una ragazza che scardina i pregiudizi, smantellando un pensiero vecchio e desueto che vuole il mondo dei motori - motocross compreso - "roba per soli maschi". Sembra guardare al Veloce come il vento di Matteo Rovere il film della Quivoron, ma in realtà tra i suoi strascichi di sangue e benzina non vi è alcun cognome da rivendicare, o successo famigliare da ristabilire. Quello messo in scena da Rodeo è piuttosto un saggio sulle ingiustizie e disparità sociali allestito sul palcoscenico delle corse clandestine. Dopotutto i francesi non hanno paura di raccontare e raccontarsi tra difficoltà e prevaricazioni, ancorandosi di volta in volta a temi e generi sempre differenti.
Lo hanno fatto con l'horror di The Horde, sottilmente con Quasi amici, con i drammi Athena, Saint Omer e Les Miserables, e adesso con l'adrenalina di Rodeo. Ed è proprio questa volontà di riaffermare la dignità spesso negata, o ignorata, di una fascia di popolazione tenuta all'ombra di sguardi indiscreti (e borghesi), che lo spirito indomito di Julia si fa perfetto cantore e rappresentante delle banlieue. Diversa, perché donna, la protagonista del film della Quivoron non ha paura di affrontare l'autorità maschilista proprio come il popolo stanco delle banlieue non ha timore di attaccare un sistema che non lo ascolta. Il rombo di motore di Julia si fa pertanto urla di tanti inascoltati; un centauro che si eleva a portavoce di ingiustizie, sostenuta dal peso di una macchina a mano nervosa, intensa, febbrile, proprio come la sua, indomita, protagonista.
Conclusioni
Concludiamo questa recensione di Rodeo sottolineando come il film d'esordio di Lola Quivoron riesca a partire da una storia personale come quella della protagonista Julia per denunciare una realtà ancora ignorata e instabile come quella della banlieue francese. E così il rombo delle moto si fanno urla silenziate e silenziose pronte a scoppiare con la stessa forza di un motore ingolfato.
Perché ci piace
- La forza della protagonista.
- La luce naturale della fotografia e una macchina a mano che donano un senso di realtà immortalata nel suo scorrere.
- L'uso delle gare clandestine per narrare qualcos'altro.
- La staticità di ripresa nei momenti delle corse, e il dinamismo in quelli più intimi.
Cosa non va
- Una certa stasi narrativa in alcuni punti della storia.
- Certi momenti poco sfruttati.