Il nostro incontro con il regista torinese per la presentazione del film tratto dal romanzo di Edith Bruck, Quanta stella c'è nel cielo, un inno alla vita e al potere di rinascita delle donne, dopo la tragedia della Shoah; "Continuo al cinema l'esercizio della memoria, contro l'oblio proposto dalla TV", ha raccontato in conferenza.
Un orrore senza fine, che solo una giovane donna vitale e fantasiosa riesce a superare. E' tutto qui il senso del nuovo film di Roberto Faenza, Anita B., tratto dal romanzo di Edith Bruck, Quanta stella c'è nel cielo, in uscita nelle nostre sale giovedì 16 gennaio (distribuisce Good Films in circa 30 copie). La tragedia che segna l'esistenza della protagonista, Anita, è la prigionia nel campo di concentramento di Auschwitz; appena sedicenne, la ragazza lascia il sito della Croce Rossa in cui è stata sistemata e viene accolta dalla zia Monika in Cecoslovacchia. Colpita dalla volontà di dimenticare il passato della sua nuova famiglia, Anita prova invece a ripartire proprio dalla memoria della tragedia vissuta e dall'amore per Eli, un ragazzo che la metterà di fronte a nuove e importanti scelte da prendere. Non un film sulla Shoah, dunque, ma un'opera che prende in esame il 'dopo', il ritorno alla vita dopo aver visto la morte. A incarnare i sogni e le speranze di Anita c'è la britannica Eline Powell, lanciata da Dustin Hoffman in Quartet, affiancata dal Robert Sheehan di Misfits (Eli), Moni Ovadia, Andrea Osvart, Antonio Cupo e Jane Alexander.
La nascita del progetto...
L'incontro con il romanzo di Edith Bruck, rimandato più volte, avviene grazie all'interessamento del giornalista Furio Colombo. "Non volevo leggere il libro di Edith, ma Furio me lo ha consigliato caldamente - racconta Faenza in conferenza stampa -, quando poi mi sono immerso nella lettura, mi sono reso conto che non si trattava della solita storia, ma affrontava un tema che il cinema aveva trattato pochissimo, ovvero il dopo Shoah; mi piaceva l'idea di confrontarmi con la vita di una ragazzina che con candore non riesce a comprendere perché non la accolgano nella giusta maniera. Un po' come succedeva al protagonista di Napoli Milionaria di Eduardo De Filippo; lui torna dalla guerra, ma in famiglia nessuno dà peso alla cosa, perché era vergognoso. Con questo non voglio colpevolizzare i personaggi che agiscono così, tutti hanno diritto a dimenticare, proteggersi".
...e gli intoppi della distribuzione
Prodotta da Jean Vigo - Cinema Undici con Rai Cinema e distribuita dalla Good Films, l'opera di Faenza sembra trovare molte difficoltà a 'imporsi' tra gli esercenti, visto che nelle ultime ore alcuni di loro hanno rifiutato di proporre il film nelle proprie sale. "La verità è che se non esci con Medusa, Warner o 01 si incontrano difficoltà enormi che non si riescono a superare - dice la produttrice Elda Ferri - , certi comportamenti sono violenti e gratuiti, e purtroppo non sono una novità". Meno drastico, ma non per questo meno diretto anche il regista. "Non mi piace l'idea di fare la vittima, ma credo che il film in questione sia bloccato da un equivoco; alla parola Auschwitz subito si diffondono terrore e paura, ma questo non è un film sull'orrore, ma sul dopo. Rimprovero agli esercenti di non vedere le pellicole che propongono e così facendo sono in torto soprattutto verso il pubblico. Non è una commedia in cui si ride a crepapelle, ma Anita B. ha diritto di cittadinanza".
Donne e amore
Se c'è qualcosa che questo film conferma, a parere dell'autore, è la capacità delle donne di gettare il cuore oltre l'ostacolo, come ribadito dalla stessa protagonista, Eline Powell. "Quando mi hanno proposto di fare il provino per questo ruolo, ho subito pensato che si trattasse di qualcosa di molto pesante, difficile da gestire - racconta - inoltre ho preparato il provino lavorando solo su poche pagine del copione, senza conoscere tutta la storia. Poi, quando ho letto la sceneggiatura mi sono resa conto del grande viaggio emotivo di Anita, di quanto si sia portata dentro Auschwitz". La costruzione del ruolo è passata anche da un lavoro di documentazione piuttosto scrupoloso. "Ho visitato un campo di concentramento in Belgio - rivela - e non credo che riuscirò mai a dimenticare quello che ho visto". Dunque, la vera sfida è stata rappresentare la speranza incarnata da Anita, la voglia di tornare a vivere dopo la tragedia, un desiderio che trova la propria realizzazione nel rapporto con l'irruente e distruttivo Eli, un giovane che non esita a chiederle di abortire, pur di non rinunciare ad una vita meno complicata possibile. "Già perché innamorarsi di una persona così? La risposta che mi sono data è che per quanto fosse lontano da ogni romanticismo e anche brutale, Eli è il primo uomo della vita di Anita, ed è bello, misterioso, certo che ha perso la testa per lui. Anita però non sta lì a piangere, vuole l'amore, vuole ciò che ha perso e questo la spinge ad andare avanti, verso il futuro".
Un 'Misfit' sul set
Additato come il cattivo ragazzo del film, l'irlandese Robert Sheehan è tutt'altro che dispiaciuto dal fatto di aver interpretato un personaggio del genere. "Eli non si pone problemi, non sente la gravità di quanto chiede ad Anita, non percepisce il fatto che lei soffra tanto, ma si comporta così per una serie di motivazioni che abbiamo ben precise - spiega -. E' un approfittatore, ma è anche un uomo fragile, che ha visto morire la fidanzata in una maniera orribile e che quindi ha perso la fiducia negli esseri umani, a tal punto da fargli dire di non voler mettere al mondo un figlio in un mondo così. La guerra era appena finita e tutti odiavano tutti". Anche per Faenza non si dovrebbe giudicare il personaggio di Eli in maniera del tutto negativa. "Eli ha una filosofia materialista, racchiusa nella battuta, gli uomini si abbassano i pantaloni, le donne si innamorano, ma è un essere umano. E poi quando Anita comprende questa sfumatura, se ne va, non resta lì".
Dimenticare Sanremo
Tra tutti gli interpreti del nutritissimo cast, per Andrea OsvartAnita B. rappresenta qualcosa di particolare. "Ho voluto a tutti i costi questo ruolo - dice -, scritto da una scrittrice ungherese. Ho fatto di tutto per convincere Roberto del fatto che sarei stata perfetta per il ruolo di Monika e quando mi hanno presa mi sono detta che non avrei dovuto fallire". Monika è la glaciale zia della protagonista, una donna che si ostina a non voler ricordare gli anni della deportazione. "E' un ruolo contraddittorio - aggiunge la Osvart - è una donna che prova tanta rabbia e tanto dolore, ma che non li fa vedere. Non ho mai vissuto la guerra, per questo sono tornata agli anni in cui mi ero trasferita in Italia, allontanandomi dalla mia famiglia". Per Andrea, conosciuta dal pubblico italiano per aver partecipato al Festival di Sanremo nel 2008, si tratta dunque di un altro passo verso la piena maturazione. "Ad un certo punto della carriera ho coscientemente cambiato percorso - conclude -. Ho fatto la valletta a Sanremo, ma non sono fan della TV, mi ci sono voluti 2- 3 anni per ripulire l'immagine che si era creata; ci sono riuscita anche grazie ad un film d'autore come Maternity Blues" .
La storia è memoria
Attraverso la figura di una donna che non dimentica l'orrore vissuto, anzi lo trasforma in qualcosa di diverso, Faenza racconta la lotta contro oblio e annullamento. "Se c'è un problema grande in questo Paese è proprio quello della memoria - afferma con forza -. Noi tutti dovremmo sentirlo eccome, visto che abbiamo letteralmente sepolto fatti drammatici e che non si parla mai di niente; sì, siamo un paese senza memoria e uno dei principali colpevoli è la televisione; la televisione non ritorna mai sulle cose, le racconta una volta e poi muoiono. Il cinema no, il cinema è esercizio della memoria". Naturale quindi che Moni Ovadia, da anni impegnato nel recupero della tradizione culturale degli ebrei dell'Europa orientale, trovasse spazio nel cast nei panni dello zio Jakob. "Sono debitore a Roberto di avermi fatto vivere il film - dice -, ma non mi sento meritevole, ho nuotato nel mio stagno; il mondo yiddish mi è totalmente familiare. Jakob è stato un combattente, lui riporta la gente alla vita, la aiuta e porta ottimismo, quando può accennare un canto, lo intona per dire l'energia non è estinta. Il centro radiante dell'etica ebraica è la vita, per quanto grande possa essere l'orrore vissuto, l'ebraismo celebra la centralità dell'uomo fragile".