Un altro dei momenti più attesi di una Festa del cinema che, parimenti allo scorso anno, sembra destinata a concludersi tra le polemiche - soprattutto per i tanti forfait dell'ultimo minuto - vede protagoniste due staele di prima grandezza che si presentano puntuali (per così dire) all'appuntamento, Robert Redford e Tom Cruise. Redford, in veste di regista e interprete di Leoni per agnelli, è il più cercato dai cronisti, mentre Tom fa il maestro di cerimonie e chiede ammenda per il ritardo dell'aereo che li ha portati a Roma ("Il nostro autista ha fatto tutto il possibile, per questo siamo così nervosi", dicono i divi) regala sorrisi e scuote una frangetta fresca di coiffure.
Redford, come nasce questo progetto?
Robert Redford: Ricevetti lo script, e allo stesso tempo seppi anche che Tom era interssato a questo film. Trovai la sceneggiatura molto intelligente (e non ce n'è molte di sceneggiature davvero intelligenti in giro) perché si focalizzava non sulla guerra in Iraq ma su qualcosa di ben più profondo. Direi diversi aspetti delle conseguenze dei fatti degli ultimi anni degli ultimi anni in USA, sulla politica e sull' educazione. Mi è sembrata una sfida notevole, un film che poteva far discutere ma che innanzitutto avrebbe intrattenuto la gente. Non si fanno molti film così, basati sul confronto dialogico, senza scene di azione o effetti specieli, per cui ero molto stimolato a dirigerlo.
Tom Cruise, il personaggio del senatore è molto distante da lei. Come si è trovato a intepretarlo?
Tom Cruise: Quando seppi che Redford avrebbe diretto il film e che Meryl Streep sarebbe stata della partita mi sentivo nervoso oltre che onorato, ammiro moltissimo il lavoro di Bob, è sempre stato un cineasta all'avanguardia, basti pensare a quello che ha fatto con il Sundance, ed è uno che ha sempre lottato per realizzare i suoi film così come li voleva. Per me quella di lavorare con Redford è stata un'eserienza decisiva, come chiudere un cerchio. Il mio personaggio è in effetti molto diverso da me, è vero, e per questo è stato particolarmente affascinante interpretarlo. Non è una crezione fittizia, è una persona vera, a trecentosessanta gradi, ed è stato una grande sfida e un grande onore.
Redford, quando, in tempi non sospetti, svariati autori hanno presentato film di argomento politico l'hanno indicata come modello. Lei ha fatto la storia dell'impegno nel cinema. E' cambiato qualcosa nel suo modo di fare cinema impegnato?
Robert Redford: Grazie! Il io interesse nella politica come cittadino e come artista è fondamentale per me. Si può scegliere di ignorare quello che succede, o si può scegliere di interessarsi: io mi sono interessato e ho cercato di mettere nei miei film tutto quello che ho imparato, ma anche il mio amore per mio paese. Ho cercato di fotografare quello che succedeva in una maniera che potesse avvincere le persone sin da Tutti gli uomini del presidente, un cui trattavo degli abusi al Primo emendamento, e I tre giorni del condor, in cui si inquadra una una agenzia governativa fuori controllo e gli effetti della sua attività sulla vita di una persona. I tempi sono cambiati, Internet ha cambiato il volto dell'informazione ma si sono create anche più opportunità per manipolare l'informazione. In Leoni per agnelli nono volevamo parlare dei problemi del nostro paese ma più che altro di ciò che abbiamo perso, prestigio, stabilità economica, vite umane. Abbiamo sott'occhio l'effetto di questo nell'educazione dei giovani, che devono scegliere se interessarsi o no a quello che succede nel loro paese e fuori. Il futuro è loro, non nostro. Il cuore del film sono le conseguenze delle scelte di due giovani uomini. Credo di essere cambiato, sì, assieme ai tempi che sono cambiati.
Guardando a tanto cinema americano che arriva in Europa e in particolare ai Festival, si ha l'impressione che l'opinione pubblica americana sia informata, allertata, mobilitata; allo stesso tempo però la stampa è sotto accusa, come succede nel suo film, lei pensa che il cinema oggi abbia ereditato il compito di informare che aveva la stampa nel '70? E c'è un'opinione pubblica pronta a tenere conto di ciò?
Robert Redford: Il nostro paese è fortemente polarizzato, e le non possono essere distinte tra bianco e nero: non generalizzare, ma guardare a chi è in controllo della politica e dei media. Ci sono tantissimi giornalisti che cercano di fare davvero il loro lavoro. Ma dopo il 9/11, eravamo tutti troppo spaventati e il governo ci chiese di rinunciare a alcuni nostri diritti per sostenerlo, perché aveva davanti a sé un lavoro difficile. La stessa classe dirigente è al potere oggi: il partito repubblicano controlla tutto il parlamento e ha il potere di fare quello che vuole. Noi vediamo qual è la verità sulla guerra e cosa è costata quella guerra. La stampa aveva il dovere di mostrarlo ma non lo ha fatto per rispetto, per timore, per sudditanza alle corporation. Tuttavia non credo nella propaganda nel film: Leoni per agnelli espone il problema e vuole fare riflettere su quello che è successo in USA in questi anni, ma il compito principale di un film è quello di intrattenere.
Cruise, ha notato differenze nell'essere diretto da un attore/regista?
Tom Cruise: Lavorare con Bob è stato una grande esperienza, lui capisce i suoi personaggi ed è un uomo di grande intelletto. E poi durante le scene con Meryl Streep, quando lui si avvicinava e Meryl si voltava per ascoltarlo e mi mostrava il suo bellissimo profilo e Bob era dietro di lei, mi sembrava di vedere un fotogramma di La mia Africa. Era meraviglioso. Per il resto, non non riesco a credere che nessuno avrebbe potuto narrare questa storia come lui.
Lei è stato attaccato per aver parlato del suo credo religioso. Crede che il cinema possa aiutare a insegnare il rispetto per le religioni e gli ideali altrui?
Tom Cruise: Il cinema è comunicazione. Io sono una persona fortunata, sognavo di arrivare dove sono ora e vedere come vivono gli altri e come attore ho il privilegio di farlo. A volte vedo conflitti che potrebbero essere risolti con la comunicazione che è l'unico strumento per capirsi e fidarci l'uno dell'altro senza barriere e stereotipi che servono a tenere lontano il diverso. Sono sempre sospettoso di chi dice che non dobbiamo parlare di certi argomenti.