Dove finisce la sperimentazione, dove inizia la narrazione? Dov'è il sillabario esatto di quel cinema che osa, che scuote, che cambia e stravolge? Da qualche parte, in una Napoli che Napoli non sembra, più giù, verso un'isola sperduta, dove poter toccare tutto ciò che è stato solo sognato. Lo chiariamo subito, a scanso di equivoci: Riverbero di Enrico Iannaccone non è un film facile. Non vuole esserlo, non è nel suo interesse.
Eppure, in quello che dallo stesso regista viene definito "esperimento", rintracciamo il chiaro bisogno mosso dall'inafferrabile schema messo in scena, e girato in soli nove giorni sfruttando - nemmeno fosse una pubblicità alla Apple - un iPhone 14 Pro. A dimostrazione che i mezzi, se c'è l'idea e se c'è la visione, diventano superficiali. Aiutano, è chiaro, ma opere come Rivebero (in anteprima nazionale nella serata finale del Napoli Film Festival per poi proseguire il cammino nelle sale), nella loro leggibilità, spiegano quanto un certo cinema necessiti ancora di voci poco chiare (e quindi libere), che illuminano "il fuoricampo filmico" rendendolo protagonista tanto quanto la scena stessa. Creando un cortocircuito sensoriale, e allora affascinante nel suo insieme.
Riverbero e i due protagonisti senza nome
Se ciò che diventa inafferrabile non ha nome, anche i personaggi di Riverbero, scritto dallo stesso Iannaccone, sono due figure lontane dall'essere identitarie. Conosciamo un ragazzo, stralunato e silenzioso, che porta un paio di grossi occhiali da vista (diremmo, "due fondi di bottiglia"). Pare abbia tutta l'intenzione di acquistare, illegalmente, dei proiettili. Ma a lui non interessa tutta la scatola, gliene bastano appena due. Uno per sé, e uno per suo padre malato. Il ragazzo, interpretato da Renato De Simone, vuole farla finita. Tuttavia, nel mezzo di un cammino inaspettato, incontra una ragazza (Anna Carla Broegg), appena aggredita. Entrambi, in qualche modo, riusciranno (forse) a salvarsi a vicenda.
La fantasia ha senso anche se non esiste
Estremo esempio di produzione low budget e indipendente, ma metodicamente curato nella fotografia (Emilio Costa) e nel sound design, Riverbero ha il merito - non scontato - di identificare e delineare al meglio il suo spirito anarchico e poco avvezzo alle regole, ribaltando il senso stesso del cinema. Come detto, c'è un'azione costante e presente all'interno del campo visivo, ma molto (forse tutto il necessario) avviene fuori dallo spettro visivo. Avviene attorno ai personaggi, e avviene al loro interno. Un incontro casuale accende la trama, facendole prendere una direzione opposta. Come a dire, la storia c'è, è presente, fondamentale, eppure va colta, interiorizzata. Anche per questo, il film di Enrico Innaccone, dalla stringata durata (appena un'ora) e dall'asciuttezza preponderante, diventa materiale d'interesse, scavalcando - con una certa adiacenza registica - la sintassi della fantasia.
Perché poi, tra i dialoghi sparuti e la musica di Gianni Banni (pseudonimo dello stesso regista, attivo anche nel campo musicale), Riverbero struttura corpo e voce a quei desideri solo sognati e mai posseduti, con la voglia di dare un senso "alle immagini non vissute". Per questo l'immaginazione, come sottolineato in un folgorante scambio, assume il ruolo centrale. E se la fantasia "ha senso anche se non esiste", sarà nel finale che il film toccherà il suo compimento. In tutti i sensi. Qualsiasi essi siano.
Conclusioni
Strettamente indipendente, girato in nove giorni utilizzano un iPhone, sperimentale nei toni e nei modi. Riverbero di Enrico Iannaccone è cinema volutamente inafferrabile che, però, si aggancia ad una narrativa presente e costante, risultando suggestivo nella sua stringata ora di durata. Suggestivo l'approccio, interessante e interessata la voglia di provare a dare corpo ai pensieri solo immaginati. Un film totalmente libero, e per questo apprezzabile.
Perché ci piace
- Un'ottima regia.
- I pochi mezzi si rivelano ben organizzati.
- Il sound design.
- L'idea di dare corpo all'immaginazione.
Cosa non va
- Decisamente ostico, ma non per questo può essere per forza considerato come un lato negativo.