Con Stand by Me, mi sono reso conto che ciò che stavo creando avrebbe vissuto assai più a lungo di me come persona. I personaggi sono molto più potenti della persona che li ha creati.
Nella notte fra il 30 e il 31 ottobre 1993, River Phoenix usciva dal Viper Room, un night club in Sunset Strip, a Hollywood, collassava in strada e trascorreva diversi minuti in preda a feroci convulsioni, sotto gli occhi del fratello Joaquin, della sorella Rain e della fidanzata, l'attrice Samantha Mathis. Venne trasportato in ambulanza al Cedars-Sinai Medical Center dove, dopo vani tentativi di rianimazione, la sua morte fu dichiarata poco prima delle due del mattino, a ventritré anni d'età. Alla diffusione della notizia, il giorno dopo, una vasta folla si radunava attorno al Viper Room per rendere omaggio al giovanissimo attore.
"A part of me left that only you knew/ Will never be understood", recitano i versi di Transcending, brano dedicato nel 1995 dai Red Hot Chili Peppers al loro amico (e al suo nome fa esplicito riferimento quel loving stream, "ruscello d'amore", ripetuto più volte nel finale della canzone). Prima di essere stroncato da un'overdose di cocaina, River Phoenix non era soltanto uno dei nuovi, grandi talenti di Hollywood, ma si stava ritagliando uno spazio ben preciso nell'immaginario della cosiddetta Generazione X: uno spazio che la sua precoce scomparsa ha inesorabilmente ampliato, trasformando la sua parabola artistica ed esistenziale - secondo una retorica magari un po' facile, ma abbastanza calzante - in un moderno riflesso di quella di James Dean, altro divo 'bruciato' troppo in fretta e diventato un'icona del proprio tempo.
A loving stream: River Phoenix, nascita di un'icona
"Non voglio morire in un incidente d'auto", aveva detto una volta River Phoenix, rievocando proprio la triste sorte di James Dean; "Quando morirò, sarà un giorno glorioso". "Never know when the gods will come and/ Take you to a loving stream", avrebbero scritto in seguito i Red Hot Chili Peppers. La morte di River ha interrotto un percorso, professionale e umano, che si prospettava ancora lunghissimo e prezioso; eppure, all'attore dell'Oregon è bastato appena un decennio di carriera per assurgere a volto-simbolo di un momento ben preciso della cultura pop di fine millennio. In River Phoenix, il ragazzo dal viso d'angelo che si batteva per le cause in cui credeva (l'ecologismo, la giustizia sociale, i diritti degli animali) e intanto affrontava le proprie tendenze autodistruttive, molti adolescenti dell'epoca hanno visto espressa una sensibilità inusuale, che racchiudeva allo stesso modo speranze e inquietudini di tanti teenager lontani dalle mode imperanti negli anni Ottanta.
Del resto, la figura di River Phoenix è sempre stata ammantata da un'aura 'alternativa', fin dalla sua infanzia: nato il 23 agosto 1970 a Madras, un paesino di neppure cinquemila abitanti nella contea di Jefferson, primo di cinque fratelli, fra cui Joaquin Phoenix (che avrebbe seguito le sue orme a Hollywood, fino ad imporsi come uno dei migliori attori del cinema contemporaneo), da bambino River - il suo nome deriva dal "fiume della vita" del romanzo Siddharta di Herman Hesse - non frequenterà alcuna scuola. La sua famiglia si reca in Venezuela ed entra a far parte di un culto di fanatici religiosi, i Children of God, un'esperienza a cui poi lui farà accenno con parole cariche di disgusto; in seguito i Phoenix si trasferiscono in un sobborgo della Florida, in condizioni prossime alla povertà.
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Gli esordi in TV e il successo sul grande schermo
River Phoenix non ha ancora dieci anni quando, a Los Angeles, inizia a comparire in spot pubblicitari e in qualche show televisivo. Nel 1982 ottiene il suo primo, vero ruolo da attore nella serie televisiva Sette spose per sette fratelli, dove può dar prova delle sue doti come cantautore e musicista (la passione per la musica sarà una delle costanti della vita di River). Sette spose per sette fratelli dura soltanto per una stagione, ma gli permette di essere ingaggiato in diversi TV movie; nel 1985, invece, Joe Dante gli regala il suo debutto sul grande schermo con Explorers, commedia di fantascienza che lo vede recitare al fianco di Ethan Hawke. Ma è un anno più tardi che la carriera cinematografica di questo ex bambino prodigio spiccherà il volo, con due progetti che metteranno in luce il suo sorprendente talento drammatico.
Uno dei maggiori successi dell'estate del 1986 è Stand by Me, cult movie di Rob Reiner tratto dal racconto Il corpo di Stephen King: un avvincente coming of age in cui il quindicenne Phoenix ruba la scena nei panni di Chris Chambers, ragazzo coraggioso e intraprendente che, nella sequenza più toccante del film, esorta il suo amico Gordie Lachance a credere in se stesso e a non buttar via il proprio futuro: "I ragazzini sprecano tutto, se non c'è qualcuno che li tiene d'occhio. E se i tuoi vecchi sono troppo incasinati per farlo, dovrei farlo io forse!". A fine anno, invece, interpreta il figlio di Harrison Ford ed Helen Mirren in Mosquito Coast, sottovalutato dramma diretto da Peter Weir; e Ford rimarrà talmente colpito dal suo giovane comprimario da offrirgli, nel 1989, una breve apparizione nel ruolo di un Indiana Jones tredicenne nel blockbuster Indiana Jones e l'ultima crociata.
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Vivere in fuga e il passaggio al cinema indie
Il 1988 è l'anno della consacrazione di River Phoenix, con tre film che mettono in luce i diversi lati della sua personalità come attore. Le ragazze di Jimmy è una teen comedy sentimentale che punta sul fascino dell'attore (sedicenne durante le riprese) come potenziale sex symbol per le adolescenti, ma non riceve troppa attenzione al botteghino. È invece un autentico disastro, a livello commerciale, il thriller Nikita - Spie senza volto, in cui però River ha l'opportunità di recitare insieme a un mostro sacro quale Sidney Poitier. Ma il ruolo davvero importante per Phoenix è quello di Danny Pope, figlio di due ex sessantottini (impersonati da Christine Lahti e Judd Hirsch) che vivono da anni in incognito dopo aver fatto esplodere una fabbrica produttrice di napalm per protestare contro la guerra in Vietnam.
Il film, Vivere in fuga, è una delle numerose perle nella produzione del maestro Sidney Lumet, e il ritratto di questo ragazzo pieno di vitalità ma tormentato dalle precarie condizioni familiari vale a River Phoenix gli elogi della critica e la nomination all'Oscar e al Golden Globe come miglior attore supporter. Phoenix sfrutta la crescente notorietà per rafforzare il proprio attivismo: "Se ho un po' di celebrità, spero di poter usarla per fare la differenza. Il vero riconoscimento sociale è poter parlare e condividere i miei pensieri sull'ambiente e la civilizzazione stessa". Nel 1990 torna al cinema nel cast della back comedy di Lawrence Kasdan Ti amerò... fino ad ammazzarti, con Kevin Kline e Tracey Ullman, mentre un anno più tardi è il protagonista di Dogfight, dramma indipendente sulla lunga notte trascorsa da un giovane marine in procinto di partire per il Vietnam insieme a una cameriera di San Francisco; ma è un'altra la pellicola a cui, nello stesso periodo, l'attore legherà per sempre il suo nome.
Belli e dannati, 25 anni dopo: il ricordo del film con River Phoenix e Keanu Reeves
Belli e dannati e il 'canto del cigno'
Rivisitazione delle tragedie storiche di William Shakespeare, racconto di formazione, dramma on the road e pietra miliare del New Queer Cinema: Belli e dannati, rititolazione italiana di My Own Private Idaho, è uno dei film più rappresentativi del cinema degli anni Novanta, con la sua capacità di coniugare temi classici e uno stile all'avanguardia. Scritto e diretto da Gus Van Sant, Belli e dannati deve la propria fama anche alla magnifica interpretazione di River Phoenix nella parte di Mike Waters, gigolò ventenne privo di legami familiari e affetto da narcolessia, e alla straordinaria alchimia con il suo co-protagonista, Keanu Reeves, che presta invece il volto a Scott Favor, un altro ragazzo di strada di cui Mike è profondamente innamorato. L'intensità, il mimetismo, la spontaneità con cui Phoenix dà vita al personaggio di Mike sono stupefacenti, così come il senso di innocenza dei suoi occhi color verde acqua in un contesto durissimo come quello dipinto nel film.
Per Belli e dannati, River Phoenix vince la Coppa Volpi al Festival di Venezia 1991 e l'Independent Spirit Award come miglior attore, si tramuta in icona della cultura queer, ma soprattutto scolpisce un ruolo destinato a restare nella memoria: basti rivedere la sommessa dichiarazione d'amore di Mike a Scott accanto al fuoco, una delle sequenze più struggenti di tutto il cinema di Van Sant. Un anno dopo, il ventunenne Phoenix divide la scena con un parterre di superstar (fra cui Robert Redford, Dan Aykroyd e Sidney Poitier) nella commedia I signori della truffa, mentre nel 1993 passa pressoché inosservato Quella cosa chiamata amore di Peter Bogdanovich, ambientato nel mondo della musica country. È il suo ultimo lavoro a essere distribuito mentre l'attore è ancora in vita: il western Silent Tongue di Sam Shepard farà una fugace apparizione nelle sale nel febbraio 1994, mentre Dark Blood viene interrotto a riprese in corso proprio a causa della sua scomparsa.
So sempre dove sono da come è fatta una strada. Perciò so di essere già stato qui e di essermi già trovato bloccato qui, altre volte, in questo stesso posto.
Un numero limitato di film, fra cui una manciata di cult: quanto basta affinché, a venticinque anni di distanza, River Phoenix continui a essere ricordato non solo come uno dei tanti esempi di divi entrati loro malgrado nel mito in virtù della dimensione 'tragica' della loro esistenza, ma anche - ed è bene tenerlo sempre a mente - come uno dei grandi, grandissimi attori della propria generazione. E per nostra fortuna quella manciata di cult è ancora lì, ogni qual volta avessimo bisogno di ricordarcelo.