Ritorna il mito della Carmen
Il mito della Carmen irrompe sullo schermo grazie ad una coproduzione britannico-italian-ispanica, affidata alle sapienti mani di Vicente Aranda, cineasta spagnolo con una trentennale carriera alle spalle.
Per dare corpo alla donna-leggenda spagnola Aranda sceglie di centrare tutto sulla fisicità della sua protagonista.
E così sceglie Paz Vega, disinibita protagonista di Lucia y el sexo, che si offre altrettanto generosamente in questo nuovo progetto di lavoro. Il rapporto tra la macchina da presa e le forme tornite della protagonista imperniano il senso del film, la ricerca valoriale e tentativamente profonda della pellicola. Purtroppo, dal punto di vista di una dialettica della ripresa, c'è ben poco da segnalare. Il regista si limita a seguire piuttosto passivamente la storia. Non si riesce a scorgere una scelta consapevole o ragionata nelle decisioni di ripresa. Eppure l'andamento della vicenda si presterebbe a spunti notevoli.
L'eterna, ciclica, storia della rovina, fisica e morale, di un uomo per la sua donna, è inquadrata in un contesto settecentesco di una Spagna di soldati e zingare, bettole e palazzi reali, toreri e briganti. E il vortice che risucchierà il fino allora ineccepibile sergente Josè (interpretato dal discreto Leonardo Sbaraglia), impazzito per la bella e seducente Carmen, si presta a una lettura del quotidiano interessante. Lettura avvalorata dall'eterna storia di amore cieco, dedizione e perdizione, che si imprime nell'immaginario del cinefilo quasi come un luogo comune. Tutta una serie di spunti narrativo-riflessivi che vengono in gran parte dispersi da una regia e da un montaggio sciatti, interessati unicamente all'enfasi da infondere nei momenti chiave (operazione che, tra l'altro, non sortisce affatto gli effetti desiderati). Peccato perché la fotografia e i costumi inquadrano la vicenda definendo un contesto e una storicità del tutto gradevoli e ricchi di contenuto e verosimiglianza.
A contribuire a far perdere di mordente ad una pellicola comunque gradevole è il filtro del vecchio studioso Prospero, attraverso la cui intermediazione la storia di quest'amore tormentato giunge allo spettatore. Il personaggio appare troppo artefatto, estraneo al contesto e artificioso, per movenze e tempi scenici.
Uno sforzo produttivo notevole che riesce sì a rendere appetibile il film ad un pubblico non di nicchia, ma che non basta ad elevarlo su un piano qualitativo al di sopra della norma.