Lo spunto è forte, il resto, diciamo, scricchiola. Che poi il regista, Sebastián Borensztein, argentino alla guida di Riposare in pace, dimostrerebbe anche un certo gusto estetico, nella concezione visiva con cui cui costruisce il film. Più che altro, è un discorso di scrittura: la sceneggiatura, scritta da Borensztein, insieme a Martin Baintrub e Marco Osorio Vidal, non riesce a stare al passo, incapace di andare oltre l'idea iniziale che, lo rimarchiamo, aveva fatto ben sperare. Come si dice: iniziare bene, finire male. Incompiutezza a parte, Riposare in pace, oltre offrire uno sguardo sul cinema mainstream sudamericano, è di quelli che sembrano cuciti su misura per le top 10. In questo caso, la top 10 di Netflix.
Vero, questo discorso lo abbiamo fatto tante volte, ma è innegabile quanto il discorso sia spesso applicabile ai film che arrivano sulle piattaforme digitali. Se è vero che l'offerta dei contenuti è costante, aprendo uno sguardo sulle produzioni internazionali, è anche vero che non tutti i titoli riescono ad incidere come vorremmo, senza spostarsi troppo dalla visione immediata che punta all'intrattenimento. In alcuni casi la sensazione è giustificata dal contesto del film in questione, in altri casi però si potrebbe pretendere di più, soprattutto se il materiale a disposizione è teoricamente interessante. Come accade in Riposare in pace: un film che ne contiene al suo interno almeno altri tre, ma che non ha però la capacità di sviluppare al meglio le ottime suggestioni che avevamo intravisto.
Riposare in pace, la trama: rifarsi una vita in Paraguay
Suggestioni che arrivano dalla trama: pur iniziando quasi in medias res (tant'è che ci mettiamo un po' a capire la direzione esatta della storia), Riposare in pace ci porta dritti al centro della vita disperata del protagonista, Sergio Dayan, interpretato da Joaquin Furriel. Padre di famiglia, ha perso il controllo della situazione, restando invischiato in un giro di debiti da cui è impossibile uscire. Allora, approfittando di una casualità, finge la sua morte: lascia sua moglie e i suoi due figli, re-inventandosi in Paraguay. Una nuova identità, un nuovo lavoro, nuove amicizie. Tuttavia, il ricordo della precedente vita lo tormenta: complice l'arrivo di Facebook (già...), Joaquin sente la necessità di tornare dalla sua famiglia. Costi quel che costi.
Approssimazione e indecisione
Se il passato non può essere dimenticato, né si può essere totalmente liberi da poter ricominciare facendo finta di nulla, Riposare in pace frulla al suo interno due piani di vita differenti, senza però approfondirli in modo che siano sostanzialmente attinenti alla narrazione (e quindi che siano sinonimo di racconto interessante). C'è il tormento di un uomo finito e sfinito (braccato dai debiti, ma costretto a farne altri), che ha l'occasione inaspettata di cancellare una sequela di scelte sbagliate. Una sfumatura che lascerebbe aperte diverse intuizioni narrative che, in parte, vengono effettivamente affrontate (in particolar modo nella parte centrale, quella più riuscita). Il punto nevralgico, però, è l'approssimazione con cui Sebastián Borensztein porta avanti la sceneggiatura: oltre la fuga iniziale, in Riposare in pace c'è ben poco altro.
Anzi, troviamo un salto temporale che avanza di ben quindici anni (!), suggerito dal progresso tecnologico (appunto Facebook) che, in qualche modo, altera il nuovo climax di Sergio, spinto a riprendere ciò che aveva lasciato indietro, senza mai dimenticare. In questo accavallamento temporale Riposare in pace sfocia in una vacuità che incrina l'interessante idea di partenza: un film che parla di passato, ma che ha la consapevolezza di dover fare i conti con il futuro. Tutto questo è solo accennato, e il tormento con cui Joaquin Furriel si approccia al ruolo non risulta mai attraente, né totalmente deciso, dubbioso su quale strada voler realmente proseguire. Cosa resta? Una visione da divano, che potrebbe farvi azzardare una domanda: cosa avreste fatto al posto suo?
Conclusioni
Come scritto nella recensione di Riposare in pace, il film argentino non riesce a convincere come avremmo voluto, nonostante lo spunto iniziale che definiremmo interessante. Soffrendo di approssimazione, e nonostante un certo gusto estetico, l'opera è incapace di trasportarci a dovere nel climax ipotizzato, lasciandoci più perplessi che coinvolti.
Perché ci piace
- Lo spunto iniziale.
- La parte centrale...
Cosa non va
- ... che poi finisce per incastrarsi.
- Tutto molto approssimativo.
- Non c'è un vero trasporto verso la storia.