Una storia raccontata con sensibilità per il debutto di Alejandro Gomez Monteverde, che ha per scenario una New York colorata ma troppo frenetica, nella quale i due protagonisti riescono a tracciare un nuovo percorso ai loro destini, drammaticamente segnati.
Con quattro anni di ritardo, fa capolino nelle nostre sale Bella, lungometraggio d'esordio del regista messicano Alejandro Gomez Monteverde che ha ottenuto diversi riconoscimenti in ambito festivaliero - uno dei quali a Toronto - e soprattutto grandi consensi tra le associazioni pro-life, contrarie all'aborto. E' la storia di due personaggi che, nel giro di poche ore, riescono a cambiare i propri destini, drammaticamente segnati. José e Nina lavorano nel ristorante messicano del fratello di lui, Manny, un uomo dispotico più interessato al prestigio del proprio locale e a far soldi, piuttosto che a instaurare un vero rapporto di collaborazione con i suoi dipendenti. Bastano pochi minuti di ritardo, e Nina viene licenziata. Ha appena scoperto di essere incinta, è disperata e Jose decide di seguirla, piantando il suo lavoro in asso. A poco a poco, mentre i flashback delle loro storie iniziano a combaciare come in un puzzle, si scopre che Jose era stato una star del football, che all'apice del successo aveva visto la propria carriera e la propria esistenza, sbriciolate da un grave incidente e da enormi sensi di colpa. Dopo aver investito una bambina infatti, il giovane finisce in carcere, e successivamente viene assunto da Manny, che gli affida un ruolo di prestigio in cucina. La sua vita però è svuotata dai rimorsi e procede senza un vero scopo. Quando Nina gli comunica di essere rimasta incinta, e di volersi liberare del bambino, Jose cercherà di starle accanto fino a quando non riuscirà a trovare una soluzione che possa riscattare i destini di entrambi.
Nonostante in alcuni punti la narrazione risulti poco chiara, il film di Monteverde riesce a catturare l'attenzione dello spettatore senza essere eccessivamente prevedibile: per una volta i due protagonisti del film non sono amanti, e la loro storia è quella di un rapporto sincero che si sviluppa in una New York frenetica, nella quale ognuno vive ciecamente la propria esistenza, senza guardarsi realmente attorno. Il montaggio rapido e la bella fotografia densa di colore firmata da Andrew Cadelago (già layout artist per la Pixar) contribuiscono a rendere l'idea di uno scenario vitale, ma nel quale non c'è tempo per vivere davvero: si va avanti "come in un orologio vivente" o si resta indietro. I due ragazzi - interpretati dal fascinoso Eduardo Verástegui, e la brava Tammy Blanchard - dovranno allontanarsi momentaneamente dalla frenesia della Grande Mela, per poter allacciare i rispettivi destini e trasformarli, dopo aver trascorso la sera su una spiaggia, con i volti illuminati dalla luce di due lanterne.
Nonostante l'atteggiamento di Monteverde non sia di aperta condanna nei confronti di chi decide di abortire, a convincere le associazioni pro-life sarà stato sicuramente il finale dal notevole impatto emotivo, che farà storcere il naso ai più cinici e chiude il film in maniera quasi parabolica. Tuttavia, il punto di forza del film non è tanto nella sua conclusione, quanto nel modo in cui gli eventi vengono raccontati - con una certa sensibilità propria del cinema indie - e nell'interpretazione convincente dei due protagonisti. Una delle scene più toccanti del film è quella in cui Nina viene avvicinata da un ambulante non vedente che le chiede di descriverle la giornata newyorkese, e nel sorriso imbarazzato della ragazza, titubante a descrivere qualcosa di così semplice, si svela l'inadeguatezza della società moderna, troppo "cieca" nei confronti della vita.