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Per Ridley Scott, questo 2017 segna un doppio anniversario: se infatti oggi, 30 novembre, il regista britannico compie ben ottant'anni, risale ad appena tre mesi fa il quarantennale dall'esordio nei cinema francesi del primo lungometraggio di Scott, quel magnifico esordio noto con il titolo I duellanti. Ottant'anni, insomma, dei quali esattamente la metà sono confluiti in una delle carriere più ricche, più variegate e anche più bizzarre nel mondo della settima arte.
Attivo in televisione fin dagli anni Sessanta, fondatore nel 1968 di una casa di produzione insieme al fratello Tony Scott (altro futuro cineasta, morto suicida nel 2012) e specializzatosi negli anni Settanta come autore di spot TV (alcuni dei quali entrati negli annali della pubblicità), Ridley Scott è stato e rimane un regista incredibilmente prolifico, con un totale di venticinque pellicole da lui dirette dal 1977 a oggi: alcune di queste sono diventate dei veri e propri cult movie, altre hanno riscosso un notevole successo, altre ancora si sono rivelate dei fiaschi colossali.
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Ridley, l'instancabile gladiatore del set
Insomma, le "montagne russe" di un percorso professionale che, in quarant'anni, ha visto Ridley Scott cimentarsi con i generi più diversi: da vero gladiatore, senza paura di affrontare sfide nuove o di imbarcarsi in imprese proibitive, talvolta pagandole a caro prezzo. E neppure l'età sembra aver scalfito le energie di questo coriaceo veterano del set, come dimostrano i due film da lui firmati nell'arco del 2017: Alien: Covenant, un ambizioso ritorno all'immaginario del suo primo, straordinario classico, e l'imminente Tutti i soldi del mondo, vera storia del rapimento del nipote del tycoon miliardario Jean Paul Getty nel 1973, a Roma. Un altro progetto ad altissimo rischio per Scott che, in seguito allo scandalo sessuale che ha travolto il co-protagonista Kevin Spacey, lo ha fatto letteralmente 'sparire' dal film, rigirando nelle scorse settimane tutte le scene di Getty con Christopher Plummer (e facendo lievitare così il già lauto budget).
Dal 22 dicembre nelle sale americane, dopo una post-produzione che sarà ultimata a ritmi da record, e prossimamente in Italia con Lucky Red, Tutti i soldi del mondo segna dunque il capitolo più recente di una filmografia a dir poco eterogenea. Una filmografia in cui trionfi e tonfi si sono alternati con rapidità impressionante, ma che nonostante tutto ha consacrato Ridley Scott fra i grandi cineasti dei nostri tempi, permettendogli di raccogliere un gran numero di riconoscimenti, inclusi un Golden Globe e quattro nomination agli Oscar (tre della quali come miglior regista). Proviamo pertanto a ripercorrere alcune fra le pagine di questa filmografia, individuandone codici e temi ricorrenti e mettendone in luce le peculiarità che hanno saputo scolpire il nostro immaginario cinematografico.
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Gladiatori, detective e gangster: un cinema di sfide e di 'duellanti'
Una delle parole-chiave ascrivibili a gran parte dell'opera di Ridley Scott è indubbiamente "conflitto": nella conflittualità, nella dialettica agonistica fra due comprimari, è racchiusa infatti la tensione drammatica di alcuni fra i più importanti titoli del regista inglese. A partire dal suo splendido debutto del 1977, I duellanti, dramma storico ambientato in epoca napoleonica e ispirato a una novella di Joseph Conrad, in cui è il titolo stesso ad esprimere il senso profondo del film: la necessità della sfida come motore di un'esistenza fagocitata dall'ossessione per questo duello parossistico e senza fine. Da lì in poi, diverse altre pellicole di Scott saranno incentrate su coppie di antagonisti l'un contro l'altro armati: l'ex generale romano Massimo Decimo Meridio e l'Imperatore Commodo nel kolossal Il gladiatore (2000); l'agente dell'FBI Clarice Starling e lo psicopatico Hannibal Lecter in Hannibal (2001), sequel del capolavoro Il silenzio degli innocenti; il boss del narcotraffico Frank Lucas e il detective della polizia Richie Roberts nel crime drama American Gangster (2007).
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Da Ripley a Thelma e Louise: donne contro
Sebbene i "duellanti" del cinema di Ridley Scott siano stati quasi sempre degli uomini, in altri suoi film il cineasta di South Shields ha celebrato invece la forza, la determinazione e il coraggio di protagoniste diventate, nei casi più fortunati, icone di una femminilità fiera e grintosa. L'esempio più famoso rimane ovviamente Ellen Ripley, ufficiale a bordo dell'astronave Nostromo, interpretata da un'indimenticabile Sigourney Weaver nel cult di fantascienza Alien, del 1979: un archetipo di eroina cinematografica, che sarebbe poi tornata nelle tre successive pellicole della saga (dirette da registi differenti), ma anche e soprattutto un modello da allora imitatissimo. Dodici anni più tardi, nel 1991, Scott metterà a segno un altro strepitoso successo con un film diventato una sorta di manifesto femminista nella Hollywood di fine millennio: Thelma & Louise, viaggio on-the-road che coinciderà con la rivendicazione di una dignità e di un'indipendenza troppo spesso calpestate e con la riscoperta di un nuovo, eccitante senso di libertà.
Le due protagoniste, amiche dell'Arkansas insoddisfatte delle proprie vite, sono entrate nell'antologia dei personaggi più memorabili del cinema contemporaneo, pure per merito delle intense interpretazioni di Geena Davis e Susan Sarandon. Una sorte ben diversa è quella toccata a Jordan O'Neil, tenente della Marina sottoposta a un logorante addestramento e all'ostilità dei colleghi e dell'opinione pubblica: Soldato Jane (1997), veicolo costruito a uso e consumo dell'attrice e co-produttrice Demi Moore, rimane infatti tra i film meno apprezzati nel curriculum di Scott. E se nel già citato Hannibal è stata Julianne Moore a ereditare il mitico ruolo impersonato dieci anni prima da Jodie Foster, nel suo recente ritorno alla fantascienza il regista ha lasciato di nuovo spazio a combattive eroine ricalcate in parte sulla figura di Ellen Ripley, e affidate alle attrici Noomi Rapace e Katherine Waterston.
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Cose che noi umani non potremmo immaginare: la fantascienza secondo Ridley
E la fantascienza, appunto, fra i vari generi attraversati da Ridley Scott nel corso della sua parabola professionale, rimane quello in cui il suo cinema ha raggiunto gli esiti più alti: soprattutto perché in questo campo, nei primi anni della sua carriera, Scott ha realizzato non solo due fra gli incontestabili capolavori negli annali della science fiction, ma due tra i migliori film dell'epoca (e non solo). Alien, gigantesco successo di pubblico e capostipite di una delle saghe più popolari di sempre, mette in scena una claustrofobica "caccia all'uomo" con un utilizzo del linguaggio filmico e una gestione della suspense tutt'oggi magistrali. Molto tempo più tardi, nel 2012, il regista riprenderà quel peculiare e tenebroso universo sci-fi in Prometheus, sorta di prequel tanto suggestivo quanto, in parte, sottovalutato, mentre risale appena alla scorsa primavera il più recente capitolo della serie, Alien: Covenant, con il ritorno dei terrificanti xenomorfi, ovvero le spaventose creature che hanno contribuito a rendere Alien un classico per più di una generazione.
L'altra imprescindibile pietra miliare della fantascienza, e a nostro avviso il capolavoro assoluto e insuperabile dell'intera filmografia di Scott, è invece Blade Runner, trasposizione datata 1982 di un racconto di Philip K. Dick: un mirabile amalgama fra elementi tipicamente sci-fi e tópoi del noir, collocato in una cornice visionaria di inossidabile fascino. L'indagine del "cacciatore di androidi" Rick Deckard (Harrison Ford, in uno dei suoi ruoli più amati) e il suo scontro finale con il replicante Roy Batty (Rutger Hauer), in una Los Angeles oscura e decadente, si inseriscono in un racconto cupo e malinconico, ripreso proprio quest'anno da Denis Villeneuve in Blade Runner 2049, altra opera all'avanguardia e, probabilmente, in anticipo sui tempi. Un successo ben più solido, legato a un approccio meno azzardato, è stato quello registrato invece da Scott due anni fa con Sopravvissuto - The Martian, l'ironica e coinvolgente lotta per la sopravvivenza dell'astronauta Matt Damon, novello Robinson Crusoe sul "pianeta rosso": uno dei maggiori campioni d'incassi nella carriera del regista, con oltre sessanta milioni di spettatori in tutto il mondo.
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Da Cristoforo Colombo a Mosè e Robin Hood: lo spettacolo della Storia
E in una filmografia che, oltre alla fantascienza, abbraccia pure il thriller (Chi protegge il testimone, The Counselor - Il procuratore) e lo spy thriller (Nessuna verità), il poliziesco (Black Rain - Pioggia sporca), il war-movie (Black Hawk Down), la black comedy (Il genio della truffa), ma perfino il fantasy (Legend, sonoro flop del 1985 con un giovanissimo Tom Cruise) e la commedia romantica (Un'ottima annata, insuccesso datato 2006), c'è un altro genere per il quale Ridley Scott ha sempre mostrato un'indiscutibile passione: il dramma storico, meglio ancora se a sfondo epico. Dopo l'Europa di inizio Ottocento de I duellanti, nel 1992 Scott si imbarcherà in una grandiosa ricostruzione del viaggio di Cristoforo Colombo, in coincidenza con i cinquecento anni dalla scoperta dell'America, con 1492: La conquista del paradiso, progetto destinato a un disastro commerciale senza appello.
Il riscatto per il regista, dopo altri due passi falsi al box office con L'albatross - Oltre la tempesta e Soldato Jane, arriverà nel 2000 con il suo film più noto al grande pubblico, Il gladiatore, sorprendente recupero del cosiddetto peplum e primo tassello del sodalizio fra Scott e l'attore Russell Crowe. Ricompensato con cinque premi Oscar, tra cui miglior film, e da incassi record in tutto il mondo, Il gladiatore sintetizza al massimo grado l'idea di dramma storico secondo Ridley Scott: quella di uno spettacolo avvincente, in cui l'imponenza dei kolossal d'altri tempi è coniugata ad un vibrante senso di pathos. Su questa lunghezza d'onda, ma con risultati inferiori alle aspettative, saranno concepiti Le crociate (2005) e Robin Hood (2010), quest'ultimo ancora con Russell Crowe. Meglio sorvolare, invece, sul maldestro tentativo di 'resurrezione' del kolossal biblico sperimentato due anni fa con Exodus - Dei e Re, schiacciato dall'impietoso confronto a distanza con I dieci comandamenti di Cecil B. DeMille: un fallimento su tutta la linea, nonché il peggior film mai girato da Scott. Uno di quei registi che tuttavia, come ci ha dimostrato più e più volte, sono in grado di rialzarsi e tornare in sella pure dopo i più rovinosi capitomboli, già pronti per il prossimo giro di giostra...