E' Richard Gere il protagonista d'eccezione di questa seconda giornata del Festival di Roma 2009 che lo porta sul tappeto rosso capitolino nella veste doppia di produttore e interprete di Hachiko, una favola per grandi e piccini che racconta la storia, realmente accaduta negli anni '20 a Tokyo, di un cagnolino di razza akita di nome Hachiko e del suo padrone, una storia di amore e devozione che ha reso Hachiko famoso in tutto il Giappone trasformandolo in un eroe, e nel simbolo dei valori della famiglia che tutti dovrebbero avere. Diretto da Lasse Hallstrom, Hachiko - A dog's story è interpretato teneramente da Richard Gere che recita al fianco all'adorabile bestiola nei panni di un professore di musica che raccoglie Hachiko sulla banchina del treno in una fredda sera d'inverno e non se ne separerà mai più fino al giorno della sua morte. Una statua di bronzo ricorda oggi Hachiko nel punto esatto in cui per dieci anni ha atteso alla stessa ora invano il ritorno del suo padrone morto per ictus. Abbiamo incontrato oggi a Roma l'attore americano che sarà protagonista domani di un attesissimo incontro con il pubblico e che ci ha raccontato la genesi di questo progetto, la spiritualità dell'amore che lega i due protagonisti del film e le ovvie connessioni che anche la versione hollywoodiana della storia ha con il buddismo e la cultura orientale. Il film sarà nelle sale italiane il prossimo Natale.
Signor Gere, quella raccontata nel film è una storia con un grande potere di commozione, narrativamente molto semplice, quasi elementare. Non pensa che averla allungata per farne un film di un'ora e mezza abbia nociuto alla sua efficacia?Richard Gere: Dalla versione originale abbiamo eliminato molto in fase di montaggio, la forza di questo film sta tutta nella storia come anche l'efficacia, tutta da attribuire al rapporto tra questi due personaggi così uniti e inseparabili anche dopo la morte. In verità Hachiko è quasi un film muto a volerlo analizzare freddamente, io e Lasse volevamo avvicinarlo ad una di quelle storie che si raccontano ai ragazzi intorno ad un falò guardando il bagliore del fuoco. Il pregio più grande del film è secondo il mio punto di vista proprio la semplicità, abbiamo faticato molto per renderlo così fluido, io e Lasse continuavamo ad eliminare i frammenti della storia che ritenevamo superflui, non collegati direttamente alla narrazione. Ci ha aiutato moltissimo il grande potere umano e sentimentale del materiale, non abbiamo usato alcuno stratagemma o trucchi cinematografici, quello che vedete è accaduto in maniera naturale e senza filtri.
Qual'è la sua impressione su questo rapporto tra Hachiko e l'uomo che si è preso cura di lui nella storia originale?
Richard Gere: Nella storia originale ambientata in Giappone il padrone di Hachiko era un uomo molto anziano, vicino alla fine dei suoi giorni, che aveva ricevuto in regalo questo cane e che con esso instaura un rapporto talmente stretto da risultare quasi spirituale. Noi abbiamo voluto cambiare e parlare di un uomo più giovane che non pensa di morire ma che è ancora nel fiore degli anni perchè questo avrebbe aggiunto maggiore energia e intensità alla storia dopo la sua inaspettata dipartita. In questo film c'è la forza della vita, la fatalità degli incontri e delle situazioni e rendono certi amori grandi. Il rapporto tra Hachiko e il suo padrone sembra non avere inizio né fine, e questo la rende davvero speciale.
Come definirebbe il film? Più per grandi o per piccini?
Richard Gere: Inizialmente volevamo fare un film per bambini, un film che potesse vedere anche mio figlio che ha nove anni e ci siamo diretti verso una narrazione basilare che però ha reso il tutto involontariamente più doloroso. Il risultato è una fiaba che funziona più per gli adolescenti e per gli adulti che per i bambini. Sono storie particolari, misteriose nel loro funzionamento, dotate di una forza interna e di una potenza universale. Quando l'ho letta anche io ho pianto come un bambino, come è accaduto a molti di voi oggi durante la proiezione e a Lasse stesso che ha diretto questo film con una sensibilità incredibile. Hachiko è una storia di accettazione, di pazienza, di fedeltà, di amore puro e di compassione. Tutto quel che siamo noi esseri umani e vediamo in noi stessi quando ci guardiamo allo specchio. Non siamo il lavoro che facciamo, non siamo i vestiti o l'automobile che abbiamo, siamo quello che pensiamo, quello che proviamo nel profondo del cuore verso gli altri e quelli che amiamo.
E' più difficile recitare con una famosa star di Hollywood o con un cane?Richard Gere: E' semplicemente diverso. Nel film si raccontano le qualità interne dell'essere, che sia essere un uomo o un cane. Per questo motivo abbiamo scelto di non addestrare il cane affinchè facesse delle cose precise, volevamo che fosse anche lui se stesso. Abbiamo voluto creare per lui un ambiente di fiducia in modo che si sentisse a suo agio, abbiamo lavorato con lui a lungo perchè in alcuni giorni non accadeva assolutamente nulla, o perchè aveva fame o non riusciva a stare nella scena o perchè io ero stanco. C'è voluta molta pazienza, a volte è sembrato come lavorare con un bambino e Robert Altman mi disse una volta che ai bambini non si deve dire mai cosa fare quando sono sul set ma lasciarli liberi, solo così si riesce a catturare la magia di quel che accade, a carpire ciò che di spontaneo c'è negli sguardi e nelle situazioni. Sono momenti che possiedono un anelito di vita e di realtà e che ci hanno dato la forza di andare avanti durante la lavorazione.
Ha mai avuto cani o animali domestici? Se sì, qual'è il suo rapporto con loro?
Richard Gere: Certo che ho un cane, ho sempre avuto cani da quando ero piccolo, in una delle mie prime foto da bambino ero ancora carponi e avevo un cucciolino dal pelo chiaro vicino a me, un cocker spaniel, il mio primo amico a quattro zampe, il primo di una lunga serie. I cani sono dei compagni molto speciali e con loro ho un rapporto incredibile di grande empatia, ho voluto fare questo film proprio per questo motivo, un'amicizia grandissima ci lega, forse in qualche vita lontana sono stato un cane, chissà...
In Hachiko c'è la connessione con la sua religione, il buddismo, i cui ideali e principi sembrano inserirsi perfettamente nel racconto. E' merito suo?
Richard Gere: Sì. Tutto inizia in un monastero buddista tra le montagne, ho voluto esplicitamente che ci fosse questa connessione con l'Oriente e con l'essenza degli insegnamenti zen, anche per omaggiare la storia originale giapponese di Hachiko. Ho voluto che si creasse una sorta di bossolo spirituale in cui racchiudere questa piccola avventura, che si creasse il contesto e l'atmosfera giusta che accompagnasse lo spettatore lungo tutto il cammino.
Quanto le è rimasto della cultura e della filosofia occidentale dopo che ha palesemente assorbito quella orientale in ogni sua sfaccettatura?Richard Gere: E' un'enfasi diversa a differenziare l'uomo occidentale da quello orientale ma ogni giorno si affrontano le stesse problematiche, gli stessi interrogativi filosofici, cambia solo la prospettiva da cui si osserva il mondo. Personalmente credo ci sia una comunicazione molto semplice tra le idee dell'uomo occidentale e orientale ed in questo preciso momento storico emerge una congiunzione assai spiccata a livello scientifico, soprattutto per quel che riguarda la fisica quantistica, è grazie ad essa che l'esplorazione spirituale come anche le definizioni di inconscio e realtà si avvicinano nelle due culture.
Come vede il futuro, come uomo e non come professionista?
Richard Gere: Per mia inclinazione sono un ottimista, succedono le cose migliori quando si pensa positivo, è la nostra vita a dirci in ogni momento quanto siamo interconnessi con il resto del mondo. La velocità di trasmissione delle malattie, la velocità con cui si viaggia e con cui si interagisce con altre persone da un capo all'altro del mondo sono tutti modi di osservare questo aspetto che se tutti noi riuscissimo ad interiorizzare potrebbe aiutarci a crescere. In questo modo potremmo migliorare ed evolverci come razza, in futuro lo vedo come unico modo di sopravvivere allo sfacelo. Dobbiamo aiutarci l'un l'altro, giocare in squadra sperando che il resto del mondo faccia lo stesso. Sento che solo così ci potremo muovere verso la luce.