I'll tip my hat to the new constitution / Take a bow for the new revolution / Smile and grin at the change all around / Pick up my guitar and play
Era il momento che tutti i lettori della trilogia di Suzanne Collins, ma soprattutto che tutti i fan della serie cinematografica di Hunger Games stavano aspettando da anni. Il culmine di una narrazione spalmata su ben quattro film, per un racconto proteso verso un grandioso, inesorabile avvenimento: la rivoluzione dello Stato di Panem contro la spietata dittatura del Presidente Coriolanus Snow (nome dai sinistri echi shakespeariani), impersonato con sottile sadismo dal veterano Donald Sutherland.
You say you want a revolution
In attesa del ciclone Star Wars: Il risveglio della Forza, a novembre infatti un altro blockbuster di portata fenomenale ha invaso le sale di tutto il mondo: Hunger Games: Il canto della rivolta - Parte 2, quarto e ultimo capitolo della saga che ha fatto schizzare il filone cosiddetto young adult in cima ai favori del pubblico degli under30 e che ha contribuito a trasformare la venticinquenne Jennifer Lawrence nella star più quotata di Hollywood, perlomeno a livello commerciale.
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Perché Katniss Everdeen, ovvero la "Ghiandaia Imitatrice" protagonista del ciclo di fantascienza distopica firmato dalla Collins, costituisce un nuovo modello di eroina grintosa e battagliera: una leader delle masse, pronta a trascinare i ribelli dei dodici Distretti di Panem nella definitiva rivolta contro un regime dal pugno di ferro, con un sanguinoso scontro finale che avrà luogo fra le strade di Capitol City. Una vera e propria pasionaria, dunque, coinvolta in un gioco politico e in un meccanismo di propaganda ben più grandi di lei, fra i temi al cuore del film di Francis Lawrence (benché gli spunti dei libri della Collins, in tal senso, in questa pellicola siano trattati in maniera fin troppo sbrigativa).
E con la conclusione delle imprese di Katniss Everdeen, accolta dal prevedibile, strepitoso successo al box office planetario (al di sotto dei precedenti capitoli, è vero, ma parliamo pur sempre di incassi a nove cifre!), proviamo a fare un tuffo nel passato (ma anche nel futuro) per un viaggio semiserio attraverso alcune fra le più importanti "rivoluzioni" viste al cinema, spaziando fra vari generi, epoche, nazioni... e in qualche caso, addirittura fra galassie lontane lontane!
Dittatori, guerriglieri e Stati liberi di Bananas
Prima di tornare al nostro punto di partenza, le distopie, gettiamo uno sguardo al passato, e precisamente al dramma storico: un genere che in più occasioni ci ha offerto il ritratto di grandi eventi di massa, quali appunto rivoluzioni, colpi di stato e lunghi conflitti consumati attraverso atti di resistenza armata e di guerriglia. Partiamo dal Messico del primo Novecento, teatro della vicenda di Emiliano Zapata, una delle figure chiave della storia sudamericana: in Viva Zapata!, film di ampio successo diretto nel 1952 dal maestro Elia Kazan, un giovanissimo Marlon Brando, appena ventisettenne, si calava infatti nel ruolo del rivoluzionario messicano che guidò la rivolta dei peones, ovvero dei contadini, contro i latifondisti appoggiati dal dittatore Porfirio Díaz. Una performance, quella in Viva Zapata!, che valse a Brando il premio come miglior attore al Festival di Cannes e la sua seconda nomination all'Oscar. Dal Messico all'Algeria, dove nel 1966 il regista Gillo Pontecorvo ha ambientato uno dei classici del cinema europeo, La battaglia di Algeri: una ricostruzione, rigorosa e tesissima, della lotta armata portata avanti dal Fronte di Liberazione Nazionale fra le strade della capitale allo scopo di liberare l'Algeria dall'occupazione della Francia. Pietra miliare del genere storico, La battaglia di Algeri vinse il Leone d'Oro al Festival di Venezia e ricevette un responso entusiastico in tutto il mondo.
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Torniamo di nuovo in Sud America, fra Cuba e la Bolivia, per una delle più apprezzate opere storiche dello scorso decennio: Che, il dittico che il regista Steven Soderbergh ha dedicato alla vita e alle imprese del rivoluzionario per antonomasia del Novecento, Ernesto "Che" Guevara, impersonato sullo schermo da un carismatico Benicio Del Toro (ricompensato con il trofeo come miglior attore al Festival di Cannes 2008). Due film distinti, Che - L'Argentino e Che - Guerriglia, per ricostruire la lotta a Cuba contro il regime del generale Fulgencio Batista e, in seguito, la guerriglia in Bolivia per tentare di rovesciare il generale René Barrientos Ortuño. Ma parlando di cinema e rivoluzioni, c'è spazio anche per una nota più 'leggera': come quella introdotta nel 1971 da un irresistibile Woody Allen, il quale, ispirandosi appunto agli avvenimenti della storia recente, ne Il dittatore dello stato libero di Bananas interpreta il più improbabile - e sprovveduto - dei rivoluzionari... talmente improbabile da diventare, appunto, un nuovo dittatore!
Dai patrioti americani alle brioches di Maria Antonietta
Dopo la parentesi demenziale alleniana, restando sempre nell'ambito del genere storico, due nazioni in particolare hanno acceso le fantasie rivoluzionarie nel periodo a cavallo fra la seconda metà del Settecento e i primi decenni dell'Ottocento: gli Stati Uniti d'America e la Francia. Alla Rivoluzione Americana è stato dedicato, nel 2000, il kolossal storico Il patriota, diretto da Roland Emmerich e ambientato nel 1776, anno in cui le ex colonie britanniche ottennero l'indipendenza da Sua Maestà Britannica. Mel Gibson, già eroe ribelle cinque anni prima, fra le brughiere della Scozia, in Braveheart - Cuore impavido, è qui il protagonista nei panni di Benjamin Martin, padre di famiglia che, nella Carolina del Sud, decide di imbracciare le armi contro le Giubbe Rosse inglesi. Ma è la Francia, in misura assai maggiore, ad aver stimolato la fantasia di sceneggiatori e registi che, nel corso degli anni, hanno rappresentato sullo schermo alcuni aspetti della Rivoluzione Francese del 1789.
A sorprendere, semmai, è come in questo caso la prospettiva adottata sia stata non tanto quella dei rivoltosi o della nuova classe borghese emergente, quanto il punto di vista dell'aristocrazia - ad esempio nel sofisticato La nobildonna e il duca di Eric Rohmer, del 2001, ambientato nel periodo successivo alla presa della Bastiglia - o addirittura della stessa corte reale: è il caso del bellissimo Les Adieux à la Reine (Farewell, My Queen) di Benoît Jacquot del 2012 (purtroppo inedito in Italia), con Diane Kruger nella parte di Maria Antonietta e Léa Seydoux in quella di una cameriera di servizio a Versailles, e perfino del lavoro di una regista americana come Sofia Coppola, che nel 2006, nell'affascinante e sottovalutato Marie Antoinette, ci ha regalato uno sguardo intimo e inedito sulla Regina di Francia (interpretata da Kirsten Dunst) alla viglia della Rivoluzione.
Infine, come non ricordare un ardimentoso Eddie Redmayne che, nei panni del giovane rivoluzionario Marius Pontmercy, intona i versi di Do You Hear the People Sing? sulle barricate costruite fra le strade di Parigi contro l'esercito francese? Il film è Les Misérables di Tom Hooper, adattamento del 2012 dell'omonimo musical ispirato a I miserabili di Victor Hugo, romanzo storico in cui sono rievocate le sommosse popolari nella Francia del 1832.
Io, Robot: i cyborg domineranno il mondo?
Cambiamo ora completamente terreno, e dalle rivoluzioni che possiamo leggere nei libri di storia passiamo a quelle raccontate nei romanzi e nei film di fantascienza. Partendo con un inquietante quesito: arriverà il giorno in cui i robot si rivolteranno contro l'essere umano, fino a dominare il mondo? È l'angosciosa domanda già sollevata nel cult Blade Runner e, proprio quest'anno, nello splendido Ex Machina, ma diverse opere di fantascienza hanno immaginato un futuro distopico incentrato sullo scontro fra l'uomo e la macchina. È il caso emblematico di Terminator: nell'innovativo cult del 1984 diretto da James Cameron, il presupposto narrativo è proprio un futuro in cui i cyborg hanno preso il sopravvento, spazzando via la civiltà umana e costringendo i pochi superstiti a una strenua resistenza, capitanata dal prode John Connor.
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Un futuro da 'correggere', come tenteranno di fare i Terminator che, nei vari film della saga, saranno inviati nel passato per annientare Sarah e John Connor o, sul fronte opposto, per impedire il disastro imminente (ma per favore, non chiedeteci di inserire in una fanta-cronistoria già complessa di per sé pure quel pasticciaccio brutto di Terminator: Genisys). Uno spunto analogo è quello alla radice di Io, Robot, film del 2004 di Alex Proyas tratto dall'omonimo romanzo del maestro della fantascienza Isaac Asimov. Ambientato nell'America del 2035, Io, Robot vede protagonista Will Smith nel ruolo di Del Spooner, un detective la cui indagine sull'omicidio di un noto scienziato porterà alla luce un'agghiacciante ipotesi: la possibilità che gli androidi, diventati parte integrante della vita quotidiana e della società attuale, possano trasgredire alle "tre leggi della robotica" e dare inizio a una rivoluzione che porterebbe a una dittatura dei robot sulla specie umana.
Da Metropolis all'Impero Galattico, tra fantascienza e distopia
E per chiudere il cerchio con Hunger Games restiamo nel campo della fantascienza, territorio prediletto per i rivoluzionari di ogni galassia fin dagli albori del genere. Facciamo dunque un salto nel lontano 1927, per parlare di un capolavoro assolutamente senza tempo: Metropolis, visionario kolossal sci-fi del geniale regista tedesco Fritz Lang, imprescindibile modello di paragone per un buon novanta percento della fantascienza a venire. In un'epoca in cui le tensioni politiche e i conflitti di classe montavano in tutta Europa (e non solo), Lang dipinse un mondo futuristico in cui il rischio della rivolta di un esercito di operai è contrastato da un'indimenticabile donna robot (icona del film stesso) che però, al contrario, guiderà il "popolo del sottosuolo" in una feroce rivoluzione contro i ricchi industriali della civiltà di Metropolis.
Metropolis è stato una delle inevitabili fonti di ispirazione per la saga di fantascienza più famosa, amata e discussa di tutti i tempi: Guerre stellari. E la prima, inarrivabile trilogia realizzata da George Lucas fra il 1977 e il 1983 presenta diverse attinenze con Hunger Games: anche in questo caso, infatti, il motore al centro della trama è la lotta ordita da un gruppo di rivoluzionari, l'Alleanza Ribelle guidata dalla Principessa Leia Organa (Carrie Fisher), contro il terribile Impero Galattico. Una rivoluzione combattuta con spettacolari battaglie fra astronavi e, naturalmente, a colpi di spade laser, con i mitici duelli fra il prode Luke Skywalker (Mark Hamill) e la sua nemesi, il tenebroso (in tutti i sensi) Darth Vader. Al filone della distopia appartiene invece Apes Revolution - Il pianeta delle scimmie, diretto l'anno scorso da Matt Reeves e sequel de L'alba del pianeta delle scimmie: in un mondo post-apocalittico, la difficile convivenza fra i superstiti umani e le scimmie super-evolute viene minata dal complotto dello scimpanzé Koba, che indurrà un manipolo di scimmie a infrangere il loro codice morale e a ribellarsi contro gli esseri umani, con conseguenze devastanti.
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Ma parlando di cinema e rivoluzioni, il titolo in assoluto più iconico e citato (il più delle volte a sproposito) è senza dubbio V per Vendetta del 2005, avvincente e fortunatissima trasposizione di James McTeigue del 2005 dell'omonima graphic novel di Alan Moore, con il contributo creativo e produttivo dei fratelli Wachowski. La maschera di V, il misterioso dinamitardo che nel film sfodera il volto dal sorriso beffardo di Guy Fawkes, richiamandosi così alla famigerata "congiura delle polveri" ordita nel 1605 per far saltare in aria la Camera dei Lord, è ormai entrata nell'immaginario collettivo, che si tratti di costumi di Carnevale o dello stemma di Anonymous, fino al punto di trascendere il significato assunto nel film - la lotta anarchica contro una dittatura dai contorni orwelliani. E prima di concludere, come non citare uno dei più originali film di fantascienza degli ultimi anni? Perché al di là della sua formidabile commistione fra i registri dell'action movie, della commedia nera e della satira, Snowpiercer, diretto nel 2013 dal regista coreano Bong Joon-ho e basato su una serie a fumetti, ha una caratteristica davvero unica: una rivoluzione che si consuma esclusivamente all'interno dei vagoni di un treno, teatro di un bestiale sfruttamento destinato a sfociare in un sanguinoso scontro di classe. E un'irriconoscibile Tilda Swinton, che nei panni della schiavista Mason pronuncia una delirante apologia del classismo con unico mezzo per distinguere l'ordine dal caos, meriterebbe già da sola la visione del film...