Eravamo negli anni ottanta quando Paolo Valmarano poneva un interrogativo sul linguaggio e gli spazi del racconto visivo. Esisterà davvero quella parte di cinema chiamata televisione o quella parte di televisione che possiamo chiamare cinema? Da quel momento registi, sceneggiatori e produttori non hanno mai smesso di interrogarsi sul rapporto tra i due dispositivi che, nonostante una storica divisione di spazi e stili, oggi sembrano destinati a dialogare in modo sempre più costante e definitivo attraverso autori e interpreti capaci di attraversare in modo trasversale il luogo televisivo e cinematografico. Esempio eccellente é il mercato americano che, soprattutto attraverso la nascita di network specifici, sta colmando la distanza produttiva e qualitativa.
Ma a che punto si trova la realtà italiana caratterizzata soprattutto da una televisione generalista? A questo interrogativo provano a dare una risposta al Roma Fiction Fest con un team d'eccezione formato da Gianni Amelio, Francesca Comencini, Tinny Andreatta, responsabile di Rai Fiction, Ivan Cotroneo, il produttore Angelo Barbagalloe Carlo Degli Esposti.
Da I ragazzi di via Panisperna a Montalbano
Gianni Amelio non frequenta attivamente la televisione da molti anni ma, per oltre un ventennio, ha fatto parte del meccanismo di produzione narrativa che ha condotto alla creazione della fiction moderna. "La mia esperienza nella tv risale ad un periodo storico in cui il temine e il concetto stesso di fiction non era nemmeno nel mondo degli dei - ricorda il regista - Era morto lo sceneggiato e si tentava di dare un nome a quel pezzo di tv che a volte si poteva chiamare cinema. Quello che volevamo, però, era creare un prodotto autonomo e non una scimmiottatura. Da questa intenzione é nato l'originario televisivo. Ed io ne ho fatto a pioggia e in ogni dove con le troupe Rai. Con I ragazzi di via Panisperna, poi, abbiamo cercato di fare un salto qualitativo ma ancora non eravamo sulla strada giusta." Questo é il passato ma dove sta andando, secondo Amelio, la televisione di oggi? "In questo momento non si realizza un prodotto televisivo per poi poi tagliarlo e portarlo sul grande schermo. Sarebbe un errore terribile perché sono due mondi diversi e vivono di linguaggi personali. L'importante é non creare delle barriere e degli steccati qualitativi tra i due. Bisogna fare bene le cose e la passione é l'unico modo per riuscire. Per quanto mi riguarda, sento di aver molto da imparare sulla tv ma ho un grande desiderio. Dopo Il piccolo Archimede vorrei realizzare Il piccolo Montalbano."
Tv movie o cinema?
Nel panorama italiano il maggior produttore di fiction é senza dubbio la Rai che, senza perdere di vista il tradizionale racconto popolare, sta facendo i conti con diverse possibilità di fruizione. "Il problema non é scegliere tra cinema e televisione - chiarisce Tinny Andreatta, responsabile di Rai Fiction - piuttosto tra buone e cattive storie. Per questo motivo non ha alcun senso considera cinema e tv come degli antagonisti. Semplicemente, chi si occupa di fruizione audiovisiva, si dovrebbe rendere conto di avere a sua disposizione diverse possibilità tra cui anche la rete, che ha aperto una vera e propria galassia inesplorata." Storicamente nomi importanti del grande schermo, come Amelio, Zeffirelli e Montaldo, si sono messi alla prova con il piccolo schermo. E senza andare troppo in la con la memoria basta ricordare l'esperienza particolare di Marco Tullio Giordana con La meglio gioventù, selezionato poi dal Festival di Cannes. Tutto questo per dire che il dialogo tra i due mezzi sta continuando in modo sempre più agevole. E tra i prossimi progetti di lunga serialitá messi in cantiere dalla Rai c'é anche la versione televisiva de La mafia uccide solo d'estate in cui, attraverso lo sguardo di un bambino, si prova a destrutturare la mafia. "Si sta sviluppando un grande romanzo contemporaneo attraverso la tv - continua la Andreatta -in cui abbiamo la possibilità di costruire un ampio racconto con architetture complesse e dei personaggi più profondi. Dall'esperienza degli Stati Uniti dobbiamo guardare con interesse soprattutto la diversificazione dei canali con cui costruire prodotti nuovi per un target di nicchia. In questa visione, abbiamo bisogno di una tv a pagamento che faccia il suo mestiere lavorando sulla estremizzazione, mentre quella generalista continua nell'utilizzo di un linguaggio più semplice che racconti il paese."
Il caso Gomorra
Tra le ultime produzioni che hanno fatto parlate di se, soprattutto per la sua modernità, bisogna ricordare Gomorra. La serie TV, infatti, può essere considerato un esempio perfetto di come tre strumenti diversi come televisione, cinema ed editoria possono lavorare insieme per costruire e sviluppare, attraverso forme personali, lo stesso racconto. In modo particolare, poi, la serie ha scelto di svilupparsi sotto il segno della diversificazione scegliendo tre voci e sguardi registici diversi, tra cui quello di Francesca Comencini. "Lavorare in gruppo e stata una esperienza interessante e anche difficile. Sono abituata a realizzare autonomamente i miei film, qui, invece, c'è stato un costante lavoro di team. Superate queste prime differenze, però, ho capito quanto il progetto di Gomorra potesse essere innovativo, visto che il cambio di mano dei registi coincideva con un cambiamento del punto di vista nella narrazione. Sollima è stato un punto di riferimento, oltre che direttore artistico, con cui sia io che Cupellini ci siamo interfacciati costantemente. Però ci siamo anche sentiti liberi di muoverci all'interno dei nostri episodi mettendoci costantemente nelle testa del personaggio e guardando il racconto da un punto di vista specifico. Avevamo il compito sia di essere un tassello di un insieme più ampio senza perdere, però, in specificità."
Guardando gli americani
Inutile dire che il grande termine di paragone in tutta questa discussione è soprattutto la produzione televisiva americana in grado, negli ultimi dieci anni, di alzare sempre di più il tiro di produzioni diventate dei veri e propri casi internazionali. Eppure non tutti sembrano essere d'accordo nell'ammettere questa "superiorità". Carlo degli Esposti, ad esempio, definisce gli Stati Uniti come delle tigri di carta. "Il racconto della serialitá americana e bellissimo ma non ha nulla a che vedere con quello che possiamo fare noi. L'unica cosa che possiamo invidiare loro è un mercato di concorrenza dove vince il migliore. Noi ci dovremmo concentrare sul combattere per avere entro il più breve tempo possibile un mercato più libro nella concorrenza. Abbiamo bisogno di leggi in questo senso." Diversa, invece, è l'opinione del produttore Angelo Barbagallo, fondatore insieme a Nanni Moretti del Sacher, che, tenendo in conto anche il vento rivoluzionario portato da esperimenti televisivi europei come Heimat, mette l'accento sulla necessità di percorre strade diverse. "Negli ultimi tempi i progetti più rivoluzionari li ha proposti la televisione europea. Questo, forse, perché può seguire dei ritmi meno concitati rispetto a quelli cinematografici andando in profondità nella struttura dei personaggi come della storia. Con questo non dico che bisogna scimmiottare gli americani, ma quando guardo True Detective della HBO mi pongo delle domande. Penso che insieme al mercato ci dobbiamo battere per avere delle leggi che contemplino la nascita di reti, nuovi spazi per produrre delle cose diverse e originali rispetto a quelli cui siamo costretti ora." E su questa serie, in particolare, insiste anche lo sceneggiatore Cotroneo, che ha firmato gli script di Tutti pazzi per amore e Una mamma imperfetta. "Si tratta di un racconto che non ha nulla a che fare con quello che abbiamo visto fino ad oggi negli ultimi dieci anni. Non è tanto la crime story o l'intreccio a tenere avvinti, quanto il rapporto tra i personaggi e l'evoluzione dell'amicizia. Ed è questo elemento che, da scrittore e spettatore, mi interessa. Ossia la possibilità di rimanere con i personaggi il più a lungo possibile. Ed anche raccontare delle contraddizioni e non risolverle perché la vita non le risolve mai. prendiamo, ad esempio, in considerazione anche Mad Men. Siamo arrivati alla settima serie ed io ancora non ho capito chi sia veramente Don Draper. Questa è la chiave del successo e il particolare in grado di mantenere accesso l'interesse del pubblico."