Una produzione imponente e una regista di grande spessore per una storia vera che ha segnato nel profondo la coscienza civile dell'Europa degli anni '60. Stiamo parlando di Burning Bush, miniserie in tre puntate diretta da Agnieszka Holland, dedicata alla vicenda del patriota cecoslovacco Jan Palach. Il Roma Fiction Festival ha dedicato ampio risalto ad uno degli appuntamenti più importanti del programma della settima edizione, che il pubblico italiano potrà seguire nel 2014 su Rai Tre in tre prime serate; prodotto da HBO Europe e candidato della Repubblica Ceca per l'Oscar al miglior film straniero, Burning Bush, è un'opera solida e ben costruita che non può lasciare indifferenti, sia per la materia raccontata che per il modo di narrarla. Fondamentali, naturalmente, tutti gli interpreti, come la brava protagonista Tatiana Pauhofová con cui abbiamo piacevolmente chiacchierato. La Pauhofová veste i panni di Dagmar Burešová, l'avvocato che seguì i familiari di Palach nella causa per diffamazione intentata contro coloro che cercarono di infangarne la memoria. Giovane studente universitario di Praga, Palach si diede fuoco nel gennaio del 1969 in piazza San Venceslao per protestare contro l'invasione sovietica in Cecoslovacchia; un atto, non solo politico, che scosse le coscienze di molti, ma che il tempo ha quasi cancellato.
Tatiana, partiamo dalla regista del film, Agnieszka Holland, com'è stato lavorare con lei?
E' stata una vera benedizione, è fantastica, sa esattamente cosa vuole, ma non è un dittatore, ti prende per mano e ti porta dove vuole che ti trovi in quel momento; è perspicace, umana, aperta. Il legame tra un regista e l'attrice è importante e indefinibile. Devi fidarti. Lei è stata meravigliosa. Per lei si è trattato di un film molto personale, ambientato in un periodo storico che conosceva benissimo. E si è trovata a dirigere un gruppo di ragazzini, ci ha guidati passo passo in tutto questo processo, ho dovuto dimenticare il momento presente e fare tabula rasa e pensare come si pensava all'epoca e lei ci ha aiutato.
La Holland era a Praga nei giorni successivi all'invasione sovietica, ha protestato per le strade ed è stata anche in prigione. Vi ha dato delle indicazioni particolari sul quel momento storico?
Sì, lei è stata fondamentale nel raccontarci come si sentiva la gente; la cronaca dei fatti la puoi desumere dai libri, ma quando parli con qualcuno che ha vissuto quei momenti, è semplicemente meraviglioso.
E' stato difficile interpretare questo ruolo perché Dagmar non è mai stata sotto i riflettori, ma ha sempre preferito starsene in disparte, dietro le quinte. Tanto che il suo nome non compare in nessun libro, sebbene sia diventata in seguito ministro della Giustizia. Sfortunatamente non sono riuscita a parlare con lei, ma ho scambiato qualche parola con la figlia che mi ha detto tantissime cose sul carattere della madre. Leggendo la sceneggiatura mi sono resa conto di quanto lo script fosse vicino alle cose che mi ha detto la figlia, è stato sorprendente, calzava davvero a pennello. Sentivo forte la responsabilità, non volevo deluderla.
Come ti sei documentata sull'epoca?
Fortunatamente mi piace la Storia e non sono così all'oscuro di quegli eventi storici. Come ho detto prima, la cronaca si può ricostruire facilmente e io l'ho fatto parlando molto con i miei genitori e con gli amici e leggendo svariati libri. Ciò che invece non ti dice nessuno e sapere davvero cosa avesse vissuto il mio paese, volevo cosa era successo e perché. Quando interpreti un ruolo bisogna viverlo, come se si fosse stati lì. Agnieszka non voleva che recitassimo, ecco perché in certi momenti è stato importante discutere a lungo con lei.
Jan Palach è ricordato oggi?
La generazione dei miei genitori lo ricorda eccome, la nostra generazione, per non parlare di quelli più giovani, non ha la minima idea di chi fosse.
Perché lasciare che una parte importante della propria storia finisca nel dimenticatoio?
La soluzione migliore per tutti, per le nostre coscienze, per la salvaguardia delle generazioni future, è quella di non lasciare che ciò avvenga. Oggi, però, e mi spiace dirlo, la gente si sente sommersa dai propri problemi e non vogliono scavare nel passato. Vogliono una soluzione facile e divertente; scelgono un programma comico in TV o uno spettacolo leggero in teatro, ma non credo sia il modo più giusto per affrontare la realtà. E poi i giovani non vengono educati su questi eventi del passato. Ai genitori non importa, ai figli non importa; ecco perché sono molto felice di aver partecipato a questo progetto e di avere un film che funzioni. Un'opera del genere spinge i ragazzi a farsi domande, a chiedere ed è l'inizio di un processo a domino che può cancellare questo pensiero fondato sull'indifferenza, sul lasciami stare, la vita è già tanto dura. Lo so bene che la vita è dura, ma non ci si può permettere di disinteressarsi.
E tu che idea di sei fatta di Jan Palach?
E' una delle domande più difficili che mi siano state poste. Per alcuni è stato un figlio che si disinteressava della propria famiglia, un pazzo che non aveva riguardo per la propria vita. Per me era un giovane istruito e generoso che amava il suo paese, anzi che si prendeva cura del suo paese, e sapeva cosa gli sarebbe successo prendendo quella strada. Voleva che tutti si risvegliassero dal letargo, ha scritto tante lettere al movimento studentesco per promuovere uno sciopero di massa, ma non funzionò nulla. Quella fu la sua offerta al suo paese; non voleva uccidersi, non era un suicida, voleva solo fare qualcosa di importante. Il suo è stato un sacrificio che risuona dopo quarant'anni.