Nello scrivere la recensione di Resident Evil: Infinite Darkness ci si è riproposta una difficoltà che capita di tanto in tanto nel valutare un'opera, quella di sintetizzare il nostro giudizio in un voto, un singolo numero che possa rappresentare la nostra idea. Per questo quello che vedrete a fondo pagina non è un numero elevato, ma questo non significa una bocciatura, perché si tratta in ogni caso di un "Sì", che è però seguito da diversi "ma" che cercheremo di spiegare. La serie Netflix in CGI ispirata alla popolare saga videoludica targata Capcom è un passo in una direzione interessante, ma come i primi passi andrà valutato anche in funzione del cammino che si andrà a compiere e questi primi quattro episodi ci propongono spunti intriganti, ma anche diverse perplessità.
Nel mondo di Resident Evil
Partiamo dalla collocazione temporale della storia, per fornire un minimo di contesto: i fatti della serie anime di Netflix avvengono tra gli eventi del quarto e quinto capitolo della saga videoludica e la conoscenza di quei titoli permette allo spettatore di cogliere delle sfumature in più di quanto sta avvenendo. Se infatti non si tratta di un titolo rivolto solo ai conoscitori e fan di Resident Evil, ma ci è sembrato che la consapevolezza di quel mondo narrativo possa aiutare a entrare nello spirito della produzione, capire più agevolmente alcuni dettagli e, soprattutto, conoscere i personaggi principali e i riferimenti a quanto accaduto a Racoon City, che provengono invece da uno dei titoli migliori della serie, il secondo capitolo.
In Resident Evil: Infinite Darkness ritroviamo volti noti del franchise horror di casa Capcom, in particolare Leon alle prese con un'indagine relativa a dei tentativi di hacking alla Casa Bianca, che si ritrova al centro di un invasione zombie. Parallelamente seguiamo Claire, che lavora per un'organizzazione che si occupa di diritti umanitari e incontra un ragazzino traumatizzato da un evento del suo passato, una tragedia che emerga da un suo disegno in cui sembra esser descritto un attacco zombie. Due storyline che partono da luoghi lontani da loro ma presentano una correlazione, che funge da filo conduttore dei quattro episodi della prima stagione e viene approfondita attraverso dei flashback che fornisce ulteriore background allo spettatore.
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Due personaggi per una storia
Una mossa intrigante dal punto di vista narrativo è la scelta di seguire Leon e Claire parallelamente (nonostante alcuni momenti di contatto tra loro), strizzando l'occhio all'impostazione di molti dei titoli della serie di videogiochi in cui si possono giocare separatamente due personaggi e relativi diversi cammini. Se l'idea è del tutto positiva, la realizzazione è penalizzata dal poco spazio a disposizione per svilupparla in modo adeguato, complice la presenza dei flashback che toglie ulteriore spazio alle vicende di Leon e Claire, per un tuffo nelle loro vite dopo le apparizioni nel franchise del tutto apprezzabile da appassionati.
È il primo punto in cui il formato scelto per la prima stagione mostra i suoi limiti, ma continua a farlo anche dal punto di vista della varietà di approcci e situazioni: c'è molto dialogo per portare avanti l'intreccio, ci sono suggestioni da War Movie e sviluppi da intrigo politico, senza tralasciare quella che è la vera anima della saga, ovvero l'horror e il gore. Troppo per così poco tempo, con il risultato di un equilibrio non sempre raggiunto: c'è tensione, c'è sangue e ci sono immagini piuttosto forti, ma si concentrano in momenti specifici dei quattro episodi, come delle esplosioni di orrore che le rendono d'impatto, ma non riescono a lasciare soddisfatti.
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La questione tecnica
Un ultimo punto da esaminare è necessariamente quello tecnico, già di per sé significativo quando si parla di animazione, ancor più per una produzione che prende le mosse da una serie di videogiochi, che necessariamente ne condividono la tecnica realizzativa. Resident Evil: Infinite Darkness è realizzata in CGI, con una ricerca visiva di impatto notevole se parliamo di prime impressioni, altalenante, se non deludente, se invece analizziamo le animazioni. Insomma i modelli poligonali sono buoni, se non a tratti ottimi, la cura dei dettagli è elevata e ricercata, ma i movimenti appaiono legnosi e in alcuni casi innaturali, con risultati che potevano essere adeguati a vecchi titoli del franchise, ma che risultano inferiori ai più recenti.
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Se insomma Resident Evil: Village, renderizzato in tempo reale dalla PS5 per reagire al comportamento del giocatore, appare più naturale e fluido di alcuni momenti d'azione di Infinite Darkness, ci sembra prova evidente di un problema e di una tecnica ancora da padroneggiare e affinare, che potrebbe già essere migliorata in eventuali prossimi stagioni.
Conclusioni
Arriviamo alla fine della recensione di Resident Evil: Infinite Darkness e dobbiamo necessariamente ribadire quanto detto in apertura: il voto cerca di rappresentare quanto di positivo abbiamo individuato, soprattutto in prospettiva, da questo adattamento, tenendo conto dei tanti problemi che ne compromettono la qualità totale, a cominciare dalla durata esigua di quattro episodi che la fa sembrare più un pilot che una vera prima stagione, in modo non molto diverso da come era stato per l’esordio di Castlevania. È comunque bello ritrovare due personaggi amati della saga come Leon e Claire e restiamo fiduciosi per eventuali sviluppi futuri.
Perché ci piace
- Ritrovare Leon e Claire, due personaggi che hanno segnato il franchise.
- L’ambizione di costruire qualcosa di più ampio e complesso di una mera invasione di zombie.
- La qualità dei modelli poligonali e la cura dei dettagli…
Cosa non va
- … rovinata però da animazioni non sempre all’altezza della situazione.
- Troppo poco spazio per dare il giusto respiro alle vicende dei due personaggi principali e il flashback, nonché di dare equilibrio all’alternanza di suggestioni diverse.