Lo scorso dicembre, durante le presentazioni dell'Investor Day della Disney, aveva fatto parlare di sé, nell'ambito di ciò che avremmo visto nella sezione Star di Disney+ (destinata a un pubblico più maturo), la programmazione del canale FX e la collaborazione di questo con Hulu, per cui da qualche tempo produce direttamente delle serie da mandare in streaming senza passare per l'opzione lineare negli Stati Uniti. E tra i titoli annunciati c'era quello di cui andiamo a parlare nella recensione di Reservation Dogs, nuova serie che arriva sulla piattaforma con i primi due episodi per poi proporre gli altri sei a cadenza settimanale (ai fini dell'analisi critica abbiamo visto in anteprima metà stagione). È uno show che, almeno in sede di presentazione, ha attirato l'attenzione per la sua apparente parentela spirituale con il primo lungometraggio di Quentin Tarantino e per la partecipazione, come co-creatore e produttore esecutivo, del cineasta neozelandese Taika Waititi, autore che da qualche anno è un collaboratore prezioso della Disney all'interno di vari sottogruppi (in particolare Marvel e Lucasfilm) e qui si dà per la prima volta a una creazione seriale originale per lo streaming, insieme al collega Sterlin Harjo.
Quattro giovani indigeni
I protagonisti di Reservation Dogs sono quattro giovani, Elora Danan, Bear, Cheese e Willie Jack, che vivono in una riserva indiana nell'Oklahoma (dove si sono svolte integralmente le riprese della serie, cosa inusuale per una produzione statunitense). Il loro sogno è di potersene andare e farsi una nuova vita in California, e con tale scopo in mente escogitano vari stratagemmi per fare soldi, in modo legale o meno (nella prima sequenza del pilot rubano un furgone). Tra un piano e l'altro, assistiamo alle loro interazioni quotidiane con parenti e amici, ma anche con spietati rivali come la gang adolescenziale nota come NDN Mafia, che non esita a usare le maniere forti con i quattro personaggi principali. Difatti, alla fine del primo episodio Bear si ritrova privo di conoscenza, il che lo fa entrare in contatto con un vero e proprio spirito guida, un indigeno a cavallo che cerca di impartirgli consigli di vario genere.
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La vita in riserva
Nonostante il suo nome sia stato molto utilizzato in sede di marketing, per ovvi motivi legati alla sua fama e al suo legame con la Disney in particolare, lo stesso Taika Waititi ci ha tenuto a sottolineare che la sua parte è stata soprattutto legata al dare una mano a Sterlin Harjo ad avviare il progetto (infatti, dopo il primo episodio, il regista neozelandese è citato solo come produttore esecutivo, senza partecipare alla scrittura o alla regia). Un gesto forte, dato che Waititi, di origine Maori, è consapevole delle difficoltà che gli indigeni possono avere nel portare sullo schermo le proprie storie, e ha quindi voluto renderlo possibile per Harjo, che è originario della Nazione Seminole in Oklahoma (Stato americano con una delle maggiori concentrazioni di territori controllati direttamente da tribù indigene) e si è sempre interessato, anche sul piano cinematografico con lungometraggi di finzione e documentari, alla propria cultura, arrivando persino a fondare un gruppo comico composto interamente da indigeni.
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Ed è proprio questo il pregio maggiore dello show, che vanta cast e troupe la cui composizione è per la maggior parte indigena, data l'ambientazione delle storie (le poche presenze esterne si limitano a ospitate sporadiche). C'è una sincerità, nella scrittura e nella messa in scena, che mette in avanti le specificità della cultura raccontata ma con il filtro universale di peripezie narrative ben note, in primis la voglia di reinventarsi altrove. È un'avventura dal sapore cinefilo (i nomi di due dei protagonisti rimandano a Willow e Billy Jack, quest'ultimo un cult nel contesto del cinema a tema indigeno, e fa capolino anche il poster de Le iene) e ad altezza ragazzino, che mescola libertà, irriverenza e innocenza in maniera intelligente e a tratti molto commovente, nel tentativo - riuscito - di raccontare uno spaccato di vita da un punto di vista spesso trascurato. E quel punto di vista è evidentemente piaciuto al pubblico, poiché la seconda stagione è già stata annunciata e potremo quindi passare ancora più tempo insieme a questi quattro "cani da riserva" che abbaiano con passione e simpatia.
Conclusioni
Chiudendo la recensione di Reservation Dogs, nuova serie della sezione Star di Disney+, constatiamo come il contributo di Taika Waititi abbia permesso al creatore Sterlin Harjo di portare sullo schermo, con sincerità e irriverenza, un appassionante spaccato della propria cultura indigena, raccontata con amore e fantasia.
Perché ci piace
- I quattro giovani protagonisti sono adorabili.
- L'ambientazione indigena dà alla serie un fascino specifico che si sposa bene con storie dal tratto universale.
- Lo humour cinefilo è gestito bene.
Cosa non va
- Chi si aspettava, dal titolo, dei contenuti molto più tarantiniani potrebbe rimanere deluso.