Dopo aver portato sul grande schermo La vita oscena, romanzo autobiografico scritto da Aldo Nove e pubblicato nel 2010, con il quale ha riscosso reazioni positive dalla platea veneziana, grazie ad uno stile coraggioso, pronto a correre rischi, e visivamente potente, Renato De Maria bissa, presente ancora una volta nella sezione Orizzonti, con il suo documentario dedicato ai protagonisti della mala nostrana in Italian Gangsters. Distribuito dall'Istituto Luce, il lavoro del regista continua il suo percorso verso rotte originali, inconsuete e per certi versi audaci, decidendo di puntare l'obbiettivo su una pagina di storia italiana abusata ad uso e consumo del cinema, il secondo dopoguerra, per raccontarla però dal punto di vista dei più celebri criminali del nostro Paese che in quegli stessi anni riempivano le pagine di cronaca con le loro gesta, affascinando e indignando l'opinione pubblica, fino a ispirare registi e scrittori loro contemporanei.
Tra documentario e finzione
Renato De Maria decide di giocare con i generi in Italian Gangster. Generi uniti grazie al montaggio efficace di Letizia Caudullo, capace di dare fluidità ad un'insieme fatto di tanti piccoli frammenti visivi, fotografici e musicali, accostati ai monologhi dei protagonisti. Sì, perché nel viaggio intrapreso nell'Italia post bellica i ciceroni chiamati ad accompagnarci in questi trent'anni di storia sono i nomi più noti della mala nostrana. Per farlo il regista non utilizza semplicemente filmati, interviste o spezzoni di cinegiornali ma chiama all'appello sei attori pronti a dare voce e corpo al Dillinger italiano, Paolo Casaroli (Sergio Romano), al bandito gentiluomo, Luciano De Maria (Paolo Mazzarelli) o al solista del mitra, Luciano Lutrig (Luca Micheletti), insieme a Pietro Cavallero (Aldo Ottobrino), Ezio Barbieri (Francesco Sferrazza Papa) e Horst Fantazzini (Andrea Di Casa).
Questi nomi, celebri all'epoca per le loro rapine, le uccisioni o i colpi puliti, realizzati senza spargimenti di sangue ma con freddezza e lucidità, vengono tramutati dal regista in carne e volti pronti a raccontare le loro storie, attingendo da interviste, biografie o libri loro dedicati da personalità di spicco del settore come Enzo Biagi, Indro Montanelli e Giorgio Bocca. Il racconto, impostato quasi teatralmente dal regista, con gli attori alle prese ognuno con il proprio monologo in un teatro di posa che li avvolge nell'oscurità, illuminando flebilmente i loro volti, parte spesso da schegge d'infanzia, dalla descrizione del contesto sociale nel quale sono cresciuti, con accenni alla Milano degli anni 40, cumulo di macerie, tra palazzi bombardati ed interminabili e umilianti file per riscuotere un pezzo di pane che non bastava mai. I vari Lutrig, Cavallero e Fantazzini, proseguono poi con la descrizione dei loro momenti d'oro, dalla prime rapine a quando le loro gesta criminali diventarono famose in tutto lo stivale grazie anche alle penne di giornalisti soliti ribattezzarli con soprannomi legati al loro "stile", fino al declino fatto di arresti, morti, grazie presidenziali e carcere. In quelli stessi anni l'Italia cambiava profilo e la Milano polverosa lasciata dietro le sbarre di una cella chiusa per parecchie primavere diventava il modello del boom economico, metropoli europea che ha voltato pagina, dimenticando quei nomi e quei volti.
Un pastiche stilistico
Quello che colpisce in Italian Gangster, oltre le ottime interpretazioni degli attori chiamati ad impersonificare i re della mala, è la capacità di De Maria di tenere le fila del ricco materiale video a sua disposizione grazie all'Archivio storico Luce, a Home Movies e alla library di Rarovideo con la quale infarcisce gli intermezzi fra un frammento di monologo e l'altro con immagini di un'Italia messa in ginocchio dalla guerra, tra volti disperati e militari ad ogni angolo delle città, ricordando uno spaccato di storia il cui peso ha continuato a farsi sentire non solo concretamente ma anche nella memoria collettiva. Mischiando stili, realizzando una docu-fiction, il regista inserisce anche sequenze tratte da film di genere o autoriale ispirati alle gesta criminali di Cavallero e gli altri. Ecco allora Renato Salvatori abbandonare lo sguardo bonario e furbetto del bagnino Salvatore di Poveri ma belli, che i cuori di tante ragazze dai capelli cotonati e abiti dal punto vita strettissimo aveva rapito, vestire i panni del bandito Casaroli nel film di Florestano Vancini o il sorriso beffardo di Valerio Mastandrea nel finale de L'odore della notte di Claudio Caligari. In mezzo Marco Bellocchio con Sbatti il mostro in prima pagina, o Ferdinando Di Leo con La Trilogia del milieu (Milano calibro 9, La Mala ordina, Il Boss), il tutto legato dalle parole di Lutrig, Barbieri o Fantazzini, accompagnati dalle musiche perfettamente stranianti del compositore Lele Marchitelli.
Movieplayer.it
3.0/5