Tra gli esordi italiani più felici degli ultimi tempi spicca quello del calabrese Alessandro Grande, che racconta la sua terra e la genitorialità con sguardo inedito, come evidenzia la recensione di Regina. La Regina del titolo è un'adolescente molto dotata che si divide tra la scuola e la musica. A interpretarla Ginevra Francesconi che, dopo The Nest, si conferma uno dei giovani volti più promettenti del panorama nostrano. Dopo la morte della madre, Regina vive un rapporto simbiotico con un padre/amico (Francesco Montanari) più interessato a farla emergere dove lui non è riuscito, nell'ambiente musicale, che a impartirle dei valori solidi. Il fragile equilibrio che regola il loro rapporto si spezza quando i due restano coinvolti in un grave incidente che costringe Regina a prendere coscienza dei limiti e delle carenze della figura paterna.
Una Calabria lacustre, plumbea, mai vista prima, fa da sfondo a una vicenda che sembra intraprendere una direzione per poi virare bruscamente e raccontarci tutt'altro. Malgrado il titolo del film diriga un ipotetico occhio di bue sulla giovane protagonista, il duplice punto di vista con cui la storia viene affrontata rimbalza da un personaggio all'altro ottenendo l'effetto di avvolgere lo spettatore in questa storia familiare e permettendoci di apprezzare ancor di più il lavoro di immedesimazione svolto dagli attori. Francesco Montanari si misura, infatti, con un padre affettuoso e presente, ma incapace di dare una direzione morale all'educazione della figlia perché è lui il primo a non possederla. Quanto a Regina, ben presto capiamo che l'apparente vicinanza affettiva col genitore è un succedaneo con cui colmare il vuoto lasciato dalla figura materna. Quando la ragazza sarà costretta a tirar fuori la forza per affrontare una situazione drammatica la cercherà solo in se stessa e non in un padre debole e immaturo.
Una struttura narrativa mai scontata
Una storia spinosa da affrontare poiché, prima di Regina, il rapporto padre-figlia è stato esplorato in migliaia di film, migliaia di varianti diverse, ma Alessandro Grande è ben determinato a trovare una voce unica a costo di rinunciare agli orpelli narrativi. Nella prima parte del film vediamo Regina perseguire ostinatamente la carriera musicale forse più per volontà del padre, ex musicista; ben presto questa linea narrativa viene accantonata per lasciare spazio ad altro. Il tutto non senza sacrificio, visto che le sequenze in cui Ginevra Francesconi si cimenta nelle sue prove canore solo chitarra e voce, davanti a un pubblico o in studio, sono tra le più belle del film, ma a Grande sta a cuore altro. Il regista lavora di fino per raggiungere il suo obiettivo, tenendo insieme i fili di un dramma familiare che sfocia nel noir senza tralasciare riferimenti alla locale criminalità organizzata.
La forza di Regina sta, dunque, in un mix di ingredienti ben calibrato che talvolta "osa", forzando i confini del genere e preferendo una narrazione ruvida e sincopata, evidente nella seconda parte del film, al più rassicurante andamento lineare accennato in apertura. Il ritmo teso, gli eventi e incontri a singhiozzo, la dimensione notturna che prende il sopravvento su quella diurna, gli stessi dialoghi frammentari, intervallati da lunghi e imbarazzanti silenzi, ci danno l'idea dell'incubo in cui è precipitata Regina, dello smarrimento di un'adolescente che ha perso i suoi punti di riferimento. Di contraltare, la figura paterna incarnata da Francesco Montanari si fa più involuta e carente, con l'attore abile a lasciar trasparire tutta la sua inadeguatezza in alcuni momenti chiave in cui è costretto al confronto con altri personaggi (Carabinieri, fidanzatino di Regina o compagna che siano).
Uno sguardo nuovo su luoghi conosciuti
Con Regina, Alessandro Grande dimostra di saper sfruttare al meglio gli ingredienti che ha a disposizione partendo da una storia (apparentemente) semplice per costruire un microcosmo in evoluzione. Passioni personali e influenze cinefile si intrecciano in una storia che ribadisce l'urgenza di essere raccontata in un contesto ambientale che lotta per prendere il sopravvento. Nel raccontare la sua Calabria, il regista spazza via cliché e luoghi comuni, costruisce sequenze che mettono alla prova i suoi interpreti anche fisicamente e rischia là dove decide di evitare facili risposte e scelte ovvie. Il suo coraggio viene premiato con un risultato vibrante, a tratti imperfetto, come la voce della Regina cantante che in principio spiazza con i suoi sussurri tremolanti per poi avvincerti nota dopo nota.
Conclusioni
Come evidenziato nella recensione di Regina, l'opera prima di Alessandro Grande rappresenta una ventata di aria fresca nel panorama italiano valorizzando i suoi interpreti Francesco montanari e la rivelazione Ginevra Francesconi con una narrazione coraggiosa e spiazzante che schiva le vie più battute per raccontare la paternità da un punto di vista inedito. Oltre alla grande umanità dei protagonisti, a catturare l'attenzione sono l'immagine insolita di una Calabria montuosa e crepuscolare e la musica che accompagna il cammino di Regina in un romanzo di formazione inconsueto.
Perché ci piace
- La protagonista Ginevra Francesconi è una vera e propria rivelazione a cui Francesco Montanari tiene testa con una performance umana e sfaccettata.
- Una storia semplice viene arricchita e valorizzata da uno sguardo autoriale inedito.
- Le sequenze musicali, seppur poche, sono davvero affascinanti.
- Il film ci permette di conoscere una Calabria inedita, meno nota.
Cosa non va
- Il ritmo aspro e sincopato della seconda parte spiazza rispetto alla narrazione più lineare di inizio film.
- Il regista non risponde a tutte le domande sollevate dal film, alcune linee narrativi e personaggi secondari vengono sacrificati a favore dei due protagonisti.