Fantasmi a Tehran
Koshrow è un architetto che soffre da anni di depressione. Né il suo matrimonio né la sua carriera gli hanno dato le soddisfazioni che sperava: la bella moglie Leili, attrice il cui successo lo mette in ombra, gli nasconde qualcosa, e il suo migliore progetto resta quello della loro dimora, una casa perfetta eccetto che per un trascurabile particolare, l'ultimo gradino della scala esterna, visibilmente più alto degli altri a causa di un errore di calcolo. Questo ultimo gradino, come suggerisce il titolo di The Last Step, si trasforma nel simbolo di una discordanza, di una bugia, di una terribile diagnosi nella lucida se non lineare narrazione che Koshrow, morto - da minuti, da ore, da giorni? - ci fa degli ultimi giorni della sua esistenza.
Non ha importanza, per il nostro incorporeo eroe, la precisione nella successione dei fatti, e questo andamento ondivago, ripetitivo, misterioso contribuisce ad ammantare di atmosfera un originale whudunit. Ma il film di Ali Mosaffa, qui regista, sceneggiatore e interprete principale, nel suo afflato così reminescente della lirica classica persiana, è anche debitore nei confronti di un paio di illustri precedenti letterari: è il motivo tolstojano (La morte di Ivan Il'ič) dell'impotenza della morte di fronte alla solidaretà umana che anima l'indagine del Koshrow trapassato; ed è di matrice joyciana (The Dead, celebre chiusa di Gente di Dublino), invece, il tema dell'amore giovanile della moglie, del rimpianto per aver preso una strada anziché l'altra, con cui Koshrow si vede costretto a fare i conti. Pur lasciando l'impressione di una confusione spesso inutile, e rinunciando quasi del tutto alla denuncia delle contraddizioni e delle trappole della società iraniana, The Last Step si inserisce nel solco tracciato da una filmografia di eccezionale vitalità, consacrando tra l'altro il talento della protagonista del film premio Oscar nel 2012 Una separazione, Leila Hatami. Enigmatica e intensa, la Hatami riluce di una bellezza che ricorda la giovane Isabella Rossellini e ci fa rimpiangere che il suo tempo in camera non sia almeno pari a quello di Mosaffa, suo marito anche nella vita. Il quale, per altro, se la cava più che bene, donando a Koshrow una range di emozioni ed espressività davvero inatteso, dallo struggimento alla rabbia, dalla rassegnazione all'ironia.
Movieplayer.it
3.0/5