Un amore incrollabile
Figlia di dell'indimenticato leader politico birmano autore del negoziato l'indipendenza dal Regno Unito e poi ucciso nel 1947 da alcuni avversari, Aung San Suu Kyi ha seguito nella vita anche l'esempio della madre, che divenne dopo la morte del marito una delle figure politiche di maggior rilievo in Birmania. Dopo aver conseguito ad Oxford la prestigiosa laurea in Filosofia, Scienze Politiche ed Economia, si trasferisce a New York e comincia a lavorare per le Nazioni Unite, ed è proprio in quel periodo che incontra l'uomo della sua vita, Michael Aris, uno studioso di cultura tibetana che l'anno successivo diventa suo marito nonché padre dei suoi due figli Alexander e Kim. Torna in Birmania nel 1988 per accudire la madre gravemente malata, e proprio in quegli anni il sanguinario generale Saw Maung prese il potere e instaurò il regime militare che tuttora la fa da padrone nel Paese. Spinta dagli insegnamenti di Gandhi, Aung San Suu Kyi decise di intraprendere una battaglia in nome della libertà del suo popolo dalla repressione, una lotta non violenta perpetrata attraverso le parole, i sacrifici e le tante dimostrazioni di forza che hanno fatto il giro del mondo trasformandola nell'emblema dell'emancipazione dello spirito umano.
Fondatrice nel 1988 della Lega Nazionale per la Democrazia, la donna venne costretta agli arresti domiciliari già dall'anno successivo e messa in condizioni di tornare libera a patto di lasciare la Birmania. Lei ovviamente rifiutò per essere poi eletta con risultato schiacciante dal suo popolo nel 1990, chiamato al voto dallo stesso regime militare che poi decise di invalidare tutto e di riprendersi la guida del Paese con la forza. L'anno successivo Aung San Suu Kyi vinse il premio Nobel per la Pace, premio che non poté ritirare per via del suo stato di detenzione. Passano i giorni e gli anni, anni di isolamento forzato, anni di silenzi, di sofferenza e di lotta, di separazioni dalla sua famiglia, di ricatti beceri e di repressioni che la donna ha saputo superare grazie all'amore del suo uomo, che ha sempre agito nell'ombra dall'Inghilterra per smuovere le acque e di scalfire, giorno per giorno, anno dopo anno, l'indifferenza del mondo per quel che accadeva nella lontana Birmania. Sulle note della splendida Walk on degli U2, canzone che Bono (come hanno fatto anche i R.E.M. e i Coldplay) ha scritto e dedicato ad Aung San Suu Kyi, Luc Besson, il regista fanta-action più hollywoodiano e innovativo di Francia abbandona il suo passato professionale per dedicarsi appieno al racconto di una storia di grande contemporaneità, di straordinaria potenza e universalità. Un biopic, The Lady, di stampo prettamente classico e scevro da ogni esercizio stilistico, capace di svolgere in maniera egregia la sua funzione divulgativa senza lasciare da parte i sentimenti, messi al centro del racconto, né tanto meno i risvolti politici e diplomatici dell'intero operato di Aung San Suu Kyi, una donna che con le sue rinunce e le sue autoprivazioni di protesta, ha mostrato al mondo che esiste un altro modo per portare avanti le proprie battaglie in nome della libertà. A vestire i suoi panni una meravigliosa Michelle Yeoh, capace con un'interpretazione magistrale di raffigurare la grazia, il composto dolore e la testardaggine di una donna che non ha potuto crescere i suoi figli e li ha visti diventare uomini senza poter mai star loro vicino. Una donna innamorata della vita e del marito, figura centrale della sua vicenda, che ha saputo donarle un amore incrollabile e incondizionato. Morto di cancro nel giorno del suo cinquantatreesimo compleanno nel 1999, Michael Aris non ha potuto mai rivedere la moglie durante la sua malattia, proprio per evitare di farla uscire dai confini del Paese e di mandare così all'aria una vita di battaglie.
Il caso di Aung San Suu Kyi è divenuto negli anni di dominio internazionale, tanto che gli Stati Uniti d'America e l'Unione Europea hanno fatto grosse pressioni sul governo militare birmano per la sua liberazione, arrivata in via definitiva solo il 13 novembre 2010 proprio durante le riprese del film che racconta la sua vita. Una liberazione solo di facciata visto che non ha più un ruolo politico e che il suo partito è stato sciolto per impedirle di esercitare il suo ruolo di Primo Ministro. Una vita, già di per sé avvicinabile a un film, che Luc Besson ha condensato sul grande schermo in The Lady regalandoci un toccante ritratto 'umano' della donna che da sola sta tentando di cambiare il mondo. Una lotta senza paura la sua che non poteva non trasformarsi in un'opera cinematografica destinata a far discutere e a toccare il cuore. Tanta la commozione di fronte alle immagini, tanta la rabbia dello spettatore di fronte alle incredibili vicende che l'hanno coinvolta, tanta la rabbia davanti a scene di ordinaria violenza, fisica ma soprattutto psicologica, che non hanno alcuna ragione d'essere.
Tutti conoscono la sua storia, la sua lotta per i diritti umani, il suo sorriso e il suo sguardo di speranza. L'hanno definita il Mandela al femminile: la Stella della Birmania, l'orchidea d'acciaio e le sue gesta hanno fatto il giro del mondo ma ora, grazie al ritratto cinematografico di Luc Besson, Aung San Suu Kyi resterà per sempre anche nella storia del cinema contemporaneo oltre che la donna simbolo della ribellione pacifica e della continua lotta verso la libertà.
Movieplayer.it
3.0/5