Recensione The Green Inferno (2013)

A sei anni di distanza da Hostel II, Eli Roth torna a dirigere un horror crudo e violentissimo, e lo fa omaggiando i grandi cult del nostro cinema dell'orrore che negli anni '70 e '80 facevano scalpore.

Tutti i battiti del gore

New York. Oggi. Un gruppo di studenti universitari sta facendo dei sit-in di protesta all'interno del campus per protestare contro la mancata concessione dell'assicurazione ai custodi e per protestare contro il disboscamento della Foresta Amazzonica in favore dell'arricchimento delle società energetiche che hanno azionato i loro bulldozer incuranti del fatto che tribù antichissime potrebbero in questo modo scomparire per sempre dalla faccia della Terra. Mossi dallo slogan "non pensare, agisci!" e dalla voglia di fare qualcosa di veramente importante per fermare la deforestazione, i ragazzi decidono di partire e di organizzare in loco un'azione dimostrativa di quelle che non si dimenticano. Il loro scopo è quello di attirare l'attenzione dei media incatenandosi agli alberi della foresta amazzonica e sfidando le milizie private unicamente postando i filmati delle rappresaglie su tutti i social network. Non hanno però fatto i conti con gli imprevisti perché un incidente aereo li porterà a contatto proprio con le tribù che sono andati a difendere. Tribù che non sanno distinguere tra amici e nemici e che, nel dubbio, cattureranno i sopravvissuti al disastro per poi mangiarseli vivi.

A sei anni di distanza da Hostel: Part II, Eli Roth torna a dirigere un horror crudo e violentissimo, e lo fa omaggiando i grandi cult del nostro cinema dell'orrore che negli anni '70 e '80 facevano scalpore. Ci riferiamo naturalmente al filone cannibalesco e a film scandalo come Mangiati vivi, Cannibal Ferox ma soprattutto Cannibal Holocaust cui dichiaratamente questo The Green Inferno è ispirato. Ma c'è dell'altro, perché Roth con questo film non si limita a raccontare l'agghiacciante avventura di un gruppetto di attivisti rimasti intrappolati in un villaggio di cannibali, ma si addentra nell'analisi sociologica del fenomeno dell'attivismo, quello che lui ama definire slacktivism letteralmente 'l'attivismo dei fannulloni'. Limitata ad azioni che fanno sentire impegnati ma che in realtà non apportano alcun contributo concreto alla causa, la cosiddetta militanza da poltrona ha fornito al regista la chiave giusta per attualizzare una storia che rischiava di rimanere fine a se stessa ed incentrata sul lato meramente splatter e orrorifico della vicenda. Proprio mentre scriveva la sceneggiatura, il regista di Hostel s'imbattè infatti nel fenomeno Kony 2012, il video più virale della storia del web, che nel marzo dello scorso anno venne diffuso dall'ONG Invisible Children con lo scopo di catturare e poi processare il celebre criminale di guerra ugandese Joseph Kony. Le polemiche che ne seguirono furono molte per via di movimenti di denaro poco chiari riguardanti i conti dell'organizzazione promotrice dell'iniziativa nonostante il successo riscosso dal video e dalla campagna di sensibilizzazione.
La sequenza d'apertura in pianosequenza è di una bellezza sconcertante, la scena dell'incidente aereo è realizzata con un montaggio ed una spettacolarità inimmaginabili, ansiogene le musiche martellanti che sfruttano molto le percussioni per creare il climax, molto convincente la messa in scena del villaggio dei nativi cannibali mentre è pressoché totale l'inattendibilità antropologica dei 'metodi' utilizzati dagli indigeni, visti da Roth come esperti nella conservazione sotto sale e nell'affumicatura di carne umana.
Sanguinolento, violento, molto particolareggiato nei dettagli macabri delle torture, The Green Inferno non regala mai gore a buon mercato fine a sé stesso: nel film convivono tante anime del regista, tra cui quella marcatamente documentaristica che lo ha spinto fino in Perù per girare il film e ad una vera e propria adorazione per la filmografia di Werner Herzog, più volte citato da Roth tra gli autori che maggiormente hanno ispirato questo suo ultimo pauroso viaggio alla scoperta dei lati più oscuri dell'animo umano. Unico neo, che non permette allo spettatore di solidarizzare mai con i protagonisti, la recitazione del cast americano, da teen-movie di serie B, che impallidisce al confronto con gli impressionanti e realistici cannibali dell'Amazzonia peruviana. Ma quando tutto sembra scadere nella solita banalità ideologica americaneggiante del "i buoni e i cattivi sono sempre d'accordo" o del "chi vuoi che le abbia buttate giù le Torri Gemelle l'11 settembre?" o ancora "facciamo parte di un sistema troppo più grande di noi" ecco che arriva il colpo di scena finale a dare un nuovo significato alla storia e a regalare un importante spunto di riflessione e di approfondimento ideologico. Un intrattenimento di buon livello ma non entusiasmante quello offerto da The Green Inferno, dedicato ai fan del genere, agli stomaci forti e agli amanti dei remake americani non troppo fedeli agli originali. Una curiosità: nei titoli di coda al fianco del nome ogni attore ha affiancato il proprio nickname di Twitter.

Movieplayer.it

3.0/5