Nata nel 1911 in Manciuria, il giorno della "Festa delle barche drago" (il primo giugno) col nome di Zhang Naiying, Xiao Hong diventerà in seguito, giovanissima, una delle più importanti scrittrici cinesi del Novecento. Figlia di una famiglia di proprietari terrieri, non conosce quasi per nulla la madre, suicidatasi a seguito delle angherie del tirannico marito, e stabilisce un buon rapporto solo col nonno materno. Promessa sposa in un matrimonio combinato, scappa a 20 anni a Pechino a seguito di un amore clandestino col cugino Lu Zheshun, che in seguito l'abbandona su pressioni della famiglia; è l'inizio, per la giovane, di una lunga serie di peregrinazioni per il paese, durante le quali inizierà a scrivere racconti e poesie.
La svolta sarà, nel 1932, l'incontro con lo scrittore Xiao Jun, in contatto coi salotti letterari e gli ambienti progressisti, in un paese che stava attraversando un conflitto interno tra le diverse fazioni dell'ala repubblicana; con lo scrittore, la giovane inizierà una lunga e tormentata relazione, caratterizzata da affetto e competizione, mentre anche lei inizierà a salire alla ribalta sulla scena letteraria del paese. Ma le ambizioni imperialistiche del Giappone, culminate in una guerra su vasta scala, renderanno ardua la vita dei due, e di tutti gli intellettuali politicamente schierati; fino alla fine della loro relazione, al matrimonio di Xiao Hong con lo scrittore Duanmu Hongliang, e all'inizio di deterioramento delle sue condizioni di salute, con la tubercolosi che la porterà infine alla morte, nella Hong Kong occupata dai giapponesi, nel 1942.
Un'autrice tra due mondi
Tre anni dopo A Simple Life, Ann Hui torna alla regia con un'opera dal respiro, e dalle ambizioni, completamente diverse. A partire dalla durata (178 minuti) The Golden Era vuole essere infatti ritratto biografico di una personalità complessa della letteratura cinese, dai contorni in parte oscuri, con una vita avventurosa quanto segnata da episodi controversi; ma il film della Hui ambisce anche ad essere racconto di un'epoca in cui, tramontato un modello sociale e politico, il paese entrava in una lunga e sanguinosa stagione di conflitti, interni ed esterni, che sarebbero culminati solo, nel secondo dopoguerra, con l'ascesa al potere di Mao e la fondazione della Repubblica Popolare Cinese. Un cambio di dimensione abbastanza netto, sia a livello produttivo che narrativo, per una regista che fu tra i nomi di punta della New Wave di Hong Kong degli anni '80; all'afflato neorealista delle ultime opere, caratterizzate da basso budget e da storie semplici, messe in scena con stile quasi documentaristico, subentra un racconto epico, l'epopea di un popolo e di un paese vista attraverso gli occhi di una delle sue personalità più affascinanti. In più, al cinema della Hui viene recuperata la dimensione politica che aveva caratterizzato i suoi primi lavori (pur passata sotto il filtro dell'inevitabile controllo governativo) e soprattutto quella dell'irruzione del politico nel privato, nella vita di relazione e negli affetti, in un periodo in cui tutti i cittadini (e gli intellettuali in primis) erano chiamati a mobilitarsi e a scegliere da che parte stare.
Frammenti di realtà
Malgrado i tratti del progetto, e il forte condizionamento dei capitali governativi, The Golden Era è tutt'altro che un'opera retorica o celebrativa. La Hui, addirittura, apre il film facendo una scelta coraggiosa e anticonvenzionale, quasi una sfida alla censura che, fino a pochi anni fa, impediva di mettere in scena storie con elementi sovrannaturali: fa parlare, in un'onirica intervista in bianco e nero, il fantasma della stessa scrittrice (interpretata da Tang Wei) che, dopo aver rivelato di essere morta a 31 anni, inizia a narrare in flashback la storia della sua vita. Al racconto fantasticamente autobiografico della scrittrice si alternano, quasi in un mockumentary che non nasconde mai la sua natura ricostruita, altre "interviste" ai personaggi che hanno conosciuto la scrittrice; unite a frammenti di diegesi inaspettatamente spezzati dallo sguardo in macchina, e dall'interpellazione diretta allo spettatore. Questi elementi di contaminazione, attraverso i quali la regista introduce (nei limiti del possibile) frammenti di cinema verità in un period drama, rappresentano uno degli elementi più interessanti del suo film.
Dal personale al collettivo
Per tutta la prima parte del film (quella delle peregrinazioni della giovane protagonista attraverso il paese, e dell'inizio della sua relazione con Xiao Jun) la regista non rinuncia al suo occhio attento per il quotidiano, per il realismo più rigoroso, per la ricostruzione minuziosa di storie pulsanti vita vissuta: dallo squallido albergo di Harbin dalla quale la protagonista fugge in seguito a un alluvione, alla vita povera della coppia tra sobborghi malfamati, cibo razionato, stanzette sede di riunioni clandestine coi membri del giornale di Xiao Jun; fino al trasferimento dei due a Shangai e all'incontro con lo scrittore Lu Xun, periodo culminato nel progressivo allontanamento della coppia.
Quando tuttavia, in seguito, il dramma collettivo irrompe nel personale, e l'obiettivo della regista si allarga, il tutto sembra farsi più convenzionale; nella moltiplicazione dei personaggi, e delle vicende, la sceneggiatura perde di vista il particolare, ma soprattutto finisce per allontanare lo spettatore dal dramma della protagonista, faticando a restituirci il tormento (mentale prima che fisico) che lentamente la consuma. A suo agio con la dimensione del quotidiano, capace come sempre di estrarre la poesia dai rituali dell'esistenza di tutti i giorni, di ieri come di oggi, la Hui non sembra essere altrettanto efficace quando descrive vicende a più ampio raggio. Solo nel finale, il lirismo torna ad affacciarsi, (pre)potente, quando la dimensione quasi fantastica da cui il film era partito, col ritorno al luogo di nascita della scrittrice, arriva a chiudere un simbolico cerchio.
Conclusioni
Film di chiusura della settantunesima edizione della Mostra del Cinema di Venezia, The Golden Era è un'opera dall'indiscusso fascino e dalle grandi ambizioni; animata, per larga parte della sua durata, dallo sguardo lirico e insieme rigoroso di una cineasta tra i più importanti degli ultimi decenni. In questo caso, tuttavia, manca in parte l'equilibrio e la limpidezza che hanno caratterizzato molte altre sue opere. Resta, comunque, un'opera importante, e un'occasione di riflessione su una personalità sconosciuta ai più, oltre che su un periodo fondamentale della storia contemporanea.
Movieplayer.it
3.0/5