In concorso a Cannes 67., questo nuovo film del versatile Atom Egoyan abbraccia in buona parte gli stilemi del thriller classico, che il regista canadese interpreta con la maestria che gli conosciamo: purtroppo alla base del tutto c'è una sceneggiatura confusa, lacunosa e a tratti persino irritante.
Il tempismo fa la sua parte
Sembrano trascurabili, le analogie tra il plot di The Captive e quelle del recente, violento, moralmente spiazzante, e ottimo thriller di Denis Villeneuve Prisoners. Anche qui c'è una bambina che scompare nel nulla, un padre dal profilo ambiguo che cerca di ritrovarla da sé, una madre spezzata, e un paio di poliziotti con i loro demoni personali. Le analogie sono trascurabili invero, eppure sufficienti a mettere il film di Egoyan in una luce molto poco lusinghiera visti i difetti su cui è impossibile soprassedere. In pratica The Captive è il fratello più pulito, più educato e più nerd di Prisoners. Ma anche, di gran lunga, il meno brillante.
Scomparsa nel nulla
La sceneggiatura, firmata dallo stesso Egoyan, imbastisce la storia su diversi piani temporali che si intersecano e si sovrappongono, introducendo i personaggi e le loro relazioni in maniera nemmeno troppo scontata. Sono passati otto anni dal rapimento della piccola Cassandra, svanita dall'auto del padre che l'aveva lasciata cinque minuti per prendere la cena in un diner. Lui non si dà pace, sua moglie lo ritiene responsabile, e l'ispettrice Nicole Dunlop, esperta di casi riguardanti i minori che si è occupata dell'indagine a lungo, si è volatilizzata dopo un evento in suo onore. Scopriamo quasi subito, tuttavia, che Cassandra è viva, è tenuta prigioniera non lontano da dove vivono i genitori e ogni giorno spia sua madre mentre questa lavora come addetta alla pulizie in un lussuoso hotel. A occuparsi di lei c'è un losco individuo con una vera fissazione per Il flauto magico e soprattutto per l'aria Der Hölle Rache, sì, quella con i famosissimi gorgheggi di coloratura.
Un castello di carta
A questo punto dovrebbe essere già chiaro il difetto principale dello script di The Captive: è inutilmente complesso, involuto, e la sua tortuosità rivela una preoccupante mancanza di sostanza per cui gran parte del background dell'azione principale resta fasullo e grottesco, soprattutto ciò che riguarda l'organizzazione criminale che ha rapito Cassandra; ma anche la storyline riguardante la bella poliziotta e il suo collega, costruita per strambe ellissi, non convince minimamente; l'indagine chiama in causa una miriade di elementi che non sviluppa, e l'unico nucleo narrativo che sembra avere un po' di vitalità è quello strettamente legato alla famiglia al centro della vicenda, con un Ryan Reynolds goffo ma amabile e la solita fragile, deliziosa Mireille Enos.
Come un guilty pleasure
Nonostante tutto questo, il film si lascia guardare perché diretto con mano energica e sguardo sapiente, e per il fascino personale degli interpreti, soprattutto le signore, la già citata Enos, la giovane e incantevole Alexia Fast, e anche, sebbene intrappolata in un ruolo imbarazzante, Rosario Dawson. Considerato che il mistero è presto risolto, i "cattivi" non siano in grado di produrre il minimo senso di minaccia, e in generale la tensione si faccia desiderare, è già un risultato che The Captive non abbia un effetto completamente narcotico. Una pagina da dimenticare, e anche in fretta, per Egoyan e per la competizione rivierasca.
Conclusione
Un ottimo cast per lo più sprecato e una regia energica e interessante salvano questo piccolo disastro di sceneggiatura dal completo e irrimediabile naufragio.
Movieplayer.it
1.5/5