Recensione The Blue Room (2014)

Seconda volta dietro la macchina da presa per Mathieu Amalric, il talentuoso interprete francese che questa volta decide di misurarsi con il polar adattando un celebre romanzo del maestro del genere Georges Simenon.

Per undici mesi Julian e Esther si sono incontrati clandestinamente in una camera d'albergo, nascosti dagli occhi indiscreti dei curiosi e dai sospetti dei rispettivi coniugi. Erano stati compagni di classe tanti anni prima, ma la passione è scoppiata soltanto da adulti, quando Julien ha fatto ritorno, ormai sposato, al paese natio e lei, farmacista e moglie di uno degli uomini più ricchi e conosciuti del luogo, ha fatto sfrontatamente la prima mossa. Esther d'altronde sembra davvero non riuscire a controllare il suo amore, la "sua" fame di Julien, e così lo morde, quasi a volerlo marchiare e costringerlo a mentire alla propria moglie, lo cerca con insistenza, quasi incurante dei pettegolezzi di un intero paese, lo incalza con domande sul loro futuro da passare insieme, per sempre.

L'affaire diventa quasi di dominio pubblico quando il ricco marito di lei muore, in circostanze nemmeno troppo misteriose a dire il vero, ma a volte bastano proprio le indiscrezioni di pochi ad insinuare il dubbio ed attirare l'attenzione della polizia ed è così che Julien, più pavido che innamorato, decide di non frequentare più la sua amante, la quale però non manca di farsi sentire con lettere e messaggi. Quanto si saranno spinti avanti i due amanti per proteggere il loro amore e la loro vita? E' quello che si chiede il magistrato che interroga con minuzia di dettagli uno Julien sconvolto e che cerca di ricostruire, proprio come noi spettatori, quanto accaduto nella vita dei due "amanti sfrenati".

Tradimento di coppia

Tratto dal romanzo omonimo del 1964, La camera azzurra di Georges Simenon, il film di Mathieu Amalric è innanzitutto un'analisi delle conseguenze della passione, del tradimento, e di come essa si possa ripercuotere non solo sui diretti interessati ma anche sulle persone a loro vicine. Non è quindi un caso che The Blue Room sia stato scritto a quattro mani da Amalric stesso e la sua interprete principale, la quasi esordiente Stéphanie Cléau, un uomo e una donna, così come non è un caso che il film prenda il via proprio con i due amanti unici protagonisti, due corpi nudi rinchiusi in quella che (almeno apparentemente) sembrerebbe essere la stanza del titolo.

Presunto colpevole

La chambre bleue: Mathieu Amalric, regista e protagonista del film, in una scena
La chambre bleue: Mathieu Amalric, regista e protagonista del film, in una scena

Una scelta interessante però è quella di raccontare quanto avvenuto da un punto di vista mai oggettivo, ma esclusivamente attraverso quello che Julian dice al magistrato e agli agenti, spesso in modo contraddittorio, e quello che a lui stesso viene suggerito attraverso questi interrogatori. Ricordi, sensazioni e suggestioni si mescolano così a pensieri e sguardi estemporanei del protagonista, e creano un racconto non lineare ma di grande atmosfera e una tensione basata più sulla curiosità di scoprire cosa è realmente successo piuttosto che l'identità del colpevole.
Anche perché, ed è chiaro dall'inizio, che Julian sia colpevole non ci sono dubbi: per quanto infatti possa rimanere ambigua anche nel finale la natura e l'entità della sue colpe, fin dal momento in cui ha una sorta di epifania e si capacita finalmente della gravità del suo tradimento - nei confronti della moglie, della famiglia e anche di Esther, il cui amore non è realmente in grado di ricambiare - Julian non fa altro che scappare, dalle responsabilità e dal confronto, perfino dall'ammettere che la passione ha preso il sopravvento.

Nascosto nei dettagli

Che sia davanti o dietro la macchina da presa, Amalric non si risparmia, e oltre ad offrire un'ottima prova di attore, così come tutto il resto del cast, dimostra grande maturità registica nel gestire una pellicola che, nonostante i 75 minuti di durata, è di grande densità ed intensità. Funziona anche la scelta di girare in 4:3, non solo come omaggio al cinema a cui evidente fa riferimento (le stesse pellicole simenoniane dirette da Jean Renoir), ma anche per veicolare ancora meglio l'atmosfera opprimente che avvolge il protagonista ed evidenziare (con l'aiuto del bravo direttore della fotografia Christophe Beaucarne) il suo sguardo spaventato ma attento ai piccoli, (forse) insignificanti, dettagli. Da segnalare poi anche l'ottima scelta di montaggio che valorizza il film con i tanti salti temporali e riesce a sottolinearne anche la provenienza letteraria e descrittiva.

La chambre bleue: Léa Drucker e Mathieu Amalric in una scena
La chambre bleue: Léa Drucker e Mathieu Amalric in una scena

Conclusione

La seconda opera da regista non è mai semplice, ma Amalric puntando in alto ha dimostrato di avere coraggio da vendere, ed è un coraggio che è stato certamente premiato. Il film funziona in tutti i suoi aspetti, mantiene la tensione molto alta pur concentrandosi più sull'introspezione psicologica che sulla risoluzione del "mistero", e chiude in modo soddisfacente senza per questo perdere nulla dell'ambiguità e del fascino del soggetto di origine.

Movieplayer.it

4.0/5