"Sineddoche: procedimento linguistico espressivo che consiste nel trasferimento di significato da una parola a un'altra in base a una relazione di contiguità intesa come maggiore o minore estensione". La parte per il tutto: uno slittamento del senso che corrisponde al tentativo di racchiudere, entro una sezione ben delimitata, una realtà impossibile da abbracciare, catturare, comprendere nella sua interezza.
In tale prospettiva, quale migliore esempio di sineddoche della rielaborazione artistica? La sineddoche, tuttavia, non è la sola figura retorica di un film in cui il gioco linguistico, la negazione di un significato univoco costituiscono una delle essenziali chiavi di lettura: a partire dall'ambiguità fonetica del titolo, Synecdoche, New York, in cui il termine "synecdoche" è sostituito a Schenectady, nome di una contea dello Stato di New York.
Il delirio di negazione
Synecdoche, New York, del resto, è un film basato sul tema dello sdoppiamento e della moltiplicazione, tanto sul piano narrativo quanto sul piano semantico. I nomi stessi dei personaggi (vale a dire il loro timbro identitario) sono innanzitutto significanti che rimandano ad una pluralità di significati: come il nome del personaggio principale, Caden Cotard, interpretato da un magnifico Philip Seymour Hoffman, che rimanda alla sindrome di Cotard (ma è solo uno degli innumerevoli riferimenti inseriti dal regista e sceneggiatore Charlie Kaufman, come una serie di indizi da raccogliere), definita anche "delirio di negazione", in quanto chi ne è affetto ha l'illusoria convinzione di essere morto. La negazione dell'esistenza, dunque, alla quale il protagonista, disperatamente ipocondriaco e tormentato dai più bizzarri sintomi, replica attraverso gli strumenti dell'arte, che Aristotele assimilava alla mimesi. Il teatro - Cotard è un affermato regista di Broadway, reduce dai consensi riscossi grazie ad un innovativo allestimento di Morte di un commesso viaggiatore di Arthur Miller - diventa quindi il veicolo (forse il solo possibile) per tentare di riprendere possesso di una realtà che sta andando in pezzi, fra dolorose separazioni familiari - la rottura con la moglie Adele (Catherine Keener) e l'allontanamento dalla figlia Olive (Sadie Goldstein) - e malattie del fisico.
Personaggi in cerca d'autore
Lo sfaldamento dei legami familiari e delle relazioni affettive, infatti, nel corso del film si accompagna inesorabilmente ai malanni che colpiscono lo sventurato Cotard, il quale rimbalza da uno specialista all'altro, come in un assurdo cul-de-sac dai toni kafkiani che riflette a livello somatico l'ineluttabile crisi interiore del personaggio. Mentre il mondo di Caden frana sotto il peso delle nevrosi e dei rapporti falliti, l'uomo affitta un gigantesco teatro di posa, nel cuore di Manhattan, nel quale potrà realizzare il suo magnum opus: la storia della propria vita, messa in scena sulla cornice di questo microcosmo artificiale - le scenografie di un teatro - in cui veri attori sono chiamati ad interpretare lo stesso Cotard e le donne alle quali è oppure è stato legato. Il confronto con la figura femminile, simbolo dell'alterità (in primo luogo sessuale) rispetto all'io di Cotard, risulta non a caso il preponderante elemento di conflitto per il protagonista: dall'ex moglie, Adele Lack (altro cognome emblematico), e dalla figlia Olive, che l'uomo rintraccerà adulta (Robin Weigert) a Berlino, e più tardi ancora morente in un letto d'ospedale, carica di rancori verso il padre; per poi arrivare alle successive compagne, la giovane attrice Claire Keen (Michelle Williams) e l'amorevole Hazel (Samantha Morton), impiegata al botteghino del teatro. Esse, a loro volta, diventeranno personaggi dell'opera-mondo di Cotard, con l'attrice Tammy (Emily Watson) a vestire i panni di Hazel e Sammy Barnathan (Tom Noonan) calato in quelli di Caden ormai anziano.
La realtà come mise en abîme
La frammentazione della realtà, oggetto di un ossessivo processo di decostruzione, passa pertanto per una corrispondente frantumazione dell'identità individuale, sulla quale agisce quell'effetto moltiplicante di cui si parlava in precedenza. Allo spettacolo della vita di Cotard si aggiunge un ulteriore livello di rappresentazione, con nuovi attori chiamati ad immedesimarsi negli attori del dramma, in un proliferare di doppelgänger e di simulacri a ritmo parossistico; al punto che perfino Cotard, il quale ha in Sammy il proprio "doppio", si ritroverà a calarsi nel ruolo della cameriera Ellen Bascomb, già interpretata dall'attrice Millicent Weems (Dianne Wiest), impegnata in seguito a misurarsi nella parte di Cotard... La mise en abîme è elevata dunque a principio generatore dell'intreccio narrativo, nonché ad espediente apotropaico contro l'incombere della morte sottoforma di decadimento fisico e di un inarrestabile invecchiamento. Tutto il film, d'altronde, è costellato da presagi mortiferi: addirittura nell'incipit, in cui l'esile voce della piccola Olive, ad appena quattro anni, intona i macabri versi "And when I'm buried and I'm dead / Upstate worms will eat my head" ("Quando sarò sepolta e sarò morta / I vermi del nord mangeranno la mia testa"), o quando Cotard apre il giornale e pensa che Harold Pinter sia morto (invece ha vinto il premio Nobel). Tale "messa in abisso" conduce all'ingresso di un gigantesco labirinto narrativo, al contempo fascinoso e straniante nel suo esasperato solipsismo, tanto da rendere Synecdoche, New York uno dei più estremi e significativi esempi di postmodernismo cinematografico. Un labirinto in cui è inevitabile smarrirsi, e dal quale non esiste via d'uscita: se non la voce di un regista invisibile, che nell'ultima sequenza "impone" la morte con la perentoria semplicità di una qualsiasi indicazione scenica.
Conclusioni
Charlie Kaufman, sceneggiatore di film quali Essere John Malkovich, Il ladro di orchidee - Adaptation e Se mi lasci ti cancello, esordisce dietro la macchina da presa con un'opera che recupera il tema della frantumazione dell'identità e della sua rifrazione sul piano artistico: la crisi personale del regista tearale Caden Cotard, interpretato da Philip Seymour Hoffman, offre così lo spunto per un labirintico gioco di specchi in cui ricordi ed esperienze del protagonista sono rievocati sottoforma di doppelgänger e di simulacri, in un incessante slittamento fra realtà e finzione.
Movieplayer.it
3.5/5