Caput Urbi
Con i suoi 70 chilometri di lunghezza, il Grande Raccordo Anulare, l'anello che circonda Roma e con i suoi snodi ne unisce le zone, è l'autostrada urbana più estesa d'Italia, nonché una delle più trafficate. Per guidare sul GRA bisogna uscire prima da casa, quindi, e anche in quel caso non è detto che si riesca ad arrivare in tempo a lavoro o ad un qualsiasi appuntamento. Questo serpentone di asfalto che avvolge Roma nelle sue spire è uno dei protagonisti del documentario di Gianfranco Rosi, Sacro GRA, presentato in concorso alla 70.ma Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia. Il termine documentario, in realtà, potrebbe non essere del tutto calzante per definire questo interessantissimo lavoro, che partendo dal racconto delle vite di un gruppo di personaggi si distacca dal 'genere' per diventare vero e proprio cinema del reale. Dopo aver navigato assieme ad un pescatore del Gange in Boatman, l'esperienza in una comunità di senza tetto nel deserto californiano, argomento di Below sea level, vincitore di Orizzonti nel 2008, e aver raccolto le parole di un ex killer in El sicario-Room 164, Rosi perlustra oggi questo pezzo di mondo circoscritto da una strada.
Il GRA è un confine geografico che ha un valore inestimabile per i romani, ne definisce l'identità, arrivando quasi a isolarli; fuori dal Raccordo c'è il mondo, gli altri, dentro c'è Roma. Le immagini di Rosi, però, non hanno questa rigida certezza e arrivano alle stesse conclusioni in maniera del tutto morbida. Lo spunto del film si deve al progetto del paesaggista-urbanista Nicolò Bassetti, autore del soggetto, che nel 2008 inizia a esplorare a piedi i luoghi intorno al GRA, percorrendo 300 chilometri in venti giorni. Rosi si è addentrato per sei mesi in questo mondo a sé e nella massa indistinta dei milioni di persone che affollano la Città Eterna, ha scelto di puntare il suo obiettivo su un gruppo di protagonisti speciali. Rosi dà risalto ai loro silenzi, alla scrupolosità dei gesti che quotidianamente ripetono. L'esperto di anguille, ad esempio, contesta l'ignoranza dei giornalisti che poco sanno della riproduzione del pesce; il botanico lotta contro gli acari delle palme registrandone i movimenti e preparandogli un ultimo pasto letale; il discendente di una nobile e antica famiglia affitta la sua sfarzosa magione come set per i fotoromanzi (e come bed en breakfas); l'infermiere rassicura le vittime di un incidente e calma quelli che già vorrebbero tornare al lavoro, poi torna a casa e ripone con ordine le magliette, concedendosi addirittura un piatto di pasta col tonno; la prostituta balla e danza sul ciglio della strada e non comprende il perché dell'ultimo arresto per adescamento. Ci sono poi gli abitanti di un condominio, racchiusi nelle loro piccole case, che parlano di sé e degli altri guardando fuori dalla finestra e anche se il regista non ci offre mai il controcampo della loro visione, sappiamo che dall'altra parte la città c'è, fantasmatica e silenziosa. Questo film non racconta l'Urbe, i drammi sociali che si consumano ai margini della grande città, sebbene se ne intravedano i risultati, ma mette in luce le persone che la animano, con una narrazione piacevole e non fredda; e se qualcuna spicca sugli altri, come il professore universitario che divide pochi metri quadrati con la figlia e non perde l'eleganza dell'eloquio nemmeno tagliando una melanzana ammuffita, non ci troviamo davanti ad una classifica. Gli "eroi" di Rosi non sono insetti osservati sotto la lente d'ingrandimento, ma esseri umani che hanno qualcosa da dire e in quanto tali hanno il diritto di rielaborare un po' la propria storia, anche di sembrare degli attori consumati in certi momenti. L'autenticità dell'opera non è certo messa in discussione da questo, perché il suo cuore, la reazione di questi uomini e donne alla presenza del regista, fa scaturire qualcosa di nuovo davanti ai nostri occhi.
Movieplayer.it
4.0/5