Recensione Red Lights (2012)

Dopo lo sperimentalismo di Buried, l'iberico Rodrigo Cortés realizza un thriller sul paranormale dall'impostazione più classica, che si poggia in particolare su un cast hollywoodiano di prim'ordine, senza però rinunciare del tutto al suo particolare approccio "teorico" nei confronti del genere.

Fenomeni paranormali (in)controllabili

"Non puoi fidarti sempre dei tuoi occhi": questa frase, pronunciata diverse volte nel corso del film, diviene il vero e proprio leitmotiv, nonché la principale chiave di lettura di Red Lights, thriller sul paranormale che segna il ritorno a una produzione americana del regista iberico Rodrigo Cortés, acclamato nel 2010 per il claustrofobico e angosciante Buried - Sepolto. Difficile eguagliare i vertici di sperimentalismo dell'opera precedente (tutta realizzata in piano-sequenza seguendo il punto di vista di un uomo intrappolato in una bara), vero e proprio esercizio di stile che innovava il panorama dell'horror contemporaneo prendendo in prestito i linguaggi dei nuovi media digitali. Con Red Lights il regista abbandona per forza di cose l'impostazione indie di Buried realizzando senza dubbio un prodotto dall'impianto più tradizionale, anche perché sostenuto da un cast hollywoodiano di prim'ordine che ha come nome di punta Robert De Niro. In questo caso l'autore decide di indagare un ambito di certo non nuovo come il mondo dei sensitivi, ma tenta comunque di affrontare la materia non perdendo lo sguardo originale che ha da sempre contraddistinto il suo approccio al genere.


Sotto certi aspetti, infatti, questo thriller dalla struttura ibrida, che mescola il dramma psicologico con una struttura investigativa e che alterna uno stile documentaristico con uno marcatamente di finzione, risulta un film non meno "teorico" del precedente. La sceneggiatura, firmata dallo stesso Cortés, presenta, a ben vedere, anche una riflessione di tipo meta-cinematografico, insistendo in particolare sul tema dell'inganno della visione, che sta alla base di quella magnifica illusione che chiamiamo cinema. Non è di certo un caso che in Red Lights la vista e gli occhi assumano un ruolo decisamente importante, per non dire risolutivo. Allo stesso modo, si insiste molto sul parallelismo tra la figura di sensitivo e quella di performer e showman: il celeberrimo medium Simon Silver incarnato alla perfezione da De Niro è descritto quasi come un grande divo del passato, tornato a calcare il palcoscenico dopo parecchi anni d'oblio, mandando di nuovo in visibilio il suo affezionato pubblico con spettacoli sempre più portentosi e strabilianti. Da questo punto di vista bisogna dire che la scelta di De Niro - interprete purtroppo ormai imprigionato nel suo stesso mito e apparentemente incapace di recitare senza richiamare continuamente sé stesso - è perfetta per questo tipo di ruolo larger than life. Azzeccato risulta anche il resto del cast, che nel suo complesso costituisce indiscutibilmente l'asso nella manica di Red Lights: dalla risoluta Sigourney Weaver nel ruolo della dottoressa Margaret Matheson, pervicacemente votata a smascherare le truffe nel campo del paranormale, al febbrile Cillian Murphy, che incarna il suo devoto assistente Tom; fino alla sempre più matura Elizabeth Olsen nella parte di una brillante studentessa cui Tom si affeziona.

Il punto debole della pellicola, invece, deriva dall'eccessiva ambizione che finisce per travolgere Cortés, incapace nella seconda parte del film di riuscire a gestire in maniera coerente e organica tutti i molteplici spunti introdotti inizialmente. E se Red Lights parte molto bene, approfondendo in maniera coinvolgente il vissuto personale della dottoressa Matheson, votatasi allo scetticismo perché colpita da una tragedia personale, successivamente - quando il suo personaggio cede il posto a quello di Tom e quando l'intreccio abbandona il dramma psicologico per divenire a tutti gli effetti un horror sovrannaturale - è come se il regista si perdesse per strada, incerto sul registro da seguire. I limiti più evidenti, tuttavia, si notano nell'arzigogolato finale, caratterizzato da colpi di scena e da cambi di prospettiva improvvisi (sulla falsariga di film come Il sesto senso o The Others) che finiscono solo col lasciare lo spettatore confuso e interdetto. Peccato, perché Rodrigo Cortés dimostra anche in questo caso di possedere delle notevoli doti da metteur en scène, che saranno sicuramente destinate ad affinarsi sempre di più con il proseguire della sua carriera artistica.