Recensione Petal Dance (2013)

Una storia di amicizia al femminile, intensa seppur raccontata con stile rarefatto, con sguardi, gesti, lunghi silenzi.

Rose nel vento

Nell'universo sospeso di Petal Dance gli uomini sono fantasmi che emergono dalla nebbia per poi scomparire poco dopo. Focus del poetico dramma diretto da Hiroshi Ishikawa sono le donne, i loro drammi e le loro preoccupazioni. Una storia di amicizia al femminile, intensa seppur raccontata con stile rarefatto, con sguardi, gesti, lunghi silenzi. La parola nei momenti chiave, quelli in cui occorrebbero le spiegazioni, diventa un fardello e lascia il posto a una vicinanza silente che a tratti fa quasi commuovere. I ritmi narrativi e lo stile con cui viene raccontato questo road movie al femminile in cui due amiche si mettono in viaggio verso nord per andare a trovare la compagna di studi che non vedono da sei anni, e che ha tentato il suicidio gettandosi in mare, sono tipicamente orientali. I tempi si dilatano e i cambi di scena sono scanditi dall'orologio interiore delle protagoniste e del loro creatore.

Tra un nuovo amore che sta sbocciando e un matrimonio finito (ma ne siamo certi?), Jinko (Aoi Miyazaki) e Motoko (Sakura Ando) decidono di farsi prestare la macchina dall'ex marito di quest'ultima per recarsi verso nord e far visita a Miki (Kazue Fukiishi), ricoverata in ospedale in seguito a un tentativo di suicidio. A loro si aggiunge la semisconosciuta Haraki (Shiori Kutsuna), incontrata per un caso fortuito da Jinko alla fermata del treno, che si offre di fare da autista. Il viaggio aiuterà le giovani donne a scoprire qualcosa di sé stesse e delle amiche e le porterà a concludere il percorso, tutte insieme, sulla riva di un mare gelido e liberatore.
Tra le quattro interpreti chiamate da Hiroshi Ishikawa a interagire attraverso l'improvvisazione, Aoi Miyazaki, forte della sua lunga esperienza davanti alla macchina da presa, è la più spigliata e vivace, ma il personaggio più intrigante è quello della misteriosa Haraki la cui abitudine di esprimere un desiderio a fior di labbra ogni volta che vede passare in cielo un aereo o un volatile si trasforma nel leit motiv del film. E' a lei che sono dedicati gli unici flashback utilizzati dal regista per svelare l'oggetto dei desideri da lei espressi senza esplicitare troppo. Questa estrema reticenza che caratterizza la natura del film ne rappresenta, al tempo stesso, il fascino e il limite. Lo spettatore occidentale avido di risposte potrebbe restare frustrato dall'eccessiva libertà lasciata dall'autore il quale preferisce che a colmare i vuoti siano i ricettori della sua opera. Il tutto per non intaccare l'impalpabile poesia del non detto che si instaura tra le quattro donne.

Movieplayer.it

3.0/5