Per amore del mio popolo: Alessandro Preziosi diventa Don Diana
Non amava le etichette e non sopportava essere chiamato "prete anticamorra": Don Beppe era un sacerdote che prendeva alla lettera la vocazione e si sacrificava senza pensarci due volte. A 20 anni dal suo omicidio di stampo mafioso, la fiction lo ricorda con una miniserie in due puntate, Per amore del mio popolo, prodotta da Aurora Film e in onda il 18 e il 19 marzo su Rai Uno. Diretta da Antonio Frazzi, porta su piccolo schermo la quotidianità di un piccolo centro campano, Casal di Principe, dove due clan si contendono la supremazia del territorio perpetuando delitti e perseguendo facili guadagni.
A dare il volto a Don Beppe ci pensa Alessandro Preziosi, che ne mette in scena una rappresentazione intensa ma mai sopra le righe. Sfuggendo al tranello della facile retorica, la fiction racconta con semplicità il trascorrere dei giorni in una parrocchia difficile in un territorio abituato a guardare altrove quando la violenza irrompeva nel quotidiano.
Don Beppe no, non si girava dall'altra parte e a una cattedra a Roma ha preferito una parrocchia minuscola in un luogo che sembrava dimenticato persino dalle istituzioni. Nello stesso periodo un altro sacerdote, Padre Pino Puglisi, ha perso la vita in Sicilia per mano di Cosa Nostra.
Il sacerdote è abituato alle tombe di ragazzi uccisi nello scontro tra bande, alle estreme unzioni a giovani assassinati nei boschi ("i moschilli del clan"), ma non si rassegna. "Ho scelto di restare con voi - dice ai fedeli nella prima puntata - di essere il vostro parroco. Voglio essere un esempio in una terra in cui l'illegalità la fa da padrona. Dobbiamo ridare forza e vita a questa terra tutti insieme perché da solo non ce la posso fare".
Se il suo messaggio risuona ancora con un'eco enorme, il merito va proprio ai frutti di questi insegnamenti, portati avanti persino contro il parere stesso dei genitori. Il padre lo voleva lontano da un posto dove "non ci sta futuro", per saperlo "al sicuro", forse immaginando l'enorme rischio a cui sarebbe andato incontro. Le sue parole
E proprio al funerale di uno dei suoi ragazzi don Beppe sembra piegato dalla violenza: "Dio, non voglio sapere se esisti, voglio sapere da che parte stai". Poi arriva la coraggiosa omelia del Natale del 1991, che sbatte in faccia la realtà alla popolazione chiamando la mafia con il suo nome: "La camorra oggi è una forma di terrorismo che incute paura con veri e propri laboratori di violenza del crimine organizzato". Basta farsi da parte: il ruolo della Chiesa, sostiene, non deve più essere neutrale perché gli anni di silenzio pesano. "Dio non sta con la camorra. Mai" e nemmeno lui, che non si piega davanti a nessuna minaccia e anzi riesce ad annusare "l'aria bellissima della speranza" laddove le stesse forze dell'ordine sentono solo vento di tragedia. Pennellate oneste
Questa fiction avrebbe potuto raccontare la mafia con il solito, fastidioso voice over, che insegna al pubblico cosa pensare e come pensare e sottolinea ogni passaggio drammatico con esasperata ridondanza. Avrebbe potuto ricorrere a flashback strappalacrime e indugiare sullo strazio delle vittime. Avrebbe potuto dipingere un eroe senza macchia e senza paura con un ritratto impeccabile. Avrebbe potuto celebrarne la scomparsa a colpi di buonismo facendo leva sui facili sentimentalismi.
Invece si limita a seguire in silenzio le giornate come tante di Don Beppe, dove non accadeva nulla di sensazionale e clamoroso, anzi la maggior parte delle volte erano piene di tentativi e di prove. Nell'ordinaria vita parrocchiale dava l'esempio ai fedeli e spronava gli altri parroci del paese: ci metteva la faccia. E così appare in TV, nella sua spiazzante semplicità. Ricetta vincente
Una sapiente regia dirige, con un tocco presente ma spesso invisibile, un prodotto d'indiscussa qualità tecnica, oltre che artistica. Dalla colonna sonora equilibrata alla fotografa garbata emergono personaggi a tutto tondo capaci di far arrabbiare, commuovere e riflettere dando un contributo significativo alla formazione di una coscienza civile soprattutto nelle nuove generazioni. L'insegnamento di Don Beppe ha innescato una serie di reazioni a catena che hanno risvegliato gli animi del territorio e questa miniserie coglie nel segno il suo messaggio, senza incorniciarlo in alcuna maniera.
Con un stile asciutto, diretto ed essenziale il racconto procede spedito senza buchi narrativi né inutili lungaggini: colpisce al cuore con effetto immediato.
L'intero cast ha dato prove attoriali di assoluto rispetto e Alessandro Preziosi ha saputo cogliere l'essenza del ruolo scomparendo dietro la sua grandezza.
Il 19 marzo 1994 la Camorra ha creduto di mettere in ginocchio la società campana, eppure oggi, a due decadi di distanza, quel grido di aiuto vive ancora in un'eco che la serialità made in Italy ha davvero amplificato con decoro e dignità.