Non è mai troppo tardi: Santamaria, maestro d'Italia
Un maestro come pochi, uno di quelli che l'Italia ha bisogno di ricordare, omaggiare e, possibilmente emulare: Alberto Manzi è stato un faro nell'istruzione italiana e, con metodi poco ortodossi ma decisamente efficaci, ha rivoluzionato i metodi di apprendimento fino ad arrivare alla trasmissione Rai Non è mai troppo tardi, titolo che dà il nome alla miniserie interpretata da Claudio Santamaria in due puntate (su Rai Uno il 24 e il 25 febbraio).
La fiction, realizzata da Bibi Film TV in occasione del sessantesimo compleanno della RAI dopo un lungo processo di preparazione, è diretta da Giacomo Campiotti che ne firma la sceneggiatura con Claudio Fava e Monica Zapelli. Nicole Grimaudo interpreta Ida, la moglie di Manzi, e un gruppo variegato di giovani attori dà il volto agli alunni, da quelli del riformatorio capitanati da Ricotta (Gennaro Mirto) e Felice (Lorenzo Guidi da bambino e Francesco Marchiodoro da adulto).
All'inizio della carriera Alberto Manzi ha solo 20 anni e tanti sogni, che s'infrangono sonoramente contro l'amara verità: senza raccomandazioni non ottiene una cattedra. Come "contentino", riceve la possibilità di insegnare nel carcere minorile di Roma Aristide Gabelli. I 90 ragazzi presenti sono abbandonati dalle istituzioni, che li considerano quasi vuoti a perdere, per cui non val la pena sprecare neppure un foglio e una matita. Hanno fatto scappare quattro docenti perché ormai privi di stimoli e strumenti necessari per migliorare. La tenacia e la passione del neo-assunto riescono a fare breccia nelle loro diffidenze. "L'attenzione e la voglia di imparare di un bambino - parole sue - vanno conquistate". Mette in moto così un circolo virtuoso di fiducia ed energia fino a realizzare "La tradotta", il primo giornale mai stampato in un carcere minorile.
Dopo la laurea ottiene un incarico da ricercatore, ma si rende presto conto che il suo posto è tra i banchi di scuola. Approda così alle elementari mentre riconquista l'amore della sua vita, Ida (Nicole Grimaudo), da cui scopre di avere una figlia.
E venne la TV
Lo sforzo quotidiano di far innamorare della cultura un alunno alla volta subisce un'amplificazione insospettabile quando Manzi sostiene il provino come conduttore della trasmissione RAI Non è mai troppo tardi, che ha lo scopo di alfabetizzare la popolazione del dopoguerra.
Anche se raccontata in toni favolistici, in cui il merito prevale sulla raccomandazione, la sua assunzione cambia il corso degli eventi per milioni di spettatori che si appassionano alla scrittura e alla lettura proprio grazie ai modi colloquiali dell'insegnante e ai buffi esperimenti per catturare l'attenzione.
In effetti i metodi non sono poi così diversi da quelli attuati in una scuola vera, che gli sono costati parecchie indagini disciplinari. Manzi non mette voti, non usa il registro di classe e dispone gli alunni in circolo, senza creare classifiche di rendimento e senza discriminare nessuno. Offre a tutti la stessa possibilità e rendere le informazioni accessibili attraverso il gioco e l'approccio pratico alle nozioni.
Attraverso i libri che ha scritto, gli studi effettuati, l'esempio e la trasmissione TV Manzi ha ridato speranza ad una generazione intera, rendendo accessibile a tutti l'alfabetizzazione. Ha dato una seconda chance all'Italia e a tutti coloro che hanno voluto e saputo coglierla, fornendo un esempio concreto non solo per il sistema scolastico ma anche per quello televisivo del nostro Paese.
Lo hanno chiamato pazzo, rivoluzionario, anticonformista e illuso ma la sua storia continua a ispirare. A dispetto di quanto si potrebbe immaginare, la miniserie non indugia eccessivamente sulla retorica e non si adagia nell'autocelebrazione del servizio pubblico (non troppo, almeno).
L'interpretazione di Santamaria, vibrante e commossa, accompagna lo spettatore per mano con delicatezza anche se i momenti più toccanti sono frutto dell'alchimia con i giovani interpreti, veri e propri talenti in erba. La regia di Giacomo Campiotti dosa le tinte forte e calibra gli eccessi, rispecchiando l'equilibrio già delineato nella sceneggiatura. I dialoghi, infatti, smorzano i toni epici tanto cari alla fiction italiana anche se non si riesce a far a meno della forzatura del voice over con annessa spiegazione di stati d'animo e intenti dei protagonisti.
Il risultato è un prodotto dignitoso, ben confezionato e animato da nobili intenzioni che, oltre a scatenare un comprensibile effetto-nostalgia, merita una chance e suscita più di qualche spunto di riflessione.