Ci sono film che puntano smaccatamente sull'identificazione che la storia riesce a produrre nello spettatore, opere il più delle volte innocue che hanno quasi una funzione catartica, liberano cioè il pubblico dai pesi della vita quotidiana per portarlo, almeno per un breve periodo, in un mondo di favola.
E poi ci sono quelle pellicole che questo meccanismo lo disintegrano dalle fondamenta, che ci presentano dei personaggi volutamente sopra le righe, che non cercano la simpatia della platea (non in maniera consueta almeno), che lasciano sbigottiti e increduli. E' il caso di Near Death Experience diretto dal duo belga Gustave Kervern e Benoît Delépine, presentato alla 71.ma Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia nella sezione Orizzonti.
La montagna incantata
Il film asciuga al massimo la storia, concentrandosi sulle elucubrazioni di un unico personaggio, un uomo, disperatamente depresso, che cerca di chiudere i conti con la sua vita, suicidandosi in una tranquilla giornata. Paul saluta moglie e figli, monta sulla bicicletta e si dirige in montagna per trovare finalmente pace da quel malessere così profondo. Naturalmente il progetto non è di semplice attuazione, perché morire richiede una dose di coraggio non indifferente e anche perché di venerdì 13 le cose si fanno necessariamente più complicate. L'uomo inizia così un avventura tra l'onirico e il folle in cui cerca di dare un senso a quel dolore, interrogandosi a più riprese sui principali momenti della sua vita. Passa in rassegna il rapporto (tormentato) con le donne e i figli, con un lavoro che non dà soddisfazione e, amara ciliegina finale, con una malattia fisica che non gli darà scampo. Una rivelazione che riempie di significato la sua scelta e che imprime una svolta a tutto il film.
Tra Schubert e i Black Sabbath
Kervern e Delepine non sono noti per il loro modo "pacificante" di raccontare storie per il grande schermo. Come dimostrano le pellicole della loro filmografia, del resto (Mammuth, Louise-Michel), essi non amano personaggi comuni, piatti, banali, ma in questo caso si sono addirittura superati, confezionando un ruolo su misura per lo scrittore Michel Houellebecq, bravo, anzi bravissimo, a dar corpo ai pensieri del personaggio con il suo volto imbronciato e un corpo stortignaccolo, accompagnato da una colonna sonora che alterna senza timore Schubert e i Black Sabbath. Non si tratta di un debutto per lo scrittore che aveva adattato e diretto La possibilité d'une île, tratto da un suo romanzo, e che è apparso come attore nella parte di se stesso nel film di Guillaume Nicloux, L'enlèvement de Michel Houellebecq, ma si tratta lo stesso di una prova convincente e a tratti molto divertente.
Splendori e miserie di un impiegato
Paul/Houellebecq non è mai centrale nelle riprese che fin dall'inizio lo relegano ai margini dell'inquadratura, eppure è totalmente debordante nella storia, quella di un uomo che decide di togliersi di mezzo e di prendersi il tempo necessario per assimilare il pensiero e tradurlo in azione. Per farlo quasi mette in scena quest'ultimo addio, facendo una prova generale in assoluta solitudine. Ecco perché le dissertazioni di un semplice impiegato di una compagnia telefonica, riescono a provocare delle reazioni (siano esse positive o negative) anche nella più asfittica delle menti.
Tornando al discorso introduttivo, se certi film portano per mano lo spettatore, conducendolo meccanicamente verso un sentimento deciso a tavolino, in Near Death Experience questo avviene non automaticamente, ma perché si è spinti dalla necessità di seguire il personaggio. Si può essere più o meno d'accordo con la visione nichilista della vita di cui è portatore l'eroe del film, chi vi scrive, ad esempio, fatica ad essere sulla sua stessa lunghezza d'onda, ma negli ottantasette minuti del film si vive con lui e si accettano anche le sue decisioni più dolorose.
Conclusione
"Come puoi affrontare la vita se si ha paura di uno stivale di caucciù?" si chiede Paul, ripensando ad una memoria della sua infanzia. E questo è Near Death Experience, un continuo girovagare tra passato e presente, un'interrogazione continua sulla propria inadeguatezza, un flusso di coscienza senza fine che sa conquistare solo se si è disposti a non giudicare troppo le scelte del protagonista.
Movieplayer.it
3.0/5