Noi balliamo da sole
Due donne, due destini paralleli che finiranno tuttavia per incrociarsi. Quello di Marylin, centralinista con la passione per la danza del ventre, che ha appena perso il lavoro e l'amore, dopo essere stata licenziata dal suo ipocrita capo ed aver scoperto, nella stessa giornata, che il marito la tradisce. Quello di Mona, musulmana impiegata nel negozio di famiglia, sposata con un uomo che ama ma oppressa da una suocera ottusa e tirannica, poco incline alla comprensione umana, ancor meno al rispetto di quell'universo femminile di cui pure fa parte. La scoperta del tradimento di George, uomo meschino e nullafacente, è per Marylin la goccia che fa traboccare il vaso: la donna decide di mollare tutto e mettersi in viaggio verso Santa Fe, dove dovrà partecipare a un importante concorso di danza del ventre. Dopo l'improvvisa morte della suocera, Mona decide istintivamente di seguire l'amica nel suo viaggio: le due donne attraverseranno l'America, scoprendo in egual misura solidarietà, arretratezza e razzismo, ma soprattutto scoprendo di più su loro stesse e sulle ragioni che le hanno portate a mettersi in viaggio.
Forte di una personale predilezione per i temi sociali (si ricordino i recenti London River, incentrato sull'attentato londinese del 2005, e Uomini senza legge, che tratta la guerra di indipendenza algerina) il francese di origini algerine Rachid Bouchareb si cimenta con Just Like a Woman nel genere del road movie. Lo fa evitando di tradire la sua vocazione: il viaggio attraverso le higways americane di Sienna Miller e Golshifteh Farahani è innanzitutto esplorazione di un sentire riferito alla condizione femminile, una ricognizione dentro e tra le culture, in cui si mescolano immobilismo e dinamicità, realismo e utopia, sogno e disillusione. Il primo paragone che viene in mente è ovviamente l'indimenticato Thelma & Louise di Ridley Scott, ma il film di Bouchareb vuole darsi toni più sfumati, raccontare la riflessione più che la ribellione, prendere per mano le protagoniste evitando di farne eroine tragiche. C'è il viaggio come sempiterno emblema di trasformazione, i paesaggi del deserto quali inebriante rappresentazione della libertà, la danza come elementare liberazione dai condizionamenti. C'è la riflessione sulla condizione femminile come perdurante preda di contraddizioni, ostaggio di una modernità che sembra aver scalfito ruoli e status solo in superficie. Più che una sceneggiatura in cui non mancano le ingenuità e i passaggi poco credibili (vedi l'incontro con la comunità indiana) il regista fa parlare la maestosità delle scenografie, che come da tradizione del genere si fanno specchio dell'interiorità, compressa ma inquieta, delle due protagoniste; nonché l'alchimia pressoché perfetta tra queste ultime, che con la loro presenza e i loro corpi impongono, più ancora che con i dialoghi, la realtà della loro problematica condizione. La Miller e la Farhani (fattasi notare, quest'ultima, in About Elly e Pollo alle prugne) trovano quell'equilibrio tra la misura della recitazione e una sensualità a tratti straripante (ben espressa nelle scene della danza) che ne fa coppia ideale per questa moderna storia di riscatto femminile. La naturalezza con cui le due attrici esprimono il vissuto dei rispettivi personaggi supplisce in parte ai limiti di uno script in cui mancano i chiaroscuri: il tutto, malgrado le intenzioni, è un po' troppo declamato e schematico, e l'emotività è ricercata spesso per la via più facile, attraverso l'incontro/scontro con personaggi di contorno (a tratti) stereotipati e convenzionali. Così, la pur lodevole intenzione di offrire un'analisi comparata della situazione femminile in una realtà di meticciato culturale, oggi più che mai in trasformazione, non riesce a evitare quasi mai la trappola dello stereotipo.
Malgrado ciò, un finale all'insegna del realismo, pur contrassegnato da una notevole amarezza, risolleva in parte le sorti di questo Just Like a Woman; una pellicola che vive di una forza elementare (quella delle sue immagini, e della felice scelta e gestione delle sue protagoniste) piuttosto che di una struttura narrativa in sé tutt'altro che perfetta.
Movieplayer.it
3.0/5