Solitudine formato famiglia
Da piccola chiedeva all'insegnante di poter modificare le battute de Il mago di Oz perché secondo lei era assurdo che Dorothy potesse desiderare di tornare nel Kansas dagli zii. Imogene Duncan (Kristen Wiig) è cresciuta con il sogno nel cassetto di diventare una scrittrice e di lasciarsi alle spalle il prima possibile sua madre, una donna esuberante dal look decisamente eccentrico, e la sua casa di periferia del New Jersey per trasferirsi nella grande città. La sua vita nel cuore di Manhattan viene completamente stravolta quando in un solo colpo perde sia il fidanzato, che se ne va di casa lasciandola in preda alla disperazione, che il lavoro nella redazione di un'importante rivista. E' in quel preciso istante che Imogene realizza di aver vissuto fuori dalla realtà e nell'ipocrisia più totale per anni alla ricerca di un'accettazione da parte dell'upper class che non sarebbe mai arrivata, ma che anzi si era improvvisamente trasformata in commiserazione. Con l'intenzione di muovere a compassione l'ex fidanzato, Imogene decide di inscenare un finto suicidio che per una serie di imprevisti e complicazioni finisce per sembrare reale. I medici la costringono così a tornare per un periodo di tempo nella casa della sua infanzia in cui vivono la madre Zelda (Annette Bening), il suo fidanzato George Boosh (Matt Dillon), un sedicente agente della CIA in incognito, il fratello Ralph (Christopher Fitzgerald), fissato con granchi e molluschi, ed un affascinante ragazzo che ha subaffittato quella che una volta era la sua stanza. Col passare dei giorni Imogene si renderà conto di non aver mai veramente provato a capire sua madre e suo fratello e che è inutile sprecare tante energie nel rinnegare le proprie origini, ma piuttosto le si può impiegare per prendere dalle persone tutto quello che di buono hanno da dare.
Dopo il successo de Le amiche della sposa, la 'damigella' Kristen Wiig (qui anche produttore esecutivo) torna sul grande schermo con Imogene, una commedia indie al femminile scritta dalla poco più che esordiente Michelle Morgan e diretta dai registi di American Splendor Robert Pulcini e Shari Springer Berman, che nonostante le tantissime gag e i bravi attori riesce ad essere scoppiettante solo per brevi tratti. Gli interpreti devono districarsi in una storia totalmente focalizzata su un personaggio principale piuttosto debole a livello drammaturgico e che dopo una prima parte assai convincente perde un po' il filo del discorso, trasformandosi in un non ben definito carosello di piccoli personaggi in cerca d'amore e d'autore, trascinati dai cliché e caratterizzati da siparietti e situazioni al limite dell'assurdo. Un furbo diversivo usato dalla sceneggiatrice per intrattenere lo spettatore e distrarlo dall'inconsistenza di fondo della storia.A farne le spese anche la performance della Wiig che nei panni di Imogene fa quel che può, ma finisce anche lei col perdersi in un ruolo, ed in un film, troppo carico di stranezze e di macchiette, privo di entità ed equilibrio. Non mancano le scene esilaranti e le risate, ma usciti dalla sala resta l'impressione di aver assistito ad un'opera dal ritmo altalenante, che ha veramente pochi spunti da offrire e che non aggiunge nulla al genere. Unica nota veramente positiva del film: le perle di saggezza, sporadiche ma davvero esilaranti, dispensate da Matt Dillon nei panni di George Boosh, un agente segreto della CIA in incognito che odia le domande troppo personali e che nella sua vita ha due punti fermi: i panini al formaggio e la filosofia samurai. La dice lunga il fatto che sia proprio questo il personaggio più credibile e realistico di tutto il film.