Recensione Il cuore grande delle ragazze (2011)

Un film nostalgico e giocosamente scandaloso che analizza, attraverso le bizzarre nozze tra due ragazzi di estrazione sociale diversa, mentalità, atteggiamenti, ignoranza e vezzi di un'epoca molto diversa da quella che viviamo oggi.

Come eravamo

Dopo Il figlio più piccolo e Una sconfinata giovinezza, Pupi Avati decide di cambiare registro e tornare alla commedia nostalgica e sognante per affrontare l'ennesima perlustrazione nel mondo contadino, nelle sue radici, nell'ambiente rurale che gli ha dato i natali e un inconfondibile imprinting artistico. Un universo di relazioni, atmosfere e luoghi in cui il cineasta si è cullato a lungo, in cui ha imparato a fantasticare e cui deve quel suo unico e inimitabile sguardo romantico. I matrimoni, le donne, la campagna, l'amore: terreni che, tra alti e bassi, il regista bolognese ha già ampiamente esplorato attraverso la sua lunga carriera, ma ciò che colpisce in positivo de Il cuore grande delle ragazze è la leggerezza e la grazia con cui Pupi riescie a raccontarci un pezzo importante del suo e del nostro passato. Negli anni '30 era diverso essere maschi e femmine rispetto ad oggi, era diverso l'amore tra marito e moglie, era diverso il modo di approcciare con la sessualità.


Il cuore grande delle ragazze è un film nostalgico e giocosamente scandaloso che analizza, attraverso le bizzarre nozze tra due ragazzi di estrazione sociale diversa, mentalità, atteggiamenti, ignoranza e vezzi di un'epoca totalmente opposta a quella che viviamo oggi. Al centro della storia il classico matrimonio che non s'ha da fare, quello tra Carlino, figlio di una famiglia di mezzadri emiliani, zoticone, sciupafemmine e dall'irresistibile alito di biancospino, e Francesca, una ragazza romana figlia di ricchi proprietari terrieri, istruita e bellissima ma non meno rozza di lui - che addirittura tenta il suicidio quando il patrigno la rinchiude dentro casa per evitare ogni contatto con lo svergognato corteggiatore. Promesso sposo di una delle due sorellastre zitelle di Francesca, destinate altrimenti ad un'eterna vita da signorine, Carlino si innamora follemente della biondissima studentessa romana tornata a casa per un breve periodo.

Breve, equilibrato nei toni, ben recitato sia nei risvolti comici che in quelli più drammatici, Il cuore grande delle ragazze è un film basato sulla storia vera dei nonni del regista, ironico e a tratti grottesco, girato in maniera semplice e poetica, con un montaggio veloce e dialoghi essenziali ma soprattutto credibili, nonostante i toni fiabeschi, toni che per assurdo possiedono molto più realismo e attinenza alla verità di quando si possa immaginare. Sfiorando più volte la deriva surreale, Avati si veste a festa con abiti economici un po' retro regalandoci un nuovo capitolo del suo cinema, leggero ma significativo, un godibile e pittoresco affresco di un'epoca lontana, che vive solo nella mente dei nostri nonni e che grazie al grande Pupi anche i più giovani hanno potuto esplorare più da vicino.
Girato in sei settimane in location per la prima volta lontane da Bologna, sia perchè in questo momento c'è voglia di riscoprire luoghi autentici che ancora appartengono a chi vi è nato, sia perchè i bolognesi sembrano essere stufi del caos cittadino da set, il film è ambientato in una cittadina immaginaria del centro nord (che in realtà è Fermo, nelle Marche) che non appare come una Bologna millantata ma semplicemente come un luogo ancora intatto, scevro da traffico e da confusione, in cui Avati è riuscito ad immergersi nei propri ricordi.
Splendida, radiosa e bravissima Micaela Ramazzotti, sempre più erede naturale della grande Monica Vitti, capace di alternare all'interno di una stessa scena il registro comico a quello drammatico, mentre se la cava tutto sommato bene Cesare Cremonini, ex-leader dei Lùnapop, che sfoggia un'espressione da ingenuotto autentica e tenera riuscendo a trasmettere quella dolcezza un po' sfrontata che bene si cuce addosso al suo personaggio.

Un cinema vecchio stile quello dell'Avati de Il cuore grande delle ragazze, e non solo visivamente ma soprattutto nel modo di girare e di lavorare, assai più a basso costo rispetto agli ultimi tempi, senza ricostruzioni in studio, tutto in presa diretta, proprio come si faceva una volta, con una troupe di affezionati insostituibili cui si sono aggiunti diversi giovani locali provenienti da accademie di scenografia o di recitazione desiderosi di affrontare la nuova realtà professionale costruita dal buon vecchio Pupi con l'entusiasmo di un debuttante.
Fa bene, ogni tanto, guardarsi indietro, guardare a come eravamo con sguardo incantato, rendersi conto di come era bello sognare e fantasticare cullati da una beata inconsapevolezza.

Movieplayer.it

3.0/5