Morto e sepolto
Ideale contraltare dell'altro documentario dedicato a Benito Mussolini visto al Torino Film Festival, Il sorriso del capo, in cui ad essere al centro dell'attenzione era la macchina propagandistica costruita per rendere più forte l'immagine del dittatore e contemporaneamente (in)formare il popolo, in Il corpo del Duce di Fabrizio Laurenti è invece l'aspetto fisico dello statista ad essere messo in primo piano. Emblema di italica vigoria o reliquia da santificare, il corpo del Duce è il simbolo di una tirannia basata sull'ostentazione della forza fisica e, una volta esaurita la sua venefica morsa politica, sulla distruzione di quello stesso oggetto del desiderio. Un'evoluzione che Laurenti mostra bene nel passaggio dalle immagini del Duce battagliero dei primi anni di governo a quelle del cadavere steso sul tavolo settorio dell'obitorio di Milano.
Quando era vivo Benito Mussolini era capace di ipnotizzare le folle con una smorfia del viso, sporgendo la mascella e lasciandosi adorare. 'Noi ragazzi volevamo somigliargli', racconta in maniera del tutto prevedibile Pino Rauti, mentre per il regista Piero Vivarelli, 'Gli italiani se lo facevano mettere nel di dietro allegramente', sottolineando con ironia quell'automatismo tricolore a farsi abbindolare dal potente di turno, salvo poi dimenticarlo in un rovescio di fortuna. Un processo, in verità molto più complesso di questa semplificazione, che emerge a tratti dal documentario e che forse sarebbe stato bello approfondire maggiormente.
Ispirato all'omonimo saggio di Sergio Luzzato pubblicato da Einaudi, Il documentario di Fabrizio Laurenti, già autore del bello Il segreto di Mussolini, che ha ispirato Marco Bellocchio per il suo Vincere, si addentra in maniera abbastanza particolareggiata sulla politicizzazione del corpo del Duce, soffermandosi in particolare sugli ultimi giorni di vita di Benito Mussolini, dalla carcerazione nella prigione del Gran Sasso dopo la caduta del Fascismo, alla fuga orchestrata dai Nazisti e alla successiva nascita della Repubblica Sociale di Salò, per poi arrivare alla fucilazione avvenuta per mano del partigiano Walter Audisio (il colonnello Valerio) a Giulino di Mezzegra, davanti a Villa Belmonte a pochi chilometri da Dongo, il 28 aprile del 1945. La successiva impiccagione a testa in giù in piazzale Loreto a Milano, dove la folla inferocita inveì sui cadaveri del Duce, della sua amante Claretta Petacci e di altri gerarchi come Alessandro Pavolini e Achille Starace, è stata solo il preludio alla lunga odissea che ha riguardato la salma di Mussolini.Seppellito nel campo 16 del cimitero milanese di Musocco in totale anonimato, il corpo del Duce fu prelevato il 23 aprile del 1946 da alcuni rappresentanti del neonato Partito Fascista Democratico, capitanati da Domenico Leccisi, Mauro Rana e Alfredo Parozzi e custodita per molto tempo nel convento attiguo alla chiesa di Sant'Angelo a Milano dal superiore dei Francescani padre Enrico Zucca e da padre Alberto Parini, fratello dell'ex podestà fascista di Milano. Ritrovata nell'agosto dello stesso anno dalla polizia grazie all'opera del questore Agnesina, la salma rimase per alcune ore alla Certosa di Pavia e poi fu sistemata per Ragion di Stato in un posto tenuto segreto, il Convento di Cerro Maggiore, dove rimase per 11 anni fino a quando nel 1957, il governo Zoli (predappiese e antifascista) non pose fine suo malgrado a quel gioco perverso. Le spoglie del dittatore furono tumulate nel cimitero di famiglia a Predappio, al termine di una serrata e incredibile lotta politica a colpi di voti di fiducia per l'esecutivo democristiano, supportato dal Movimento Sociale Italiano in cambio, appunto, della risoluzione definitiva del caso Mussolini.
Da qui si apre un altro interessante capitolo che Laurenti accenna ma non approfondisce troppo, quello dedicato al fenomeno dei nostalgici, coloro che ogni anno partecipano in massa a Predappio alle commemorazioni in onore del Duce, esibendosi in commossi saluti romani al cospetto della tomba del capo delle Camicie Nere; un movimento che ha consentito un fiorente mercato di souvenir e gadget del ventennio, in cui spiccano disgustose bottiglie di olio di ricino, statuette e tazze da tè con i motti celebri di Mussolini. Forse andrebbe trovata una parola diversa da 'nostalgia' per spiegare un simile comportamento; sarebbe meglio parlare di ossessione. Legata forse ad un passato ancora irrisolto da cui alcuni non si sono affatto separati. 'Il passato non è morto e sepolto. In realtà non è neppure passato', recita la frase di William Faulkner che Laurenti ha scelto per chiudere il suo film di montaggio.
Movieplayer.it
3.0/5