Recensione I tre moschettieri in 3D (2011)

Senza alcuna presunzione di autorialità, lontano da qualsiasi ricostruzione storica se non quella di una Parigi caratterizzata dalla sua particolarità architettonica, Anderson progetta un universo fantastico all'interno del quale muovere i suoi personaggi, più o meno tratteggiati con surrealismo, come pedine di un monumentale gioco di società.

Tutti per uno, uno per tutti

Hanno servito la Francia con coraggio e disprezzo del pericolo ma il paese li ha ripagati con la vergogna dell'anonimato e il disonore del declassamento. Dopo aver fallito una missione segreta tra le buie calli veneziane, i leggendari tre moschettieri del re, cavalieri dall'intoccabile reputazione, hanno perduto la loro mitologica imbattibilità e si trovano relegati ad un'esistenza lenta e desolata nell'attesa degli eventi. Una condizione completamente sconosciuta al giovane D'Artagnan che, sostenuto dall' esuberanza e dalla strafottenza dell'inesperienza, affronta il viaggio verso Parigi con il sogno di entrare a far parte di una leggenda ormai decaduta. Arrivato ad un passo dal suo obiettivo, però, il destino prende inaspettatamente il sopravvento e, dopo aver affrontato un duello impari con il malvagio Tréville, capitano delle guardie di Richelieu, il ragazzo viene coinvolto in uno scontro all'arma bianca niente meno che con Aramis, Portos e Athos. Da quel momento la vita di D'Artagnan, guascone dalle grandi speranze, sarà segnata dal pericolo e dall'onore delle grandi imprese. Nominato di diritto quarto moschettiere, mette il suo talento al servizio del Re di Francia e della sua Regina, giurando fedeltà ad una causa apparentemente impossibile come l'amore per la sua Costanza. Così, in una girandola vorticosa di tradimenti, amori segreti e complotti politici, il giovane si confronta con l'ambiguità del potere, la fragilità del privilegio e la lealtà dell'amicizia cercando di difendere l'onore di una Sovrana minacciato dalla scomparsa di una collana di diamanti e da una presunta relazione segreta. Elementi che, orchestrati e gestiti dalla perfida intelligenza del Cardinale Richelieu e attuati dall'intrigante Milady rischiano di mettere in grave pericolo non solo il trono francese, ma la struttura monarchica dell'Europa intera.


Attraverso un passaggio osmotico tra letteratura e cinema lo spirito popolare de I Tre Moschettieri, nato dalla fantasia di Alexandre Dumas e pubblicato a puntate sul giornale Siècle nel 1844, ha dato vita sullo schermo ad una proliferazione di esperimenti multiformi di vario valore che, dalla versione hollywoodiana di George Sidney, con Lana Turner e Gene Kelly nelle vesti di D'Artagnan, fino alla più attuale di Richard Lester, hanno consegnato nelle mani di Paul W.S. Anderson un intreccio cavalleresco pronto a sottoporsi all'ormai inevitabile quanto inutile battesimo del 3D. Resa praticamente invisibile da un'attenzione quasi maniacale per l'effetto speciale, la grandiosità scenografica ed i combattimenti sempre più coreografici, l'evoluzione tecnica scompare quasi totalmente per lasciare spazio ad un senso ludico che, pur spogliando la vicenda di qualsiasi valore letterario, contribuisce notevolmente alla costruzione di un sofisticato giocattolo cinematografico dalle tinte sgargianti. Così, senza alcuna presunzione di autorialità, lontano da qualsiasi ricostruzione storica se non quella di una Parigi caratterizzata dalla sua particolarità architettonica, Anderson progetta un universo fantastico all'interno del quale muovere i suoi personaggi, più o meno tratteggiati con surrealismo, come pedine di un monumentale gioco di società.

Il riferimento principale sembra essere un certo tipo di action acrobatico, mentre l'elemento estetico volge lo sguardo ad un gusto barocco dell'immagine riconducibile, non senza le dovute differenze d'intenti e d'ispirazione, alle visioni di Terry Gilliam ne Le avventure del Barone di Munchausen. Dall'inaspettata fusione di questi due elementi, all'apparenza contrastanti, prende forma un universo quasi fantascientifico per la sua completa estraneità ad una realtà plausibile in cui fascinose dame in crinolina schivano pallottole in un rallenty degno di Matrix, mentre i valorosi Moschettieri del Re portano a termine la loro missione con la stessa imperturbabile virilità del migliore James Bond. Completano il quadro un sovrano adolescente ossessionato dalla moda, un contendente inglese dal look piratesco ed una corte da operetta cui viene affidato ilcompito di mettere in atto gli elementi di una commedia tutt'altro che involontaria.
Allo stesso modo, con ironia e gusto per l'eccesso, Anderson sottopone i protagonisti de I tre moschettieri in 3D ad un restyling interpretativo, obbligandoli ad un simbolico contrappasso delle loro maschere più note. E' così che la compagna di vita e di set Milla Jovovich stempera una combattività in stile Resident Evil con il femminile opportunismo di Milady, Christoph Waltz veste i panni color porpora di un bastardo con fin troppa gloria, Matthew Macfadyen conferisce ad Athos un orgoglio ferito degno del suo Mr. Darcy di Orgoglio e pregiudizio ed Orlando Bloom accetta, con grande senso del ridicolo, l'ingresso trionfale a bordo di una nave volante, copia futuribile del ben noto vascello su cui, in un'altra vita cinematografica, ha navigato lungo il mar dei Caraibi al fianco del pirata Jack Sparrow. Per finire, in questo insieme di riferimenti narrativi e stilistici s'inserisce il giovane Logan Lerman che, con la freschezza della sua giovinezza artistica e anagrafica pone l'accento sul viaggio evolutivo di un ragazzo che si appresta a diventare uomo attraverso la scoperta del coraggio e dell'amore, ma sempre senza prendersi troppo sul serio.

Movieplayer.it

4.0/5