Un matrimonio maledetto ma necessario. Un abbraccio insanguinato ma doveroso. Dario Argento che scrive Dylan Dog è una notizia che fa notizia e alimenta scalpore, ma non dovrebbe farlo. Perché nonostante Profondo Nero, ovvero il numero 383 di Dylan Dog, rappresenti l'esordio assoluto del celebre regista nel mondo del fumetto, il terreno sul quale Argento e Tiziano Sclavi hanno mosso la loro poetica è fatto dello stesso fango. L'autore di Profondo Rosso e il papà dell'Indagatore dell'Incubo, maestri assoluti nell'esorcizzare paure attraverso le loro storie, hanno trovato nell'orrore la sublimazione all'assurdità dell'esistere. Sangue, morte e incubi sono i confini dentro cui definire l'essere umano, costretto ad affondare in posti scomodi per capire davvero l'essenza della sua natura. Senza mai rinunciare a uno sguardo ironico, Sclavi e Argento sono innamorati in maniera morbosa del mistero, di quella destabilizzante sensazione che spinge ognuno di noi a interrogarsi sul perché delle cose.
Che sia la ricerca di un assassino, di un colpevole o di un senso superiore, il cinema di Argento e la vita di Dylan Dog hanno scosso, turbato ferito, elevato il punto interrogativo la loro unica certezza. Armati di lame e pale, abbiamo scavato nel cuore nero delle persone, arrivando a preferire i mostri. Su questo terreno condiviso sotto i piedi di Dario, Tiziano e Dylan germoglia anche l'amore condiviso per il cinema, sostenuto da uno divertito (e divertente) spirito citazionista che ritroviamo anche in questo Profondo Nero, legato al capolavoro di Argento sin dal titolo. Il numero 383 di Dylan Dog, che sin dalla splendida copertina di Gigi Cavenago (con vaghe citazioni di Suspiria e Opera) promette una malsana passione per le cicatrici, tuffa l'Old Boy dentro un vortice di improvviso mistero. Dentro ci troveremo violenza, traumi, perversioni e un grande istinto protettivo, segno distintivo degli ultimi romantici come Dylan. Più incline al giallo che all'horror puro, Profondo Nero ha una stramba natura duplice. Da una parte è per forza di cose un'uscita-evento, qualcosa di unico e speciale, dall'altra ha un vago sapore classico, come se Argento avesse sempre abitato dalle parti di Craven Road. Come se quella camicia di profondo rosso gli fosse sempre stata addosso.
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Tra giallo e sadomaso: cinquanta sfumature d'Argento
Lei si chiama Beatrix, ma è meglio dimenticare presto la donna angelicata di dantesca memoria. Beatrix è un angelo decaduto, una ragazza che porta addosso i segni della sua sofferenza, una donna innamorata del dolore. Una persona che pensa di meritare il male. Per Dylan sarà subito colpo di fulmine; un colpo di fulmine che lo porterà sulla soglia tra il lecito e il proibito, l'amore e la perversione. Capitato per caso a una mostra di fotografie bondage, l'Old Boy viene rapito dal fascino ammaliante della giovane. Per questo, quando di Beatrix si perdono le tracce, Dylan inizierà a indagare sulla sua misteriosa scomparsa. Le premesse narrative di Profondo Nero sono semplici e immediate, ma celano un'altra grande passione comune a Dylan e Argento: le donne. L'Indagatore dell'Incubo non ha mai negato di aver amato ognuna delle sue centinaia di amanti. Le ha amate tutte. In modo incondizionato. Però, nel corso dei suoi oltre trent'anni di vita, gli autori di Dylan Dog non si sono fermati allo sterile stereotipo della passiva "fidanzata del mese", perché nella figura femminile hanno infuso altri e più profondi significati. Sono donne letali e sofferenti, vittime o carnefici, sono madri accoglienti oppure malattie spietate. Da Mater Morbi a Mater Dolorosa, il curatore Roberto Recchioni ha cullato Dog tra le braccia di femmine protettive o pestilenziali, estremi da cui il nostro antieroe è sempre stato attratto. Non è un caso, forse, che il prossimo numero 400 vedrà una terza declinazione materna. Non è un caso che Dario Argento abbia messo in scena la sua trilogia delle Tre Madri (composta da Suspiria, Inferno e La terza madre) dove la femminilità, sia oppressa che aggressiva, è esplosa dentro uno spettacolo di pura violenza.
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Profondo Nero è giallo pieno di donne. Con una scrittura asciutta e una sceneggiatura classica nello scandire i tempi di un'indagine alquanto lineare, Argento e Stefano Piani (co-sceneggiatore) scavano dentro un passato traumatico e nei desideri più reconditi di Dylan. Qui capiamo che ogni romantico conserva nel suo cuore una buona dose di masochismo, perché nonostante sappia che l'amore può far male, non riesce a farne a meno. Qui capiamo che il dolore degli altri attrae, perché ogni cicatrice non è che una storia da raccontare, pronta a essere ascoltata, condivisa, magari finalmente archiviata insieme a chi ti tende la mano.
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Fruste e silenzi: i tempi dell'orrore
Per una volta niente mostri, fantasmi o viaggi lunghi allucinati. Profondo nero rimane avvinghiato alla realtà e al verosimile, nonostante qualche sprazzo visionario in cui l'erotismo sadomaso ammalia e intriga con aggraziata sensualità. Lunghe sequenze mute dove ogni inquadratura si fa racconto e indizio per quello che avverrà riescono a raccontare una storia in cui l'orrore fa davvero paura, perché non è estraneo, lontano, alieno, ma domestico, figlio di un amore malato. Crudo e terreno, questo è un viaggio torbido in cui i disegni e le chine di Corrado Roi, colonna portante della testata e sopraffino maestro del chiaroscuro, raccontano ed evocano allo stesso tempo. Il tratto evanescente di Roi cala la storia in un'ambientazione quasi metafisica, senza tempo e senza spazio. Potrebbe essere Londra o altrove. Potrebbe essere ieri, domani o tra centinaia di anni. Grazie a una rappresentazione astratta di veri e propri non-luoghi il disegnatore lombardo svuota le città, isola case e castelli, rendendo ogni storia di Dylan Dog un manifesto visivo di antropologia. Alla ricerca della natura più viscerale dell'essere umano, Profondo nero è slegato da una ferrea continuity con il resto della serie. Godibile anche per lettori occasionali, il numero 383 riscopre l'anima empatica di Dylan Dog, il cui sesto senso e mezzo pizzica davanti a chi pensa di meritare il dolore, a chi ha fatto di ogni ferita una severa maestra di vita. E il nostro Old Boy, testardo romantico, sempre lì a lottare, con la presunzione che tutti, in qualche modo, possano essere salvati.
Movieplayer.it
3.5/5