Los Angeles, vigilia di Natale. Sin-Dee Rella, prostituta transgender, ha appena finito di scontare una pena carceraria di 28 giorni, e si incontra con l'amica/collega Alexandra. Da lei viene a sapere che il suo uomo/pappone, tale Chester, l'avrebbe tradita con una donna "vera". Mentre Sin-Dee parte alla ricerca del fedifrago e della sua amante, Alexandra prova a convincere conoscenti vari a venire a sentire una sua esibizione canora, prevista per quella sera. Nella stessa zona, il tassista armeno Ramzik cerca di nascondere alla propria famiglia i suoi passatempi meno leciti...
Nuovi mezzi cinematografici
La prima cosa che tutti tendono a segnalare quando si parla di Tangerine, film presentato in anteprima mondiale al Sundance e successivamente proiettato anche a Karlovy Vary e Torino, è legata al modo in cui è stato girato: per questioni di budget, infatti, il regista Sean Baker, noto per la sua opera quarta Starlet (a Locarno e Torino nel 2012), ha girato il suo quinto lungometraggio servendosi esclusivamente dell'iPhone 5s. Questo gli ha consentito di ridurre al minimo la troupe e concentrarsi su altri aspetti della realizzazione, portando a termine le riprese nel giro di un anno. Ma questo è solo un dettaglio produttivo, poiché l'iPhone stesso non fa parte della narrazione cinematografica del film, che è presentato come un lungometraggio standard anziché un finto documentario o found footage, con un'estetica non troppo dissimile da quella della serie televisiva The Shield, guarda caso anch'essa ambientata nelle zone meno prestigiose di Los Angeles. Una scelta azzeccata per quello che è un racconto dinamico, sempre in movimento, diretto, esplicito. Ma anche divertente, poetico (il titolo, che significa "mandarino" in inglese, è legato al colore del cielo della Città degli Angeli al tramonto), commovente, umano.
Storie di persone vere
Ad accrescere la sensazione di immediatezza e realtà è la scelta, sicuramente dettata da ragioni economiche ma anche funzionale alla storia, di affidarsi quasi esclusivamente ad attori sconosciuti, anonimi. Escludendo James Ransone, veterano di The Wire e dei film di Larry Clark (e il nome più conosciuto nei titoli di testa oltre a quello dei produttori esecutivi Mark Duplass e Jay Duplass), gli interpreti sono tutti alle prime armi o quasi, a cominciare dalle due protagoniste Kitana Kiki Rodriguez e Mya Taylor, entrambe vere transgender che si portano appresso tutto il loro vissuto per creare due personaggi dolorosamente reali, lontani anni luce da vari stereotipi più o meno offensivi. Attraversano le strade e le vite degli altri personaggi - in particolare quella del povero Ramzik, tassista il cui destino tragicomico si alterna a quello di Sin-Dee e Alexandra - con grazia, grinta e vulnerabilità, regalandoci delle performances strazianti e meravigliose. Non per niente il distributore americano - Magnolia Pictures - ha deciso di puntare su di loro per delle possibili candidature agli Oscar, contribuendo ulteriormente allo sdoganamento degli attori transgender. Un gesto importante che serve anche a dare la giusta visibilità ad un film piccolo ma grandissimo, un pugno nello stomaco che colpisce anche il cuore e la mente. Da non perdere.
Movieplayer.it
4.5/5