È raro che i sequel entusiasmino ancora di più del primo capitolo. E Sydney Sibilia, quando aveva esordito con Smetto quando voglio riscuotendo un successo insperato, non prevedeva certo di girare una saga. Invece Smetto quando voglio - Masterclass e Smetto quando voglio - Ad Honorem! sono stati realizzati insieme per dar vita a una trilogia avventurosa e divertentissima, dove il secondo capitolo supera addirittura il primo per equilibrio e ricchezza di idee.
Ritroviamo i nostri antieroi colti e spregiudicati: nel primo capitolo avevano sfruttato le loro competenze per creare una straordinaria droga legale, diventando poi degli sprovveduti criminali; qui invece è la legge ad aver bisogno di loro. Paola Coletti (Greta Scarano), ispettore giovane e grintoso, chiede al detenuto Pietro Zinni (Edoardo Leo) di rimettere in piedi la banda per scovare altri produttori di smart drugs e fermarli. In cambio la fedina penale di tutti loro tornerà pulita.
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I cervelloni che già conosciamo
La reclusione non ha cambiato Pietro Zinni neanche un po': se prima la fidanzata (Valeria Solarino) lo redarguiva durante i pasti, adesso lo redarguisce durante le visite in carcere, e lui risponde ancora minimizzando e lanciando battutine fuori luogo, nonostante ora aspettino un figlio. Ma preoccuparsi non serve: questo sembra il motto dell'incosciente neurobiologo, che forse proprio grazie a tale atteggiamento scanzonato si è ritagliato il ruolo di capobanda. Il chimico Alberto Petrelli (Stefano Fresi) è il suo braccio destro, geniale ma molto instabile: forse perché quest'avventura l'aveva reso dipendente da droghe pesanti e prostitute; ma ha promesso di esserne uscito. Ognuno dei tre film è unito all'altro dal suo cappottarsi con la macchina (qui le note auliche del Flauto Magico smorzano l'impatto dell'incidente), e questo è lo sfortunato fil rouge della saga; similmente, in ogni capitolo di Ritorno al futuro Biff Tannen a un certo punto finiva sommerso dal letame.
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Alberto Petrelli però, con la sua rotondità e la sua dedizione maniacale verso qualsiasi compito debba svolgere (dalle terribili sculture delle madonnine alla scoperta di un complesso composto chimico), è decisamente più simpatico di Biff. Del resto noi siamo affezionati un po' a tutta la banda: dai goffi latinisti allo smaliziato antropologo (Pietro Sermonti), che con la sua parlata romanesca riesce a confondersi in qualsiasi ambiente proletario. Dall'archeologo erudito (Paolo Calabresi), che nutre un rispetto reverenziale per Roma e propone l'inutilissimo cantiere della metro C come sede indisturbata delle loro riunioni, all'economista con la dipendenza dal gioco d'azzardo (Libero De Rienzo), che senza alcuno scrupolo morale tenta di ricreare una bisca fumosa persino nel reparto geriatrico di un ospedale.
Cervelli in fuga e nuovi personaggi
La scalcinata banda che già conosciamo è rimpolpata da altri geni deprezzati. Giulio (Marco Bonini) è un anatomista teorico di fama mondiale, con un fisico da surfista e un'espressione da duro; privo di specializzazioni cliniche, sfrutta le sue impareggiabili competenze sul corpo umano per incontri clandestini di Thai Boxe a Bangkok: ed è proprio lì che Pietro Zinni e dei poliziotti sempre più perplessi lo andranno a recuperare. Un altro cervello in fuga che ha incanalato il proprio sapere verso sentieri poco convenzionali è Lucio (Giampaolo Morelli), laureatosi con il massimo dei voti in ingegneria meccatronica, poi trasferitosi in Nigeria per colpa dei tagli alla ricerca, e lì improvvisatosi signore della guerra lowcost. In una delle scene più gustose del film Lucio spiega, con la cortese diligenza di un rappresentante di aspirapolveri, i vari utilizzi che si possono fare di una pratica valigetta contenente esplosivo, davanti a un pubblico di combattenti che non capiscono una parola e lo squadrano seriosi e granitici.
Ogni banda che si rispetti necessita inoltre di un buon avvocato: Pietro assicura che Vittorio (Rosario Lisma) è perfetto per loro, nonostante sia specializzato in diritto canonico e non riesca a imporsi neanche sulla giovane cliente che deve difendere e che, davanti a una giuria imbalsamata, mostra i seni per protesta. A questo team mal assortito, tenuto insieme solamente dalla discordanza tra le aspettative e le effettive realizzazioni personali, fa da contraltare l'efficienza di Paola Coletti, che tinge la commedia di sfumature poliziesche mentre impartisce direttive, o mentre segue un ragionamento mentale scrutando gli articoli di giornale attaccati alla parete del suo ufficio. Di tutti i personaggi il meno autoironico e forse il più televisivo, ha però il merito di regalare una cornice di serietà che non stona con le peripezie della banda più approssimativa in circolazione.
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Action comedy a Roma: fra vecchio e nuovo
Rispetto al primo capitolo, questo sequel vanta una struttura più bilanciata, nonostante il numero dei personaggi non permetta di sfruttarli tutti allo stesso modo; ma il susseguirsi di scene e battute irresistibili sopperisce a qualsiasi disomogeneità. Il grande merito di Sibilia consiste nell'aver modellato una materia drammatica e prettamente nostrana ‒ quale la mortificazione dei giovani laureati, dei ricercatori e degli studiosi per colpa delle raccomandazioni o della mancanza di fondi ‒ e nell'averla trasformata in un'opera leggera e dal respiro internazionale. Roma stessa, di notte, non è quella a cui siamo abituati: potremmo citare lo scambio fra gli scienziati e l'archeologo, mentre tenta di scappare dalla polizia alla guida di un furgone, imboccando stradine della Roma antica e chiamandole con nomi latini. "Ché, sono strade di Roma queste?" "Non la Roma che conosci tu". Sibilia passa con disinvoltura dalle riprese del Colosseo Quadrato a quelle notturne di Villa Adriana, dai Fori Imperiali alla Sapienza: una regia fresca e veloce che si giostra fra vecchio e nuovo, con un citazionismo snello e mai gratuito che mescola l'eredità di Amici miei con l'entusiasmo spensierato delle trilogie americane della Marvel, o di quelle vintage come Indiana Jones e Ritorno al futuro.
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Anche in Smetto quando voglio - Masterclass la scena più epica del film si svolge su un treno: l'assurda banda di laureati non trova di meglio come mezzi di trasporto che dei sidecar nazisti, con cui affiancare un treno merci, recuperare da questo uno dei due latinisti finitovi per sbaglio e piazzarvi un GPS che permetta alla polizia la localizzazione di un carico di smart drugs. Una sequenza d'azione esilarante e avvincente come raramente se ne vedono in Italia, e che permette un umorismo dell'assurdo ("Come lo giustifichiamo un latinista nel container?") in un contesto tutt'altro che surreale. È proprio al crocevia fra l'action comedy e il poliziottesco anni Settanta, fra la commedia all'italiana e l'avventura alla Ocean's Eleven che il film raggiunge una sua originalità per niente campanilista, consacrando Sibilia regista eclettico e arguto.
Movieplayer.it
4.0/5