Mai dire sashimi
Alla fine degli anni '80 in Italia impazzava Mai Dire Banzai, contenitore ideato dalla Gialappa's Band in cui il trio milanese commentava con abbondante ironia una strampalata trasmissione giapponese, sorta di Giochi senza frontiere del Sol Levante nato dal mix tra due programmi, Takeshi's Castle e The Gaman. Conduttore del primo programma era un certo Takeshi Kitano, all'epoca noto unicamente come mattatore comico. E' a quel retaggio di salti nel vuoto, capitomboli, gare di equilibrismo, sfide a infilare le mani in secchi colmi di insetti e scorpacciate di cibi improbabili - il tutto, da buoni giapponesi, sfoderando un incredibile entusiasimo e senza mai perdere il sorriso sulle labbra - che va ricondotto lo humor scatenato di Dead Sushi. Le stranezze che tanto ci hanno fatto ridere e, al tempo stesso, sconcertato, le ritroviamo tali e quali in questa folle pellicola. Il regista Noboru Iguchi, artigiano del cinema con alle spalle una lunghissima produzione in cui ha esplorato vari generi, approda allo splatter demenziale con un B movie che fa scintille. Il film mette insieme i due principali simboli del Giappone da esportazione, il sushi e le arti marziali, facendosi beffe di tutto e tutti. Prima di tutto Iguchi pone al centro dell'azione una protagonista femminile ingenua e pasticciona, l'improbabile Keiko (Rina Takeda), costringendola a misurarsi con attività prettamente maschili.
In una scena iniziale da antologia, in cui apprendiamo concetti fondamentali della preparazione del sushi, vediamo la giovane impegnata in un durissimo duplice addestramento di cucina e kung fu. Dopo l'ennesimo rimprovero del severo genitore, rinomato cuoco che la umilia rinfacciandole che l'odore di donna non va bene per il sushi, Keiko scappa di casa trovando impiego come cameriera in una locanda termale rinomata proprio per il sushi. Alla locanda, che ospita il meeting di una nota ditta farmaceutica, arriva anche un ex ricercatore dell'azienda, divenuto barbone dopo essere stato estromesso dal socio, ora a capo del grupppo farmaceutico. L'uomo, assetato di vendetta, inietta in un calamaro un siero che trasforma il sushi in un'arma mortale scatenando un delirio di bocconcini letali, maki volanti pronti ad azzannare alla giugulare e zombie decomposti che vomitano riso. La follia collettiva vedrà Keiko costretta a sfoderare ancora una volta la proprie capacità atletiche per arginare la catastrofe. Ritmo scatenato e sangue a volontà non mancano in Dead sushi, pellicola dalla trama esilissima che difetta in raffinatezza, ma non si risparmia in gag trash, spruzzi di sangue, maschere prostetiche e strizzate d'occhio a un universo di sensualità che Iguchi ha esplorato in passato (si veda la compiaciuta scena del body sushi che si traformerà in un'orgia di riso e sangue). Gli effetti speciali digitali e non, programmaticamente posticci, dichiarano la meritata appartenenza a quell'universo artigianale di grana grossa che ha reso celebre Edward D. Wood Jr. e che periodicamente viene rivalutato dai cultori della materia, fan altrettanto folli quanto i loro autori di riferimento, ma chi non ha troppe pretese non potrà che farsi contagiare dall'entusiasmo dirompente che traspare dall'opera di Iguchi e tocca il culmine in trovate geniali come l'uomo tonno e il tenero tamago sushi (sushi con l'uovo) messo in disparte dai colleghi assetati di sangue perché meno blasonato. Tra polpettine di pesce dentute, fettine di salmone vampire, spruzzi di sangue e arti volanti, Noboru Iguchi non tralascia un sottotesto più 'serio'. L'horror, da sempre genere politico per eccellenza, anche stavolta utilizza un strumento di rottura come il sushi (killer) per vendicare qualche torto di troppo riequilibrando la situazione a favore dei deboli (Keiko, l'amico cuoco e il sushi 'di serie B' contro gli imprenditori farmaceutici egocentrici e sciovinisti) e segnando un punto a favore delle donne. Vedendo Keiko menar fendenti e modellare il temibile riso assassino con due dita, chi oserà ancora parlare di sesso debole?Movieplayer.it
3.0/5