Nel Grand Théâtre Lumière del Festival di Cannes alla comparsa del simbolo della Amblin, la casa di produzione di Steven Spielberg, che consiste nella sagoma di E.T. ed Elliott sulla bici sovrapposti alla Luna (se avete bisogno di sapere a cosa ci riferiamo non avete avuto un'infanzia degna di questo nome), è partito spontaneo un applauso sentito: non ci si deve stupire, negli ultimi 40 anni il regista americano ha letteralmente contribuito a plasmare i sogni degli amanti del cinema e non solo, nutrendo un'intera generazione di cinefili accaniti, cresciuti, specialmente se nati negli anni '80, con il meglio dei film d'avventura, facendo della fantasia e dell'attenzione all'infanzia uno dei suoi cardini. Autore di capolavori intramontabili come E.T. L'Extraterrestre, Indiana Jones e l'ultima crociata, Incontri ravvicinati del terzo tipo e Jurassic Park, e di film ingiustamente bistrattati come Hook - Capitan Uncino, Spielberg può essere considerato davvero come lo zio cantastorie dei ragazzi degli anni '80, che hanno avuto la fortuna di crescere con il miglior cinema d'intrattenimento possibile.
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Inutile dire quindi che, The BFG, ultima fatica del regista, sia molto attesa: tornato alle sue origini più giocose, se si escludono le parentesi del quarto capitolo di Indiana Jones (di cui è ancora difficile ammettere l'esistenza) e il film d'animazione Le avventure di Tintin: il segreto dell'unicorno, era forse proprio da Jurassic Park che Spielberg non si cimentava in una storia pensata con in mente i giochi dell'infanzia, dal tono incantato e leggero, avendo preferito concentrarsi per un ventennio con il cinema "impegnato". Una scelta comprensibile, ma che, per chi cita E.T. tra i suoi film preferiti di sempre, spesso fa dispiacere, perché è proprio nel cinema d'avventura e fantasia, fatto di ironia e vitalità, che l'autore americano dà il suo meglio.
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Ispirato al romanzo di Roald Dahl Il GGG - Il grande gigante gentile, pubblicato nel 1982, proprio quando al Festival di Cannes veniva presentato E.T. - L'extraterrestre, The BFG è stato presentato, fuori concorso, in anteprima mondiale al Festival francese: fedele al libro originale, il film racconta la storia di un'orfanella, Sophie (Ruby Barnhill), che una notte, dalla finestra del dormitorio, vede una creatura enorme, un gigante, che la porta con sé. Spaventata dal mostro, la bambina crede di finire presto in padella, per poi scoprire invece che questo in realtà è vegetariano, gentile e per mestiere cattura i sogni.
Da Hook a E.T., The BFG è una summa del cinema di Spielberg
Cetrionzoli, sciroppio, petocchi: chi possiede il libro IL GGG nell'edizione Salani (il numero uno della collana Gl'Istrici), non farà fatica a riconoscere questi nomi: potendo contare sulla sceneggiatura di Melissa Mathison, autrice proprio di quella di E.T., scomparsa lo scorso novembre, Spielberg rende omaggio al romanzo originale, rispettandone gli elementi chiave e i dettagli, come appunto gli strani vegetali mangiati dal gigante, che non riesce a uccidere gli esseri umani come fanno invece gli altri giganti, molto più grandi di lui, con cui si accompagna, che non si fanno problemi a sgranocchiare le ossa del malcapitato di turno. Grazie a un perfetto equilibrio tra materiale di partenza e visione personale, l'autore riesce nell'impresa di ripercorrere e citare tutta la sua filmografia attraverso il racconto di Dahl.
Impossibile non avere un sussulto quando Sophie spalanca la finestra del dormitorio, una scena che ricorda molto una analoga di Hook, che ritorna anche nella casa dentro l'albero che il gigante offre alla bambina, praticamente identica a quella di Trilli, e nell'aspetto e nel suono dei sogni, che somigliano sempre alla fatina interpretata da Julia Roberts. Espliciti i riferimenti a E.T., con il dito gargantuesco del gigante che va a farsi avvolgere dalla mano della bambina, presenti inoltre diverse suggestioni da Incontri ravvicinati del terzo tipo (quando la bambina viene rapita) e da Salvate il soldato Ryan (l'attacco ai giganti). Elemento nuovo per l'autore sono invece le scene di commedia più fisica, per non dire "gassosa", presenti nel libro, che Spielberg ha deciso di conservare per non tradire lo spirito di Dahl.
La dolcezza di Mark Rylance fa sperare in un futuro migliore
Pensare al fatto che il Grande Gigante Gentile avrebbe potuto avere le fattezze di Robin Williams, quel "Peter Pan da grande" che per molti trentenni è ormai appuntamento fisso durante il periodo natalizio, mette malinconia, ma Mark Rylance, fresco premio Oscar per la sua interpretazione in Il ponte delle spie, diretto proprio da Spielberg, è un protagonista perfetto, uno degli interpreti di maggiore sensibilità degli ultimi anni, in grado di centrare al cuore lo spettatore con un semplice sguardo e un sorriso dolcissimo, lo sguardo di chi non ha mai conosciuto la gentilezza ma si ostina a credere nel fare la scelta giusta, incurante del fatto di essere un estraneo tra i suoi stessi simili. Trasformato in gigante dalla computer grafica, Rylance incarna alla perfezione lo spirito della cinematografia di Spielberg: nei suoi occhi c'è il desiderio di amare ed essere amati, di fare una scelta perché la si ritiene giusta e di cercare di aumentare la bellezza del mondo con un semplice gesto, che sia dare una parola di conforto o soffiare bei sogni sui visi dei bambini addormentati. Un sodalizio fortunato quello tra il regista e l'attore, che si ritroveranno presto anche sul set di Player One, tratto dal romanzo di Ernest Cline.
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Magico, delicato e commovente ma senza essere stucchevole, The BFG è come ritrovare un amico che non si vedeva da tempo, pieno di nuove storie da raccontare, fatte di luci, colori, profumi e odori lontani, ma che sembrano allo stesso tempo familiari: se c'è un cinema che può insegnare ai più piccoli, anche a quelli nati con uno smartphone in mano, la bellezza della fantasia e dell'essere bambini, è quello di Steven Spielberg.
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