Morte di un babau
2 maggio 2011: il presidente americano Barak Obama annuncia ai suoi cittadini (e al mondo intero) che l'ultimo babau moderno, il terrorista che aveva portato il suo attacco direttamente nel cuore del territorio statunitense, è stato abbattuto. Dopo le due guerre volute da George W. Bush, e la conseguente destabilizzazione degli equilibri sullo scacchiere mediorientale, che a tutt'oggi non smette di far sentire i suoi effetti, Osama Bin Laden è stato infine ucciso dal presidente democratico, colui che proprio sulla politica estera aveva inteso marcare le maggiori differenze rispetto al suo predecessore. Un anno dopo, quell'operazione, compiuta in un complesso residenziale, nel bel mezzo di una città pachistana, diventa un film: la Hollywood che ha già raccontato la guerra al terrore in più di una pellicola recente (ultime, in ordine di tempo, le adrenaliniche The Hurt Locker di Kathryn Bigelow e Green Zone di Paul Greengrass) decide di rappresentare ora quello che, almeno a livello simbolico, è il suo massimo conseguimento.
Code Name: Geronimo (dal nome in codice che, nel corso dell'operazione, era stato dato al suo bersaglio) si presenta in effetti come un film-resoconto, un'opera che ha lo scopo primario di raccontare, ovviamente con gli strumenti della fiction, un'azione che ha avuto, nell'immediato, un impatto molto forte sull'opinione pubblica americana. La natura del film di John Stockwell, il suo presentarsi principalmente come narrazione del già noto, provoca un approccio diverso alla pellicola da parte dello spettatore, e conseguentemente un'impostazione narrativa peculiare nella costruzione della vicenda: la tensione, più che sugli sviluppi di una storia di cui si conosce già il finale, si basa innanzitutto sulle dinamiche politico-militari che portano alla pianificazione e messa a punto dell'azione, oltre che sull'approfondimento dei rapporti interpersonali tra i membri della squadra che dovrà porla in atto. Il primo elemento porta il film a scandagliare direttamente i palazzi del potere, il cuore decisionale dell'intelligence americana, in cui troviamo l'analista Vivian Hollins (interpretata dall'attrice Kathleen Robertson) che, convinta della bontà del lavoro che ha portato all'individuazione del nascondiglio di Bin Laden, deve convincere i vertici della CIA a mettere in atto l'azione. Lo sguardo ravvicinato sui meccanismi decisionali dell'intelligence si rivela un elemento narrativamente interessante, con i dubbi espressi a più riprese sulla bontà dell'operazione, i riferimenti continui all'opinione pubblica, e soprattutto la strenua difesa, da parte dell'isolata Vivian, della bontà di una idea che (con un pregiudizio non espresso) viene guardata con sospetto in quanto portata avanti da una donna in un universo tipicamente maschile. Meno riuscito, e a tratti pretestuoso, appare invece il motivo dei contrasti all'interno del team dei SEALs: la lite tra due di essi, forse utilizzata per accrescere il clima di tensione precedente alla messa in atto del piano, pare un semplice riempitivo, poco funzionale alla narrazione e inutile per l'approfondimento della psicologia dei personaggi. Il principale punto debole di Code Name: Geronimo sembra essere, in effetti, proprio l'assenza di un personaggio forte che favorisca l'identificazione: se la linea narrativa "politica" si gioca tutta sul contrasto tra la donna e alcuni suoi collaboratori (con il capo della CIA, che ha il volto di William Fichtner, che si assumerà il difficile ruolo di "arbitro") i soldati stessi sembrano essere poco più che figurine, e non aiutano molto, in questo senso, i riferimenti alle loro vite personali o l'apparizione, in una significativa quanto poco utile scena, dei familiari da loro lasciati a casa. Nonostante questo, Stockwell (già esperto di pellicole d'azione) riesce a riscattare il film con una buona regia: il cuore della pellicola, ovvero l'assalto che porta all'eliminazione del terrorista, si risolve in una sequenza ben diretta e montata, con la sovrabbondanza di soggettive riprese dalle videocamere degli elmetti che le conferiscono un'estetica quasi da videogioco. Siamo ben lontani, sia chiaro, dal coinvolgimento fisico e dalla tensione quasi palpabile che la Bigelow aveva saputo dare al già citato The Hurt Locker (con cui questo film condivide il produttore Nicolas Chartier) ma il modo di girare di Stockwell resta apprezzabile e coinvolgente. Resta comunque, per il film, l'insormontabile limite già citato: è, quella di Code Name: Geronimo, una storia di cui conosciamo bene il finale, che fin dall'inizio non preannuncia (e non offre) sorprese nel suo svolgimento. Per ovviare a questo limite fisiologico, la sceneggiatura avrebbe dovuto approfondire maggiormente i personaggi di quelle che sono le due storyline principali del film (ce n'è anche una terza, quella dei due collaboratori locali della CIA deputati a spiare il nascondiglio dall'appartamento vicino): la narrazione, invece, disinteressandosi di creare empatia e di dare spessore ai caratteri, sceglie di puntare tutto sul climax che culminerà nella sequenza finale. Sequenza comunque d'impatto, e di buona fattura registica, che risolleva in parte la pellicola dal punto di vista del puro intrattenimento.
Movieplayer.it
3.0/5